Cia Ubaldini, la mulier clara di Matteo Villani
- Type de publication : Article de collectif
- Collectif : Les Chroniques et l’histoire universelle. France et Italie (xiiie-xive siècles)
- Auteur : Albertini (Martina)
- Pages : 249 à 277
- Collection : Rencontres, n° 537
- Série : Civilisation médiévale, n° 46
Cia Ubaldini,
la mulier clara di Matteo Villani
Il ritratto che lo storico Matteo Villani traccia di Marzia Ubaldini, moglie di Francesco Ordelaffi, signore di Forlì, e della sua virtù muliebre occupa alcune delle pagine più notevoli della sua Cronica. La critica non ha infatti mancato di rilevare da una parte come la Ubaldini rappresenti l’unica figura risolutamente virtuosa descritta nell’opera, e dall’altra il gusto per l’invenzione romanzesca che contraddistingue il resoconto degli eventi di cui la nobildonna toscana è protagonista1.
Il presente contributo vuole proporre un’analisi approfondita dei brani su Marzia Ubaldini contenuti nella Cronica e tentare di chiarire la loro importanza all’interno del discorso storiografico del secondo Villani.
Prima di rivolgere la nostra attenzione al testo villaniano, non sarà superfluo fornire qualche elemento sulla Ubaldini e sulle vicende che l’hanno resa « di memoria degna » e che, peraltro, ci vengono trasmesse quasi esclusivamente da cronache, delle quali quella del Villani è la più esaustiva2. Pochi sono infatti i dati biografici in nostro possesso desumibili da altri tipi di fonti : nata con ogni probabilità all’inizio del Trecento da Vanni degli Ubaldini e sua moglie Andrea di Maghinardo Pagani, 250Marzia Ubaldini sposò Francesco di Sinibaldo Ordelaffi, signore di Forlì, nel 1334, anno in cui questi annesse la città di Cesena ai propri domini personali3. Gli Ordelaffi, insediatisi a Forlì a partire dalla seconda metà del xii secolo, consolidarono le proprie ambizioni signorili nel corso del Duecento, facendo leva sullo stretto rapporto che intercorreva tra la città romagnola e l’Impero, con il quale si erano schierati fin dai tempi di Federico ii. In particolare, sfruttarono a proprio beneficio non solo le lotte di fazione interne alla città, ma pure quelle con i comuni vicini, e specialmente con Faenza, governata dai Manfredi, di parte guelfa4. Con Francesco, che assunse il controllo sulla signoria nel 1331, il dominatus ordelaffesco raggiunse il massimo della sua estensione, inglobando le città di Forlì, Forlimpopoli, Bertinoro, Cesena e altri centri minori5. Molte di queste località furono sottratte al controllo della Chiesa, con il sostegno di Bernabò Visconti6. Marzia Ubaldini – o Cia, il diminutivo con cui è identificata nelle fonti – contribuì in prima persona al mantenimento e alla difesa del dominatus del marito e la sua fama nella storiografia è quindi intimamente legata alle sorti della signoria ordelaffesca. In particolare, gli avvenimenti tramandatici dai cronisti che vedono la Ubaldini protagonista si inseriscono nella cornice del conflitto tra i signori delle città romagnole e il cardinale Egidio Albornoz, che nel 1353 fu nominato legato papale in Italia e vicario generale dei domini della Chiesa da Papa Innocenzo vi. Durante il periodo avignonese, il papato aveva perso progressivamente il controllo diretto sui territori che componevano lo Stato Pontificio in Italia. La provincia Romandiola, di cui la Romagna 251faceva parte, era stata amministrata dallo Stato della Chiesa dal 1278, dopo essere stata oggetto di aspra contesa tra Papato e Impero ; gli scontri per l’egemonia sul territorio si erano però protratti anche nel Trecento a causa della nascita e della proliferazione dei regimi a carattere personale, venuti a riempire il vuoto d’autorità lasciato dalla Curia dopo il trasferimento in Provenza7. Su ordine del collegio cardinalizio, tra il 1353 e il 1367 l’Albornoz condusse una delicata missione militare, politica e diplomatica mirata a riassoggettare i territori dello Stato della Chiesa al diretto controllo del Papato e a riaffermare l’autorità pontificia. La riconquista della Romagna rappresentò l’ultima fase della missione del cardinale e consistette principalmente nella soppressione dei signori più influenti della regione, i Manfredi di Faenza e Francesco Ordelaffi, contro i quali Innocenzo VII bandì una crociata nel gennaio 1356 (che fu poi rinnovata nel 1357 e nel 1359) dopo averli scomunicati nel 13528.
Nella lotta contro le truppe del legato, Francesco Ordelaffi affidò a Marzia Ubaldini il presidio di Cesena, una delle città più rilevanti dal punto di vista strategico per l’equilibrio della sua signoria, poiché si trovava al confine con i territori dei filopapali Malatesta e rappresentava la prima città che l’Albornoz si sarebbe trovato a dover assoggettare risalendo dalle Marche9. Cia, in veste di condottiera, giocò un ruolo di primo piano in due eventi della guerra contro il Papato. Nell’agosto del 1354 respinse con i suoi uomini un’incursione delle truppe pontificie, capitanate dal conte Carlo di Dovadola, che avevano razziato il cesenate e raggiunto le mura di Cesena, e recuperò il bottino. Il conte rimase ferito mortalmente nello scontro, mentre molti dei suoi soldati furono presi in ostaggio : tra questi figuravano due figli di Ramberto Malatesta, conte di Ghiaggiolo. È attraverso la narrazione di questo episodio che Matteo Villani introduce il personaggio di Cia nella Cronica10 :
252Come il conte da Doadola fu sconfitto e morto dal capitano di Furlì.
Avendo il legato rivolto tutto suo intendimento di volere abbattere la tirannia di Francesco delli Ordilaffi […], il conte Carlo di Doadola con due figliuoli del conticino da Ghiaggiuolo […] si misse in preda con cento cavalieri e con assai masnadieri, e corsono infin presso alle mura di Cesena […]. E avendo questo sentito madonna Cia moglie del capitano a·ccui elli avea acomandata la guardia di quella città, non come femina, ma come vertudioso cavaliere montò a·ccavallo coll’arme indosso gridando, e smovendo i cavalieri soldati che v’erano che·lla dovessono seguire contra i nimici […]. I cavalieri inanimati, vedendo tanto ardire in una femina, […] la seguitarono, e aboccatosi co’ nimici per forza li sconfissono, e fuvi fedito il conte Carlo […] che poco appresso morì, e presi i due figliuoli del conticino da Ghiaggiuolo, e la maggior parte di cavalieri e assai masnadieri furono prigioni […]. (Cronica V, 77 ; I, p. 700)
Descrivendone la reazione alla scorreria delle truppe pontificie, il cronista rimarca che la nobildonna toscana si comporta « non come femina, ma come un vertudioso cavaliere », esibendo quindi caratteristiche associate al sesso maschile. In particolare, Villani riporta che Cia risponde senza esitazione alla minaccia incombente, montando a cavallo vestita della sua armatura e gridando per esortare i suoi uomini a seguirla in battaglia e difendere Cesena. L’ardimento di cui Cia dà prova, reso ancora più straordinario dal fatto che sia una donna a mostrarlo (« vedendo tanto ardire in una femina »), infervora le truppe, che riportano una netta vittoria sull’esercito papale. La Ubaldini è qui rappresentata come una condottiera che impone la propria autorità sui suoi soldati, che non la mettono in discussione. Questo perché, come ci ricorda il cronista, Cia fa le veci di Francesco Ordelaffi, che le « avea acomandata la guardia » di Cesena, e attua nell’interesse della signoria e del marito, con cui è totalmente identificata (come si deduce anche dalla rubrica, in cui la sconfitta e la morte del conte di Dovadola sono attribuite al capitano).
La caratterizzazione della Ubaldini è costruita su una serie di elementi che si ripresentano sistematicamente in tutti i brani della Cronica che le sono dedicati, a formare quasi uno specifico modus describendi11. 253Della donna sono messi in risalto il coraggio e la risolutezza, che trovano la loro origine nella sua lealtà incondizionata al marito e alla causa ordelaffesca12. Benché il Villani sia uno strenuo oppositore dei regimi a carattere signorile e, più in generale, della tirannia, e un sostenitore della causa guelfa e repubblicana13, la figura di Cia, moglie di un signore locale, è descritta positivamente. Per rappresentare in modo plastico l’eccezionalità della Ubaldini, il cronista ricorre al topos della mulier virilis, su cui si avrà modo di tornare in seguito : sebbene sia una donna e ne espleti le funzioni tradizionali di moglie e di madre, Cia riesce a superare i vincoli della dimensione strettamente femminile. Il Villani esprime con vividezza il contrasto tra apparenza muliebre ed essenza virile usando abilmente un costrutto correlativo sostitutivo, che vuole mettere in guardia i suoi lettori perché non si lascino ingannare dalla natura apparentemente inequivoca del referente extratestuale e, forse, dalle proprie esperienze empiriche : « madonna Cia » non agisce come una « femina », come ci si potrebbe aspettare, ma come un cavaliere, di cui possiede la dignità. Sempre al topos della mulier virilis va ricondotto 254il motivo del travestimento – nel caso di specie, sotto forma di armatura – che manifesta sul piano dell’esteriorità fisica la forza virile o andreia interiore della Ubaldini14.
Il secondo evento che vede Cia protagonista, assai più trattato nella storiografia dell’epoca, fu l’assedio di Cesena condotto dal cardinale Albornoz, durato circa due mesi, dall’aprile al giugno del 1357. Anche in questo caso è il Villani a offrirne il resoconto più dettagliato, che occupa molteplici capitoli del settimo libro della Cronica. Preparandosi ad affrontare l’offensiva del legato in Romagna, nel settembre del 1356 Francesco Ordelaffi organizzò un consiglio di guerra a Forlì, in cui comunicò la decisione di rigettare qualsiasi trattativa di pace e la volontà di difendere i propri domini fino alla morte, incitando i soldati i sudditi a essergli leali e fare altrettanto. Francesco decise di rimanere a Forlì e di supervisionarne l’apparato difensivo e delegò nuovamente il presidio di Cesena alla moglie. Il cronista prosegue poi la sua registrazione degli eventi descrivendo con minuzia come l’esercito papale accerchiò Cesena e, in particolare, le gesta di Cia durante le diverse fasi dell’assedio, fino alla capitolazione della città.
Riprendendo le fila della narrazione degli eventi cesenati, il cronista ne richiama rapidamente gli antefatti, un procedimento che adotta abitualmente per organizzare la multiforme materia della Cronica, specie quando un medesimo evento o nucleo di eventi si estende su più libri. Nell’aprile del 1357 l’Albornoz decide di assediare Forlì, dove l’Ordelaffi si è barricato per predisporne la difesa. Francesco affida quindi il compito di presidiare Cesena a sua moglie, mettendo a suo servizio duecento uomini tra cavalieri e fanti – ai quali intima di ubbidire agli ordini di Cia come se fosse stato lui stesso a impartirli – e affiancandole uno dei suoi consiglieri di fiducia, Sgaraglino da Pietracuta. Per la prima volta il Villani fornisce informazioni più dettagliate su Cia, menzionandone la paternità e la famiglia di origine (« madonna Cia, figliuola di Vanni Susinana delli Ubaldini » ; VII, 58 ; II, 255p. 81). Questa apposizione è significativa : da una parte mette in rilievo il personaggio in apertura di una sezione tematicamente compatta di cui sarà protagonista ; dall’altra ne delinea con precisione l’identità, in quanto Cia è presentata come discendente della famiglia ghibellina degli Ubaldini, uno dei casati illustri che controllavano l’Appennino tosco-romagnolo15. Il padre di Cia, Giovanni di Tano di Castello degli Ubaldini, è indicato con il nome di Vanni da Susinana, che assunse dopo essere diventato il signore del castello eponimo tramite il suo matrimonio con Andrea Pagani, che lo aveva ereditato nel 1302 dal padre Maghinardo, il medesimo condannato da Dante per il suo agire spregiudicato in politica e in guerra (Inf. XXVII, 49-51) ed esaltato da Giovanni Villani come « grande e savio tiranno […] ; savio […] di guerra e bene aventuroso in più battaglie » (Nuova Cronica VIII, 149, 10-14)16. Il riferimento permetteva dunque ai lettori contemporanei di cogliere in filigrana l’origine dell’abilità e del valore militare della Ubaldini, cresciuta con ogni probabilità in uno dei castelli del dominatus familiare sull’Appennino e istruita da genti abituate al mestiere delle armi17. Secondo il resoconto villaniano, Cia si dimostra infatti una capace donna d’arme, che organizza e supervisiona in modo meticoloso le difese di Cesena e agisce con decisione e spietatezza pur di mantenere la città sotto controllo. Quando alcuni cesenati, temendo la superiorità delle truppe pontificie e, probabilmente, la lunghezza dell’assedio, permettono ai soldati del cardinale di entrare nel cerchio delle mura inferiori e di stabilirvisi come « terrazzani », la Ubaldini è costretta a ritirarsi con i suoi uomini nella cittadella, o « murata » (VII, 58 ; II, p. 81). Nonostante sia stata colta di sorpresa dall’insurrezione, Cia non mostra la minima esitazione : dopo aver fatto catturare e decapitare i tre cittadini colpevoli di essere scesi a patti con le truppe nemiche, fa gettare 256i loro corpi mutili nella parte bassa della città, per poi consacrare tutti i suoi sforzi a riorganizzare le difese della cittadella. Il cronista sottolinea in particolare come la Ubaldini non si scompone di fronte all’improvviso caso di fortuna e si adatta alla nuova situazione con il coraggio e la determinazione che la contraddistinguono, « mostrando di poco temere cosa ch’avenuta fosse » (VII, 58 ; II, p. 81). Cia non perde la propria lucida metodicità nemmeno quando il legato, dopo aver appreso che la rivolta ha avuto successo, invia tutta la sua cavalleria e la sua fanteria a Cesena per controllarne gli ingressi, prima che questa possa essere soccorsa dai suoi alleati (VII 59 ; II, p. 81-82). Francesco Ordelaffi ha infatti richiesto l’aiuto di Bernabò Visconti che, non volendo inimicarsi pubblicamente la Chiesa, assolda e invia in appoggio alla Ubaldini la compagnia di ventura del conte Lando. Determinato a prendere Cesena prima dell’arrivo delle truppe mercenarie, l’Albornoz intensifica le operazioni d’assedio, facendo installare otto macchine a tiro, o « trabocchi », per fare breccia nelle mura ; nel frattempo, tenta di corrompere i cittadini di Cesena con denaro e contrattazioni. È in questo frangente che la Ubaldini dà prova della sua lealtà totale al marito : poiché nutre il sospetto che Sgaraglino da Pietracuta abbia negoziato con il legato la resa della città a sua insaputa, lo fa giustiziare immediatamente. La donna resta dunque da sola a capo delle truppe, partecipando attivamente alla difesa delle mura assediate e indossando la sua corazza. Il cronista rimarca che il suo comportamento straordinariamente feroce e impetuoso provoca nei suoi alleati e nei suoi nemici la medesima paura che avrebbe suscitato Francesco Ordelaffi se fosse stato presente (VII, 64 ; II, p. 86-87). Quando le truppe pontificie riescono a introdursi nella « murata », Cia è costretta a ripiegare sulla rocca con quattrocento soldati fedelissimi e con la sua famiglia (VII 68 ; II, P. 91-92). Nonostante sappia che la resa di Cesena è ormai prossima, la Ubaldini continua a incitare le sue truppe e ad aiutarle a mantenere le proprie posizioni. Il padre di Cia decide allora di recarsi da lei, con il beneplacito di Albornoz, per convincerla ad arrendersi. Giunto alla presenza della figlia, l’Ubaldini la prega di ascoltare i suoi consigli e ragioni, di riconoscere il pericolo e le esigue possibilità di riuscita : Vanni, da uomo autorevole e militare esperto, rassicura la figlia del fatto che una resa, in quella situazione, non sarebbe ritenuta un’azione disonorevole nemmeno per il più valoroso dei condottieri. Nonostante il rispetto e l’affetto che nutre per il padre, Cia ne respinge i consigli, affermando che intende 257attenersi ai suoi doveri di moglie – come le è stato raccomandato dallo stesso Vanni in occasione delle sue nozze – fino alla morte : il marito le ha affidato Cesena raccomandandole di non abbandonarne la difesa per nessuna ragione, a meno di non ricevere da lui un ordine esplicito, e sino a che manterrà il suo impegno non temerà la morte. Congedatasi dal padre, la Ubaldini torna a dedicarsi alla difesa della rocca, suscitando l’ammirazione di Vanni. Il Villani chiude il suo resoconto del dialogo tra padre e figlia osservando che se tutto ciò fosse accaduto ai tempi dei Romani, i grandi storiografi avrebbero onorato Cia mettendo per iscritto le sue azioni perché degne di lode (VII, 69 ; II, p. 92-94). Nella fase finale dell’assedio, l’Albornoz dà l’ordine di scavare cunicoli sotto la fortezza, per minarne le fondamenta. Nonostante la Ubaldini non dia segno di voler arrendersi e continui a disporre le riparazioni dopo gli attacchi subiti, i suoi « conestabili », sapendo che il mastio è prossimo a cadere, la informano della loro decisione di arrendersi, maturata dopo aver capito che non esiste ormai via di fuga, nonostante la loro fedeltà alla causa e la resistenza valorosa di Cia. La donna, riconoscendo la ragionevolezza della loro decisione, chiede al legato un salvacondotto per i suoi uomini, senza però domandare la medesima indulgenza per sé e i suoi familiari. Cesena si arrende il 21 giugno 1357. Cia viene scortata alla rocca papale d’Ancona dal legato che, benché la tenga prigioniera per punire la superbia di Francesco Ordelaffi, è impressionato dalla sua costanza e dal suo animo indomito (« [Cia] così contenne il suo animo non vinto e non corrotto, e in aspetto continente come se·lla vittoria fosse stata sua ») e le riserva un trattamento di riguardo (VII, 77 ; II, p. 102-104).
Commentando l’episodio della difesa della rocca di Cesena, Duprè Theseider osserva a ragione che esso ricopre una « modesta portata » all’interno delle vicende della riconquista della Romagna, presenta pochi momenti salienti ed è quindi agevolmente riassumibile ; Matteo Villani e l’Anonimo Romano, tuttavia, lo dilatano, inserendo elementi d’invenzione che rendono impossibile distinguere la registrazione degli accadimenti storici puri dalle pratiche discorsive18. Nel caso del Villani, il resoconto degli eventi cesenati è costruito intorno alla figura di Marzia Ubaldini, alla quale il cronista dedica ampio spazio, un fatto altamente inusuale nella Cronica. L’attenzione riservata a Cia potrebbe essere in 258parte giustificata dai legami familiari che univano i Villani agli Ubaldini – la madre di Matteo, Fia di Ugolini da Coldaia, proveniva infatti da una famiglia nobile del Mugello legata agli Ubaldini19 – ma il ritratto che Matteo ne fornisce merita di essere indagato almeno per due motivi.
Il discorso storiografico villaniano è improntato, almeno programmaticamente, a un ideale di brevitas : nel proemio della Cronica, in cui afferma i propri intenti personali di storico, il Villani rivendica la necessità di una maggiore raffinatezza formale e della concisione della prosa storiografica, due caratteristiche secondo lui imprescindibili per realizzare appieno la funzione educativa che egli attribuisce alla storia. Presentandosi come un collettore di materiali più o meno grezzi (« le nostre storie ») e di limitato talento, il Villani afferma che saranno i suoi futuri lettori dal « più alto ingegno », dotati quindi di un’abilità letteraria superiore, a dare una veste formale adeguata a questi materiali, perché risultino piacevoli ai lettori e agli uditori e per aumentare il loro valore edificante di « amaestramenti ». Il Villani identifica il tratto precipuo di questa veste formale nella brevitas : le persone di grande ingegno devono « ristrignere su brievità » la materia storica. Il discorso storiografico raggiunge pertanto la sua massima efficacia e il suo massimo beneficio quando il cronista, lo scrittore o il compilatore riesce a condensare la materia trattata nei suoi punti salienti20. Si tratta di un’indicazione a carattere metodologico, nonostante sia declinata secondo il consueto topos modestiæ, che il Villani cerca di seguire nella stesura dell’opera, con risultati più o meno soddisfacenti21. L’importanza del principio della 259brevitas è indicata dal fatto che, quando si trova a doverlo trasgredire, il cronista lo segnala esplicitamente22. Nel caso che ci interessa, registrando gli eventi man mano che accadono, il Villani deve giocoforza rievocare la figura della Ubaldini più di una volta : ciò non spiega tuttavia come mai dedichi così ampio spazio alla sua caratterizzazione, tanto più senza motivare la sua infrazione della brevitas.
In secondo luogo, il ritratto che il Villani tratteggia della Ubaldini è eccezionalmente positivo. Cia viene così a rappresentare l’unica figura del tutto virtuosa dell’intera Cronica che, in linea con il tono pessimistico che la pervade, è popolata di figure anonime, antieroiche e negative23. Il cronista attribuisce invece alla Ubaldini tutte le principali virtù militari e politiche dei grandi condottieri. Ciò è reso apparente dalle scelte lessicali assai inconsuete compiute per descrivere la condottiera e le sue gesta : Cia è « valentre » e, poiché possiede un « animo ardito e franco più che virile », non si fa scoraggiare dai casi di fortuna, a cui reagisce con prontezza e metodo ; organizza « francamente » e con « sollicitudine » il sistema difensivo, mantenendo l’ordine tra i suoi uomini e dirigendoli e confortandoli in modo ammirevole ; ribadisce la propria autorità indossando l’armatura e condannando a morte i traditori ; la sua determinazione a compiere la sua missione fino in fondo non le impedisce di dare il giusto valore alle parole dei suoi uomini e di accettare il loro consiglio di negoziare una tregua. Il Villani non manca inoltre di sottolineare, mediante l’uso insistito di termini e espressioni come « non sanza amirazione » e « maravigliosamente », come il comportamento della donna e le sue doti belliche suscitino la stupefazione ammirata e 260il rispetto sia dei suoi nemici, sia dei suoi alleati, i quali la temono e riveriscono come farebbero con Francesco Ordelaffi (riproponendo così l’identificazione tra moglie e marito). La stima dei suoi soldati, narra Matteo, si trasforma addirittura in venerazione : essi sono disposti a seguire gli ordini di Cia fino alla morte « per singolare amore ». La virtù della Ubaldini raggiunge il suo apice quando costei si rifiuta di seguire i consigli del padre e, con fermezza, reitera la fedeltà che la lega al marito e alla causa. Ritorna anche con insistenza il topos della mulier virilis : oltre a riprendere il tema del travestimento, il cronista declina più volte il tema della « fortezza virile » dell’animo di Cia, osservando che la donna si porta persino meglio del « più valentre capitano del mondo ». Che il Villani si concentri su questo aspetto non è banale : le donne, nella Cronica, sono descritte in genere come vittime della debolezza del proprio sesso e in balìa delle loro passioni24. La loro caratteristica principale è la « mollizie » fisica e morale. Si consideri a questo proposito :
Era in quelli dì il Dalfino di Vienna uomo molle, e di poca virtù e fermezza. Costui alcuno tempo tenne vita feminile e lasciva, vivendo in mollizie : e apresso volle usare l’arme ; e andò capitano per la Chiesa alle Smirre in Turchia, e dove potea acquistare onore e pregio, tornò con poca buona fama : e per bisogno impegnò alla Chiesa il Dalfinato per cM fiorini d’oro ; […] vendé a·rre Filippo di Francia il Delfinato, contro alla volontà de’ suoi paesani, e pagò la Chiesa […]. (Cronica I, 28, 11-22 ; I, p. 54)
Matteo riporta la cessione del delfinato di Vienne al regno di Francia, avvenuta nel 1349 : l’ultimo delfino, Umberto Le-Vieux de la Tour-du-Pin, decide infatti di vendere il proprio titolo e i propri possedimenti a Filippo VI perché, di ritorno dalla sua fallimentare spedizione militare a Smirne, si ritrova oberato dai debiti contratti con la Chiesa. Secondo 261il cronista l’esito catastrofico della campagna militare e la perdita del Delfinato sono determinati in primis dalla debolezza di carattere di Umberto, che non possiede le qualità necessarie a un buon sovrano, poiché è un uomo debole, effeminato e incapace di esercitare la propria autorità, che per lungo tempo si è abbandonato a una vita di piaceri. Umberto è descritto in modo specularmente opposto alla Ubaldini : è un uomo, ma manca degli attributi considerati propri del suo sesso – la virilità, la fermezza, la forza, il talento bellico, la capacità razionale di prendere decisioni non avventate – e possiede quelli che il cronista riconduce al genere femminile25. Umberto e la Ubaldini rappresentano dunque delle eccezioni alla norma e dei casi limite, in cui l’uomo e la donna abbandonano la dimensione del loro sesso biologico e presentano caratteri di quello opposto. Il fatto che la Ubaldini, caso unico nella Cronica, sia presentata come una donna che riesce a superare le limitazioni del suo sesso e oltretutto a essere paragone di virtù merita dunque di essere indagato.
Porta, il moderno editore del Villani, nella sua introduzione alla Cronica menziona en passant i capitoli dedicati a Cia, osservando che per essi « vale senz’altro il magistero del Boccaccio », senza tuttavia 262approfondire ulteriormente o portare prove a sostegno della sua affermazione26. La questione va però considerata meglio, perché a nostro avviso la descrizione di Cia sembra risentire, in effetti, dell’influenza alcuni ritratti del De mulieribus claris. Tale influenza potrebbe aiutare a spiegare almeno in parte la singolarità e l’importanza dell’episodio della Ubaldini nella Cronica : sia l’ampliamento narrativo (che causa l’infrazione del principio della brevitas) sia la caratterizzazione di Cia come mulier virilis paiono infatti elementi di ascendenza boccacciana.
Nel prologo al decimo libro della Cronica il Villani sviluppa il tema della superbia, portandone degli esempi concreti che dimostrano come tale peccato sia inviso a Dio e, di conseguenza, punito. Secondo la regola che vuole che nel prologo sia discusso un tema che lo colleghi alla materia narrata nel libro a cui è apposto, ci si aspetterebbe esempi tratti dal decimo libro e dalla contemporaneità : i personaggi citati – Serse, Sennacherib, Dario, Ciro e Tomiri – sono invece antichi (Cronica X, 1, 11-36 ; ii, p. 457-459). È il cronista a esplicitarne la fonte poco più avanti :
Chi volesse raccogliere tutti li strabocchevoli avenimenti e·lli orribili e pericolosi fini de’ famosi re signori principi del mondo che·nne passati secoli sono saliti al sommo e altissimo grado della dignità mondane e poi caduti in somma miseria e vituperio del mondo e in dirisione e scherno d’ogni qualunque vile omo, non farebbe proemio di libro, ma·ppiù tosto comporrebbe annali e volumi di lunghe storie ; e·cchi vuole intendere quello ch’io dico legga il libro di messere Giovanni Boccacci dove e’ tratta del caso delli uomini illustri e quello dov’elli tratta delle chiarissime donne. Basti adunque d’alcuno avere fatta menzione per dare alcuno principio di somigliante materia a·nnoi, tutto che non sì rilevata, al prencipio del nostro decimo libro. (Cronica X, 1, 37-51 ; II, p. 458-459)
Il Villani afferma di aver tratto i suoi esempi dal De casibus virorum illustrium e dal De mulieribus claris del Boccaccio27. Il decimo libro registra 263gli accadimenti compresi tra il settembre 1360 e l’agosto del 1362, che Matteo deve aver annotato praticamente in contemporanea o poco dopo il loro concretizzarsi (anche se il terminus ante quem di rielaborazione è rappresentato dalla morte del Villani, nel luglio del 1363). Le due opere latine del Boccaccio risalgono invece al ritiro certaldese dell’autore, nei primi anni Sessanta. La prima redazione del De casibus è databile attorno al 1360, benché l’opera fosse già stata pianificata nella seconda metà degli anni Cinquanta ; la prima stesura del De mulieribus, che qui ci interessa in maniera particolare, è situabile tra le estati del 1361 e del 1362, mentre la raccolta dei materiali è verosimilmente iniziata già a metà del 1360. Degli esempi citati dal Villani, soltanto quello di Tomiri e Ciro è contenuto nel De mulieribus (xlix) e appartiene al primo nucleo di biografie muliebri composto dal Boccaccio nel 1361, che comprendeva 102 delle 106 biografie totali28. È notevole che Matteo citi due testi del Boccaccio che, all’altezza cronologica in cui egli si trova a scrivere e a rielaborare i suoi materiali, erano stati composti nelle loro prime redazioni da poco tempo ; e che dimostri di conoscerne i contenuti29.
264Ritornando ai brani dedicati alla Ubaldini, gli eventi risalgono al 1354 e al 1357 e la loro prima registrazione deve essere avvenuta poco dopo ; tuttavia, non è irragionevole supporre una loro rielaborazione da parte del Villani – e, nel caso di specie, di una loro integrazione con elementi tratti dal De mulieribus –, dopo aver preso conoscenza dell’opera del Boccaccio30. Il fatto che il cronista riconosca nel Boccaccio una auctoritas e nelle sue compilazioni un serbatoio di vicende esemplari è tuttavia parlante.
È necessario evidenziare in via preliminare quanto sia peculiare la caratterizzazione che Matteo fornisce della Ubaldini : a questo scopo è utile confrontare brevemente il suo resoconto con quello offerto da altri testi. Gli eventi dell’assedio di Cesena in particolare sono riferiti da un numero abbastanza cospicuo di fonti coeve che menzionano anche Cia : tra queste si annoverano la Cronica dell’Anonimo Romano e i testi di area romagnola, come il Chronicon Ariminense, gli Annales Caesenates, e alcuni testi contenuti nel Corpus chronicorum Bononiensium31.
265L’Anonimo è l’autore che, con il Villani, dedica alla Ubaldini uno spazio abbastanza consistente, ma non la menziona per le sue doti di femina virilis32. A differenza del Villani, l’Anonimo riporta uno scambio epistolare tra i coniugi, attraverso il quale l’Ordelaffi avrebbe affidato alla moglie la difesa di Cesena. Menziona poi un’ulteriore missiva del capitano, in cui questi ordina alla Ubaldini di giustiziare quattro cesenati perché li sospetta di simpatie guelfe. Si noti come la versione dell’Anonimo ridimensioni il ruolo giocato da Cia nello smascheramento e nell’esecuzione dei congiurati, poiché ad accorgersi del tradimento sarebbe stato Francesco, mentre il Villani lo ingigantisce. La Ubaldini inoltre non esegue prontamente il « commannamento » del marito e ne mette anzi in dubbio la bontà ; decide di osservare da sé i quattro sospettati e, commettendo un errore di giudizio, delibera che si tratta di « bone e fidele persone ». Ella ascolta i consigli di Sgaraglino e Giorgio Tiberti che, a loro volta implicati nella congiura, la dissuadono dall’agire. La Marzia dell’Anonimo è perciò una donna costretta da necessità a difendere Cesena, ma manca della capacità analitica e decisionale e del piglio virile che le attribuisce il Villani, e le sue caratteristiche principali sono l’ira e l’efferatezza. Difatti, dopo la congiura, è l’ira che la spinge a decapitare Sgaraglino e Tiberti (« Irata madonna Cia de questa perdenza convertìo la sia ira in li doi consiglieri amicissimi dello marito, Iuorio delli Tumberti e Scaraglino, feceli decollare ») ; quando i Malatesta riescono a espugnare la torre della rocca e a farla crollare, Cia è colta dall’ira ed è incapace di decidere il da farsi (« Madonna Cia irata de ciò non sapeva que·sse fare ») e opta allora per prendere quei cittadini di cui dubita la lealtà e sacrificarli sotto l’ingresso della rocca pericolante. Da questo punto in poi, la donna è assalita dai dubbi ed è ormai « rotta nell’animo » e non lo nasconde : l’Albornoz, giunto a Cesena per supervisionare l’assedio, capisce subito di aver vinto la battaglia. La passività, la confusione e l’atteggiamento quasi disfattista 266della Cia dell’Anonimo sono in netto contrasto con la determinazione e la lucidità della Cia matteana, che per il bene dei suoi uomini decide di scendere a patti con il legato, che rimane impressionato dalla sua forza d’animo, rimasta intatta durante l’assedio. La descrizione fornita dall’Anonimo è in linea con le sue visioni filoguelfe, e i toni riservati ai signori di Forlì e Cesena sono poco lusinghieri (Francesco è definito « un perfido cane patarino »)33. Ciò rende però ancora più evidente e rilevante la positività della descrizione villaniana : essendo Matteo un guelfo a sua volta, e perdipiù un fiero oppositore della tirannide, ci si sarebbe potuti aspettare che tratteggiasse un ritratto di Cia più simile a quello dell’Anonimo.
Gli Annales Caesenates offrono, come ci si può aspettare, una versione più succinta dei fatti di Cesena. Due nobili filoguelfi, Marco e Poltrone Filippini, si aggirano per le vie della città durante l’assedio, incitando la popolazione a ribellarsi. La Ubaldini e il suo seguito, coinvolti nei disordini, ripiegano sull’interno della murata, bruciando le case che si trovano nei cerchi di mura inferiori nel corso della loro ritirata ; in seguito all’affronto subìto, la donna decide di incarcerare il Tiberti e gli altri congiurati34. Gli Annales descrivono dunque la Ubaldini come una donna risoluta, che non ha remore a incarcerare chi si oppone all’autorità del marito e a incendiare le abitazioni perché non cadano in mano nemica, ma le sue azioni e quelle dei suoi uomini sono considerate demoniache (« spiritu diabolico instigati »). Il testo non rappresenta Cia come un modello virtuoso, né come una donna virile.
Nelle altre fonti, la Ubaldini è presente in modo meno predominante. Il Chronicon Ariminense descrive succintamente la presa di Cesena, come sempre menzionando la congiura istigata dall’Albornoz, la ritirata nella murata e l’assedio con i trabocchi e il puntellamento del mastio, che porta Cia a capitolare e a chiedere un salvacondotto per i suoi uomini, ma non per sé35. La figura della Ubaldini non è però messa in rilievo e manca del tutto il motivo della mulier virilis ; lo stesso accade nella cronaca dei Villola, nonostante l’antagonismo di questi per l’Albornoz. Un caso interessante è invece quello della cronaca Bolognetti. Riportando gli eventi cesenati, in modo conciso, il cronista sottolinea la determinazione 267infaticabile di Cia nel mantenimento della rocca, il suo coraggio e valore, e il fatto che vestisse come un uomo indossando l’armatura (« Marozia, degli Obaldini si si tene in la rocha de Zexena gran tempo e lasose cavare e puntelare inanzi ch’ela s’arendesse ; e armavase a la meschia como hommo, ed era gaiarda e valorosa de soa persona »)36. È presente dunque in nuce il motivo della donna virile e coraggiosa, anche se mancano in questa versione l’ampliamento narrativo a cui il Villani sottopone gli eventi che coinvolgono la Ubaldini e la costruzione sistematica di una descrizione basata sul motivo della mulier virilis37.
Resta da stabilire, pertanto, se il Boccaccio e le sue biografie muliebri possano avere in qualche modo contribuito a plasmare il ritratto di Cia nella Cronica. Nella sua analisi sui caratteri peculiari delle mulieres clarae boccacciane, la Franklin ha osservato giustamente che un tratto comune e ricorrente delle biografie delle donne degne di lode consiste nel fatto che costoro, quando sono confrontate con la dipartita prematura o l’assenza del consorte, trovano nel desiderio di salvaguardarne l’eredità e la reputazione uno stimolo per realizzare appieno le virtù insite nella loro personalità. Più concretamente, esse superano la debolezza connaturata nel loro sesso e arrivano a esibire qualità maschili : la forza, la costanza, l’audacia e l’astuzia politica e bellica38. Il già menzionato esempio di Tomiri, regina degli Sciti (De mulieribus xlix), e quello di Zenobia, regina di Palmira (De mulieribus c)39 mettono bene in luce come il Boccaccio costruisca il topos della femina virilis nelle sue biografie :
268[scil. Ciro] esto toti Asye […] formidabilis foret, non tamen, ut femina, territa, latebras petiit [scil. Tomiri], seu leges pacis caduceatore postulavit medio ; quin imo congregatis copiis et belli dux facta, cum posset navato opere obsistere, eum cum omni exercitu Araxem transire passa est et suos intrare fines, arbitrata sagax femina longe melius expugnari Cyri rabiem infra terminos suos posse quam extra. […] Tamiris autem cum audisset suorum cedem, etsi plurimum ob unici filii necem vidua moveretur, non tamen femineo more se dedit in lacrimas, quin imo, illis ira et vindicte cupiditate sedatis, cum residuo copiarum […] hostem […] capi posse existimavit ; et locorum gnara, fugam simulans, […] secutorem […], non longo viarum tractu, deduxit atque conclusit et […] inter aspreta saltus […] cum omni exercitu, fere delevit […]. (De mulieribus xlix, 1-7)
« Benché costui [scil. Ciro] fosse terribile a tutta l’Asia […], [scil. Tomiri] non cercò, con spavento di femmina, un nascondiglio, né chiese, per mezzo di negoziatori, condizioni di pace ; riunì anzi l’esercito e fu proclamata comandante. Avrebbe potuto contrastare […] l’accesso al suo nemico, ma preferì lasciargli passare l’Arasse con tutto l’esercito e farlo entrare nel suo territorio. L’astuta donna pensava che la rabbiosa aggressione di Ciro poteva essere debellata entro i confini meglio che fuori del regno. […] Quando però Tamiri seppe della strage dei suoi, benché, già vedova, fosse molto scossa dalla morte dell’unico figlio, non ruppe in lacrime, come son solite fare le femmine, anzi le represse per l’ira e la brama di vendetta ; e col resto dell’esercito pensò di poter sorprendere il nemico […]. Ben esperta dei luoghi, fingendo la fuga, attrasse il suo […] inseguitore per on lungo giro […] e ne chiuse l’esercito […] tra boschi accidentati ; poi, piombandogli addosso […] lo distrusse40. »
Tomiri, rimasta vedova, eredita dal marito la responsabilità del regno, in attesa che il figlio raggiunga la maggiore età. Quando Ciro raggiunge la Scizia, la donna non cerca di fuggire o di blandire il re persiano con promesse diplomatiche, come avrebbe fatto qualunque altra donna, ma, motivata dalla volontà di difendere l’eredità del consorte raduna tutto il suo esercito e se ne proclama comandante. La regina, grazie alla sua sagacia, elabora un brillante piano, ossia attendere che l’esercito persiano si addentri nel profondo dei territori sciti per poi colpirlo al momento opportuno, sfruttando il vantaggio della conoscenza del territorio. Il piano però fallisce, perché l’unico figlio di Tomiri è tratto in inganno da Ciro, che lo uccide. Appresa la notizia, Tomiri, benché in lutto, non piange come le donne sono solite fare, bensì reprime le lacrime e si prodiga per vendicare la morte del figlio. Decide quindi di tendere 269un’imboscata a Ciro e alle sue truppe, fingendo di fuggire per attirarli allo scoperto, e piomba loro addosso. Le truppe vengono sterminate e Ciro è decapitato da Tomiri.
Zenobia rappresenta un caso ancora più emblematico di femina virilis :
Zenobia […], tam eximie virtutis femina […], ut ceteris gentilibus inclita fama preponenda sit. […] Quibus fugata muliebri mollicie adeo eam in virile robur duratam aiunt ut coetaneos iuvenes […] superaret. Tandem, instante etate nubili […] Odenato […]. Que cum cerneret Odenatum, capto a Sapore rege Persarum Valeriano Augusto turpique servitio damnato et Galieno filio effeminate torpescente, ad orientale occupandum imperium intentum, non immemor duriciei pristine armis formositatem tegere et sub viro militare disposuit […] ; et, nullis parcens laboribus, nunc ducis, nunc militis officia peragens, non solum acerrimum virum et bellorum expertum virtute armorum superavit, sed creditum eius opere Mesopotamiam in iurisdictionem venisse […]. (De mulieribus c, 1-6)
« Zenobia […] fu donna di così alte virtù […] che deve essere posta innanzi a tutte le altre pagane per la sua fama illustre. […] respingendo da sé ogni mollezza, dicono che s’indurì talmente alle fatiche virili da superare […] i giovani suoi coetanei. Finalmente giunse all’età da marito e sposò […] Odenato […]. L’imperatore Valeriano era stato allora catturato da Sapore, re dei Persiani, e condannato a vergognoso servizio. Anche il figlio Gallieno languiva negli ozi femminei. Allora Odenato si accinse all’occupazione dell’impero d’Oriente. Quando Zenobia lo vide intento all’impresa, decise di coprire colle armi le sue belle forme, memore dell’antica forza, e di militare al servizio del marito […]. Non risparmiò fatiche, compiendo l’ufficio ora di comandante, ora di soldato ; e non solo vinse colle armi quell’uomo ferocissimo ed esperto di guerra, ma ridusse in proprio potere […] la Mesopotamia. »
La regina di Palmira disprezza sin dall’infanzia la mollizie femminile e decide di temprare il proprio corpo con le arti maschili della lotta e della ginnastica, superando i suoi coetanei uomini. Sposatasi con Odenato, lo segue nella sua campagna militare contro l’ « effeminatus » figlio dell’imperatore Valeriano, Gallieno, che regna sulle regioni orientali dell’impero da quando il padre è stato ridotto in schiavitù dal re persiano Sapore. Durante la guerra Zenobia si distingue per i suoi sforzi e per l’arditezza del suo animo, in qualità sia di semplice soldato, sia di capitano, e aiuta il marito a conquistare la Mesopotamia. Quando Odenato è ucciso, Zenobia rivendica il trono e, dopo aver regnato per molto tempo, sfida l’imperatore Aureliano. Benché all’inizio la regina non sia minimamente turbata dall’arrivo delle truppe imperiali e si batta con valore e a lungo, Aureliano riesce a farla fuggire a Palmira 270e a porre la città sotto assedio. Zenobia rifiuta qualunque condizione di resa, difendendo la città a oltranza con « mira solertia », ma deve poi capitolare per mancanza di vettovaglie. Nonostante alla fine sia dunque costretta ad arrendersi, Zenobia è lodata dal Boccaccio per il suo valore militare, forgiato dall’addestramento e dalla disciplina. Anche i soldati ne sono così impressionati che, se alleati, la stimano ; se nemici, la temono profondamente, in ambo i casi come se fosse un uomo. Zenobia si presenta infatti come un condottiero e una loro pari e non compare mai dinanzi alle sue truppe, né tantomeno le arringa, se prima non indossa il proprio elmo :
Fuit enim illi tanta bellorum industria et adeo acris militie disciplina, ut eque illam magni penderent sui exercitus et timerent. Apud quos nunquam concionata est nisi galeata […].Tanti profecto fuit hec ut, Gallieno atque Aureolo et Claudio Augusto sublatis, et Aureliano […] in principatu suffecto […] in se traxerit. Nam […] Aurelianus cum omni cura zenobianam expeditionem assumpsit, et […] cum legionibus tandem haud longe Emessam civitatem devenit, quam penes Zenobia, in nullo perterrita, […] cum exercitu suo consederat. Ibi inter Aureli<an>um et Zenobiam de summa rerum acriter et diu pugnatum est. Ad ultimum, cum romana virtus videretur superior, Zenobia […] in fugam versa Palmira sese recepit. In qua evestigio a victore obsessa est. Quam cum aliquandiu, nullas volens conditiones deditionis audire, mira solertia defendisset, in penuriam oportunarum rerum deducta est. (De mulieribus c, 10-18)
« Tale fu la sua pratica di guerra, e così severa la disciplina militare sotto di lei, che i suoi eserciti, come la stimavano, così la temevano. Ed essa non si presentò dinnanzi a loro ad arringarli, se non coperta dall’elmo […]. Zenobia fu regina così valorosa che, dopo la morte di Gallieno, di Aurelio e di Claudio, quando successe al trono Aureliano […], ella trascinò ad attaccarla l’imperatore […]. Aureliano infatti […] intraprese con ogni cura la spedizione contro Zenobia e […] giunse finalmente con le sue legioni non lungi da Emessa, dove Zenobia, per nulla atterrita, si era accampata col suo esercito […]. Lungo e aspro fu lo scontro di Aureliano con Zenobia. Infine dinanzi alla superiorità delle forze romane, Zenobia si diede alla fuga coi suoi e si ritirò a Palmira. Subito vi fu stretta d’assedio dal vincitore ; ma, rifiutando ogni condizione di resa, la difese con mirabile impegno fino allo stremo, fino a quando […] le vennero a mancare i viveri. »
Tomiri e Zenobia non sono dunque motivate dalla sete di potere o da ambizione individuale, ma dal desiderio di preservare quanto ereditato dai loro consorti e di non sottomettersi al giogo degli invasori, e dalle loro personalità virtuose : la loro autorità e il loro coraggio derivano perciò dal loro legittimo ruolo di mogli (e di madri) e non 271dall’usurpazione41. È proprio questo desiderio che sprona Tomiri a non comportarsi come qualunque madre che perde il proprio figlio e fare uso della propria intelligenza per sconfiggere il nemico : sin dall’inizio, si noti, la donna decide di comportarsi da uomo prode anziché da « femina territa », difendendo i territori del marito e dando prova di coraggio, tenacia e inventiva militare. Zenobia apprende invece le virtutes maschili sin da bambina e le affina in età adulta. Entrambe superano insomma le limitazioni imposte dal loro stesso sesso, convertendosi in mulieres viriles versate nell’arte della guerra. Se torniamo ora alla descrizione che il Villani dà della Ubaldini, possiamo notare che essa presenta notevoli punti di convergenza con gli esempi appena discussi, troppi per essere frutto del caso – soprattutto all’altezza cronologica in cui i brani su Cia sono composti. Cia si batte sino alla fine per difendere l’onore del consorte assente, e lo fa esibendo virtù degne del più grande comandante. Come le due donne boccacciane, Cia incarna un perfetto esempio di femina virilis che eccelle nel mestiere delle armi, dà prova di grande intelligenza tattica e rifiuta di comportarsi da donna pavida. Al pari di Zenobia non solo si fa rispettare, ma è solita incitare i propri uomini indossando l’armatura (si confronti il passaggio « Ed ella sola rimase guidatore della guerra e capitana de’ soldati, e il dì e la notte coll’arme indosso difendea la murata dalli asalti della gente del legato sì vertuosamente, e co· ardito e fiero animo, che·lli amici e’ nimici fieramente la dottavano » con « Fuit enim illi tanta bellorum industria et adeo acris militie disciplina, ut eque illam magni penderent sui exercitus et timerent. Apud quos nunquam concionata est nisi galeata »). Sempre come Zenobia, la Ubaldini si guadagna l’ammirazione di alleati e nemici, che non scema nemmeno dopo la sua sconfitta per mano dell’Albornoz.
Una ricognizione delle biografie del De mulieribus mostra che il Boccaccio, in particolare quando narra esempi di donne virtuose, tende a sottolineare che costoro, indipendentemente dalla loro condizione 272sociale, spiccano per la loro virilitas. La greca Leena, poiché possiede una virtù esemplare nonostante sia « dedita turpi meretricio », è descritta come una « virilis femina » che, sottoposta a tortura perché riveli i nomi di coloro che congiurano contro Ipparco, preferisce dapprima tacere con « mira constantia » e poi mozzarsi senza esitazione la lingua con « virile robur » (De mulieribus l, 4-6). Epicari, anch’essa una meretrice, risalta in maniera analoga per il suo incrollabile « virili robore » e preferisce impiccarsi anziché svelare l’identità degli autori della congiura pisoniana (De mulieribus xciii, 1). L’amazzone Pentesilea, per citare un altro esempio, compie imprese talmente virili da suscitare l’ammirazione di Ercole, l’eroe maschile per eccellenza (« et tot tanque grandia viriliter agere, ut ipsum spectantem aliquando Herculem in admirationem sui deduceret » ; De mulieribus xxxii, 4-5). Secondo il Boccaccio è proprio il fatto che sia un corpo femminile – e quindi debole, in teoria – a ospitare virtù maschili a rendere queste vicende ancora più esemplari e a intensificare così la loro forza pedagogica. Commentando il destino di Epicari, per spiegare come anche una prostituta possa offrire un modello di virtù, l’autore certaldese scrive :
Sarei propenso a credere che la natura cada talvolta in errore nell’unire l’anima al corpo degli uomini : come quando, ad esempio, infonde in un petto femminile un’anima che aveva ritenuto di aver messo in un petto maschile. Ma poiché Dio stesso è l’autore di tali creature, non è lecito credere ch’egli sia negligente nella sua opera. Bisogna dunque ritenere che noi tutti riceviamo, perfetta, l’anima ; ma le nostre opere dimostrano poi se la sappiamo conservar tale. Gli uomini dovrebbero quindi arrossire – io credo – quando si lasciano vincere da una donna, non dico lasciva, ma anche fermissima a sopportare qualunque fatica. Se infatti prevaliamo per sesso, è giusto che prevaliamo anche per fortezza. (De mulieribus xciii, 8-1042)
Che una donna possieda uno spirito maschile non è un errore di creazione, bensì il compimento di una precisa volontà divina. In altre parole : quando è una donna a incarnare le qualità virili, superando 273persino gli uomini stessi, ci troviamo di fronte a una concretizzazione esemplare dell’anima perfetta che Dio dà a tutti gli esseri umani. Gli uomini che sono superati in virtù da una donna devono pertanto vergognarsene, perché non mandano a effetto le qualità connaturali al loro sesso (Epicari, che è l’unica donna tra i cospiratori, è anche la sola a tacere e a difendere la causa, mossa da forza virile, laddove gli altri, indeboliti dalle torture, confessano). L’accostamento tra donne e virtutes viriles possiede un valore altamente edificante, dato che fa risaltare ancora di più, in un gioco di contrasti, la forza positiva insita in tali virtù.
L’insistenza con cui Matteo attribuisce alla Ubaldini tratti maschili, convertendola in una vera e propria mulier virilis, rende legittimo supporre che, come nel caso dei moduli descrittivi evidenziati sopra, abbia attinto anche questo uso del topos dai ritratti delle mulieres clarae boccacciane. L’opposizione edificante insita nel topos della mulier virilis, nei termini illustrati dal Boccaccio, si inserisce infatti specialmente bene nel discorso storiografico del cronista fiorentino, che è convinto che accostare elementi opposti contribuisca a metterne meglio in luce il loro valore esemplare (« Vogliono naturalemente le cose opposite e contrarie insieme avicinate più le loro contrarietà dimostrare » ; Cronica XI, 1, 1-3 ; II, p. 587).
Nella Cronica è tuttavia presente un altro elemento che permette di definire come plausibile l’influenza boccacciana sul ritratto di Cia, sempre per consonanza con la concezione storiografica villaniana. Il cronista, si è visto, nel proemio all’opera attribuisce una specifica funzione didattica alla storia, che deve fornire « amaestramenti » agli uomini. Gli insegnamenti a cui il Villani fa riferimento non sono astrattamente morali, ma pratici, e spesso sono connessi con il governo della cosa pubblica43. Specie quando intende condividere con i suoi lettori – e soprattutto con i suoi concittadini – un insegnamento che concerne la vita pubblica e politica e assicurarsi che esso sia recepito correttamente, il cronista è disposto a rinunciare a rispettare il principio della brevitas e talvolta lo dice apertamente, motivando la sua trasgressione con il fatto che l’« amaestramento » in questione è così importante da dover essere discusso per esteso44. In apparenza il caso della Ubaldini sembrerebbe 274differente, nonostante attraverso il topos della femina virilis vengano evidenziate le qualità personali della donna, perché non pare avere alcuna attinenza con la cosa pubblica. Ma è il Villani stesso ad avvertirci che i « fatti di madonna Cia » hanno un carattere esemplare straordinario : Cia è infatti indicata come la portatrice di una virtù paragonabile a quella antica (« Io penso, che·sse questo fosse avenuto al tempo de’ Romani, i grandi autori no·ll’arebbono lasciata sanza onore di chiara fama » ; Cronica vii, 69, 42-44 ; ii, p. 94). Ma in che cosa consiste esattamente questa virtù antica e che tipo di insegnamento offre ?
La Ubaldini, come le eroine antiche di cui ci narra anche Boccaccio, difende l’autonomia e la libertà di Cesena45. Benché sia la moglie di un tiranno locale, politicamente inviso al Villani, la Ubaldini si scontra infatti con un personaggio che per il cronista rappresenta una minaccia assai maggiore per la libertà, la stabilità e la sicurezza di Firenze e dell’Italia intera : il cardinale Albornoz. Poco più avanti nella Cronica, il Villani mette in guardia i suoi concittadini dalle malefatte e dai sotterfugi del ceto dirigente, che ha esposto la città a gravi pericoli e, più concretamente, al rischio di perdere la sua libertà46. Per dare corpo alle sue smisurate ambizioni su beni e territori ecclesiastici, infatti, esso « […] ha consigliato che·ssia dato aiuto e favore […] ai forestieri, che sotto nomi di duchi, conti, e capitani, o·llegati di papa, o altri titoli onesti nel nome ma tiranneschi nel fatto, dalla povertà di Proenza sono passati a·ssignoreggiare i nobili e famosi paesi di Italia, ma hanno sforzato o in uno o in altro modo e sospinto il nostro Comune disonestissimamente a·cciò fare » (Cronica viii, 103, 33-43 ; ii, p. 167). Il riferimento è qui di stretta attualità : il legato papale partito impoverito da Avignone non è altri che l’Albornoz, che è stato investito della missione legatizia dal papa senza però ricevere ingenti fondi per la riconquista. Il grande successo nella ricostruzione del potere pontificio è dovuto infatti in primis agli intrighi del cardinale, che scende a compromessi con i signori dell’Italia settentrionale e con le compagnie 275di ventura che depredano il territorio : ai primi concede il vicariato apostolico, che conferma loro il dominio sui propri territori ma li riconduce al contempo in seno all’autorità papale ; alle seconde offre invece solitamente denaro, perché abbandonino gli Stati Pontifici47. Il Villani si riferisce qui proprio a queste macchinazioni, nelle quali il cardinale vuole coinvolgere anche Firenze (Cronica VIII, 103, 43-98 ; II, p. 267-269 ; Cronica IX, 6 ; II, p. 287-290) e che suscitano la sua ripugnanza, perché mettono in pericolo l’indipendenza del comune, e lo portano criticare aspramente l’avidità del clero48. La resistenza della Ubaldini alle mire e ai complotti dell’Albornoz può pertanto fungere da prezioso insegnamento per i lettori del Villani, e specie i fiorentini, perché siano vigili e non perdano incautamente la propria libertà per interessi individuali o di parte, rischiando così di trovarsi sottoposti a un regime tirannico49.
La digressione su Cia è dunque pienamente giustificata dal punto di vista della sua utilità didattica ; resta tuttavia ancora poco chiaro come mai il Villani, anziché spiegare puntualmente i fatti di Cesena (come ha fatto, ad esempio, per quelli delle trame dell’Albornoz), decida invece di costruire un ritratto di virtù muliebre per trasmettere il suo « amae-
stramento ». È proprio in questo frangente “formale” che il Boccaccio sembrerebbe avere influenzato il Villani. Una delle maggiori innovazioni del De mulieribus claris rispetto alle biografie femminili precedenti è infatti la tendenza all’ampliamento narrativo e biografico degli episodi prescelti : attraverso il racconto, il Boccaccio crea dei ritratti femminili vividi e sfaccettati, sottraendosi alla tradizione dei cataloghi di virtù e vizi che cristallizzano le donne in unico gesto emblematico50. È lo stesso 276autore a esplicitare questa caratteristica inedita delle sue biografie nel proemio dell’opera :
Affinché non sembri che secondo un’antica abitudine, io tocchi delle materie soltanto i principi, stimo, non che utile, opportuno spingermi ad un racconto abbastanza esteso, colle notizie che avrò potuto conoscere da fonti fededegne. Io sono infatti del parere che le azioni femminili potranno piacere non meno alle donne che agli uomini. E le donne, il più delle volte, sono ignoranti di storia ed hanno perciò bisogno – e si allietano – di più lungo discorso. (De mulieribus, proemio, 851)
Il Boccaccio dà qui una vera e propria indicazione di metodo. Egli intende istruire le donne in materia di storia, e nello specifico, sulle gesta compiute da esponenti del loro stesso sesso ; e poiché le lettrici necessitano di un racconto più esteso che spieghi loro a fondo la materia per poter comprendere davvero il valore di quelle gesta, decide di costruire delle narrazioni più ampie a partire dal materiale a sua disposizione. Il fine dell’ampliamento narrativo è perciò dichiaratamente ed eminentemente pedagogico. Il De mulieribus potrebbe quindi aver fornito al Villani un modello di scrittura autorevole per raccontare efficacemente l’episodio di Cia, un modello che ben si accorda con la sua visione educativa della storia52.
277Il ritratto della Ubaldini, che potrebbe apparire a prima vista un elemento insolito all’interno della Cronica, viene quindi a occupare uno spazio preciso nell’opera e a incastrarsi perfettamente nel discorso storiografico matteano attraverso la mediazione del Boccaccio, che sorregge il Villani nella sua impresa di trasformare la sua nobildonna toscana in un’autentica mulier clara.
Martina Albertini
Universität Zürich
1 Eugenio Duprè Theseider, « Cia degli Ordelaffi », Studi romagnoli, 16 (1965), p. 113-122, alle p. 120-121 ; Matteo Villani, Cronica. Con la continuazione di Filippo Villani, a c. di Giuseppe Porta, Parma, Guanda, 1995, 2 vol., vol. 1, p. xi-xii ; Andrea Zorzi, Le signorie cittadine in Italia (secoli xiii-xv), Milano, Mondadori, 2010, p. 132 ; Francesco Pirani, « Ubaldini, Cia », Dizionario Biografico degli Italiani, 97, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2020, versione online : http://www.treccani.it/enciclopedia/cia-ubaldini_%28Dizionario-Biografico%29/ (consultato il 21/09/2020) ; Marino Zabbia, « Villani, Matteo », Dizionario Biografico degli Italiani, 99, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2020, versione online : https://www.treccani.it/enciclopedia/matteo-villani_%28Dizionario-Biografico%29/ (consultado il 23/06/2021). Ringrazio il Prof. Marino Zabbia per avermi gentilmente messo a disposizione in anteprima la voce dedicata al secondo Villani.
2 Maria Chiara Pepa, « Marzia Ubaldini. Una guerriera medievale nella mitografia medievalistica », Medievalismi italiani (secoli xix-xxi), a c. di Tommaso di Carpegna Falconieri e Riccardo Facchini, Roma, Gangemi, 2018, p. 115-130, a p. 119 e n. 30 ; Pirani, « Ubaldini, Cia », art. cité.
3 Per un profilo biografico dettagliato della Ubaldini, si vedano Duprè Theseider, « Cia degli Ordelaffi », art. cité, p. 114 e s., e Pirani, « Ubaldini, Cia », art. cité.
4 Sulla signoria degli Ordelaffi, si vedano Augusto Vasina, « Il dominio degli Ordelaffi », Storia di Forlì. ii : Il Medioevo, a c. di Augusto Vasina, Bologna, Nuova Alfa, 1990, p. 155-183, e José Villa Prieto, « Geografía de la cronística romandiola : fundamentos comunes y particulares de la historiografía en la Romaña pontificia durante la Baja Edad Media », Studia historica. Historia medieval, 35 (2017), p. 145-175, a p. 160.
5 Alma Poloni, « Ordelaffi, Francesco di Sinibaldo », Dizionario Biografico degli Italiani, 79, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2013, p. 418-422 ; versione online : http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-di-sinibaldo-ordelaffi_(Dizionario-Biografico) / (consultato il 21/09/2020) ; Zorzi, Le signorie cittadine, op. cit., p. 132.
6 Ce ne dà notizia l’Anonimo Romano : « Era in Romagna un perfido cane patarino, rebello de Santa Chiesia [Francesco Ordelaffi] […] Moite terre teneva occupate della Chiesia, la citate de Forlì, la citate de Cesena, Forlimpuopolo, Castrocaro, Brettonoro, Imola e Giazolo » (Cronica xxvi, 215-220). Il testo proviene da : Anonimo Romano, Cronica, a c. di Giuseppe Porta, Milano, Adelphi, 1979. Tutte le citazioni dall’opera dell’Anonimo sono tratte da quest’edizione.
7 Villa Prieto, « Geografía de la cronística romandiola », art. cité, p. 147.
8 Eugenio Duprè Theseider, « Albornoz, Egidio de », Dizionario Biografico degli Italiani, 2, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1960, p. 45-53 ; versione online : http://www.treccani.it/enciclopedia/egidio-de-albornoz_(Dizionario-Biografico), (consultato il 21/09/2020). Sulla crociata contro l’Ordelaffi : Leardo Mascanzoni, La crociata contro Francesco II Ordelaffi (1356-1359) nello specchio della storiografia. Exurgant Insuper Christi Milites, Bologna, Pàtron, 2017, p. 11-37 e Poloni, « Ordelaffi, Francesco di Sinibaldo », art. cité.
9 Duprè Theseider, « Cia degli Ordelaffi », art. cité, p. 117 e s. ; Pirani, « Ubaldini, Cia », art. cité.
10 L’edizione critica di riferimento è Matteo Villani, Cronica, ed. cit. Nel contributo i brani della Cronica saranno indicati in forma abbreviata come segue : numero del libro e del capitolo ; numero del volume dell’edizione critica e intervallo delle pagine.
11 I capitoli, di cui si consiglia la lettura in sequenza per rilevare come la caratterizzazione di Cia quale donna virile sia impiegata in maniera sistematica dal secondo Villani, sono i seguenti : Cronica V, 77 ; I, P. 700 ; VII, 58 ; II, P. 80-81 ; VII 59 ; II, P. 81-82 ; VII, 64 ; II, P. 86-87 ; VII 68 ; II, P. 91-92 ; VII, 69 ; II, P. 92-94 ; VII, 77 ; II, P. 102-104.
12 È notevole che l’integrità di guerriera di Cia, la sua fedeltà a Francesco Ordelaffi e alla causa della difesa della patria sono i medesimi tratti che l’hanno resa una delle eroine medievali per eccellenza riscoperte e promosse dalla mitografia risorgimentale. La vicenda e le virtù personali di Cia – note agli autori ottocenteschi attraverso i lavori del Muratori e del Sismondi sulle cronache medievali e, soprattutto, su quella villaniana – vengono rielaborate e offerte come un modello di comportamento esemplare per le donne che prendono parte alle battaglie per l’unità nazionale (ad esempio nella commedia sentimentale Marzia degli Ubaldini di Giovan Francesco Gambara del 1822). Per una trattazione approfondita, si veda : Pepa, « Marzia Ubaldini. Una guerriera medievale », art. cité, e in particolare a p. 121 e s.
13 In almeno in tre luoghi della Cronica Matteo delinea compiutamente i due estremi dell’opposizione libertà guelfo-repubblicana e tirannia ghibellino-signorile, identificando in Firenze il baluardo della prima e in Milano quello della seconda (Cronica IV, 77 e 78 ; I, p. 586-589, che vanno considerati insieme ; Cronica VIII, 24, 38-44 ; II, p. 164). La questione della presenza o meno di una riflessione politica nel secondo Villani è intrigante, ma esula i fini di questo contributo : essa è tuttavia stata a suo tempo oggetto di due studi di Green, che ha dimostrato come il Villani, sviluppando la sua dettagliata difesa del sistema repubblicano, contribuisca di fatto al mutamento semantico del termine “guelfo”, che passa dal designare gli alleati della Chiesa all’identificare i difensori della romana libertas (che il cronista associa con i fiorentini), ponendolo in diretta opposizione con il termine “ghibellino”, che, mutando di significato a sua volta, viene a indicare gli alleati dei regimi tirannici (Louis Green, Chronicle into History. An Essay on the Interpretation of History in Florentine Fourteenth-Century Chronicles, Cambridge, Cambridge University Press, 1972, p. 80 e s. ; Id., « The Image of Tyranny in Early Fourteenth-Century Italian Writing », Renaissance Studies, 7, 4 (1993), p. 335-351, alle p. 348-350). Per approfondimenti si rimanda a questi studi.
14 Il motivo del travestimento come espressione più immediata dei tratti di andreia o virilitas da parte delle donne è centrale nella costruzione della figura della mulier virilis, nella tradizione sia classica sia cristiana. Si vedano Elena Giannarelli, La tipologia femminile nella biografia e nell’autobiografia cristiana del iv secolo, Roma, Istituto Storico italiano per il Medio Evo, 1980 (Studi storici 127), p. 86-87 ; Umberto Mattioli, Astheneia e andreia. Aspetti della femminilità nella letteratura classica, biblica e cristiana antica, Roma, Bulzoni, 1983 (Università degli Studi di Parma, Istituto di Lingua e Letteratura latina 9), p. 158, e Gerry Milligan, Moral Combat. Women, Gender, and War in Italian Renaissance Literature, Toronto, University of Toronto Press, 2018.
15 Per un profilo più dettagliato della famiglia Ubaldini, si vedano Paolo Pirillo, « Signorie dell’Appenino tra Toscana ed Emilia-Romagna alla fine del Medioevo », Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento : fondamenti di legittimità e forme di esercizio, Firenze, Firenze University Press (Quaderni di Reti Medievali 1), 2004, p. 211-226 ; Laura Magna, « Gli Ubaldini del Mugello : una stirpe feudale nel contado fiorentino », I ceti dirigenti dell’età comunale nei secoli XII e XIII. Atti del II Convegno Firenze 14-15 dicembre 1979, Pisa, Pacini, 1982, p. 13-66.
16 Il ritratto di Maghinardo Pagani è contenuto in : Giovanni Villani, Nuova Cronica, a c. di Giuseppe Porta, Parma, Guanda, 1990, 3 vol., vol. 1, p. 624-625.
17 Giacomo Vignodelli, « Pagani, Maghinardo », Dizionario Biografico degli Italiani, 80, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2014, versione online : https://www.treccani.it/enciclopedia/maghinardo-pagani_%28Dizionario-Biografico%29/, (consultato il 21/09/2020] ; Pirani, « Ubaldini, Cia », art. cité.
18 Duprè Theseider, « Cia degli Ordelaffi », art. cité, p. 114 e s. ; p. 121 ; Pirani, « Ubaldini, Cia », art. cité.
19 Zabbia, « Villani, Matteo », art. cité .
20 Cronica i, Proemio ; i, p. 3-5, e in particolare alle righe 25-35 : « Onde pensando che·ll’opera puote essere fruttuosa, e debba piacere per li naturali disideri degli uomini, mi mossi a cominciare, per essempro di me uomo di leggieri scienza, aparecchiare a’ savi materia di concedere del loro tempo alcuna parte, per lasciare alli altri memoria delle cose apariranno di ciò degne a·lloro temporali, e a’ meno sperti speranza, con fatica e studio, da potere venire a operazioni virtudiose, e a coloro ch’aranno più alto ingegno materia di ristrignere su brievità, e con più piacere delli uditori, le nostre storie ».
21 L’esigenza di brevitas è un tratto tipico della cultura storiografica medievale (Bernard Guenée, Histoire et culture dans l’Occident médiéval, Paris, Aubier, 1980, p. 280-283). Nella prassi della scrittura, tuttavia, il Villani fatica talvolta a « ristrignere su brievità » la materia che narra. Un caso emblematico è rappresentato dalla difficoltà che incontra nell’allestimento della sua più originale invenzione, la macrostruttura costituita da prologhi con cui vuole organizzare la materia storica : pianifica infatti di inserire un prologo all’inizio di ogni unità della Cronica, che contiene all’incirca la materia di un anno. Matteo afferma di voler riassumere e illustrare nei prologhi, mediante un aggancio tematico esemplare, la materia contenuta nei libri che essi si trovano a precedere ; tale procedimento è appunto dettato dalla necessità di brevitas. L’analisi sistematica dell’effettiva relazione che intercorre tra il contenuto dei prologhi e quello dei singoli libri ha tuttavia mostrato che questo progetto, ideale in teoria, quando è attuato concretamente ha esiti poco soddisfacenti, poiché la maggior parte delle volte il cronista non riesce a inserire nelle sue prefazioni un elemento tematico che possa rendere conto in maniera efficace ed esemplare della copiosa e variegata materia registrata (l’analisi, di cui qui si riportano per sommi capi i risultati, è contenuta nella mia tesi di dottorato, attualmente in fase di stesura ; per una panoramica, si veda però Andrea Matucci, Machiavelli nella storiografia fiorentina. Per la storia di un genere letterario, Firenze, Olschki, 1991, p. 19 e s.).
22 Si vedano, ad esempio, Cronica viii, 37, 62-64 ; ii, p. 184 ; Cronica viii, 103, 1-43 ; ii, p. 266-267 ; Cronica ix, 1, 1-9 ; ii, p. 277.
23 Giuseppe Porta, « Introduzione », Cronica ; i, p. xi-xii ; Zorzi, Le signorie cittadine, op. cit., p. 132.
24 In un passaggio assai parlante, facendo riferimento a uno scabroso fatto di cronaca perugina – dopo aver ucciso barbaramente il proprio figlio, una madre tenta di incolpare l’onesto marito dell’omicidio per toglierlo di mezzo e beneficiare della sua eredità –, Matteo sottolinea le intrinseche volubilità e perversione del sesso femminile con una citazione tratta dalla sesta satira di Giovenale (Juv., Sat., 2.6.97), composta contro la condotta vergognosa della matronae romane, considerate adulterine, lussuriose, senza decoro e senza scrupoli : « Questo peccato tanto inorme forse meritava silenzio di penna, per lo orrore d’udire tra’ Cristiani sì alto e·ssì sfacciato male, conchiudendolo con uno verso di Giovenale poeta, che dice : “Fortem animum prestant rebus quas turpiter audent”, parlando delle femine che da·ssé hanno scacciata la pudicizia e·lla vergogna, il quale in volgare suona : “Forte animo prestano alle cose che sozzamente ardiscono di fare” » (Cronica X, 33, 70-78 ; II, p. 501).
25 Le coppie associative donna-debolezza e uomo-forza impiegate da Matteo derivano dal pensiero classico, secondo il quale la donna è fisiologicamente soggetta dall’astheneia, la debolezza di corpo e mente, mentre l’uomo si contraddistingue per la sua andreia, la sua forza fisica e spirituale (si vedano, ad esempio, alcuni elementi di definizione dei sessi nell’antropologia aristotelica che implicano il concetto di superiorità maschile, come Aristot., Pol., 1.1260a ; Pol., 3.1277b). Per via paraetimologica la tradizione latina ha collegato mulier a mollities e vir a vis e virtus, un’associazione che è poi passata al cristianesimo (si veda, ad esempio, Isid., Orig., 11, 2, 17-18). È invece con lo Stoicismo che viene teorizzata formalmente l’idea che la donna possa superare le limitazioni imposte dal suo sesso per raggiungere la virtù maschile attraverso lo studio della filosofia, e convertirsi così in una mulier virilis (Giannarelli, La tipologia femminile, op. cit., p. 17-18, riassume le posizioni di Seneca, al quale si devono i contributi più importanti alla definizione dell’ideale stoico della mulier virilis). Il topos della femina virilis trova poi terreno fertile nei testi antichi, sia pagani che cristiani, che riferiscono dell’esperienza della persecuzione dei primi cristiani (in cui la donna fa mostra di un coraggio uguale a quello di un uomo di fronte al martirio) e gode nelle epoche successive di grande fortuna. Per una panoramica : Roberta Franchi, « In nome della verità e dei valori : il coraggio delle mulieres pagane e cristiane di fronte alla violenza », Helmantica, 60 (2009), p. 259-282 ; Elena Giannarelli, « Lo specchio e il ritratto. Scansioni dell’età, topoi e modelli femminili fra paganismo e cristianesimo », Storia delle donne, 2 (2006), p. 159-187 ; Giannarelli, La tipologia femminile, op. cit. ; Mattioli, Astheneia e andreia, op. cit. ; Milligan, Moral Combat, op. cit., p. 12 e s., e C.E. Manning, « Seneca and the Stoics on the Equality of the Sexes », Mnemosyne, 26 (1973), p. 170-177.
26 Porta, « Introduzione », Cronica ; I, p. xii.
27 La ricostruzione del decimo prologo è stata permessa dal ritrovamento, da parte di Giuseppe Porta, di un codice integro della Cronica (Giuseppe Porta, « Censimento dei manoscritti delle cronache di Giovanni, Matteo e Filippo Villani », Studi di filologia italiana, 34 (1976), p. 61-129, Franca Ragone, Giovanni Villani e i suoi continuatori. La scrittura delle cronache nella Firenze del Trecento, Roma, Istituto Storico per il Medio Evo, 1998, p. 64 e n. 156). Entrambe le opere del Boccaccio si presentano come corpose compilazioni erudite in prosa, a carattere storico, letterario e biografico. Il De casibus raccoglie in nove libri e 159 capitoli i casi di fortuna di uomini e donne famosi, disposti in ordine cronologico dai tempi antichi a quelli presenti. Il De mulieribus si compone di 106 ritratti di donne celebri vissute tra l’epoca antica e quella contemporanea all’autore, sempre disposti cronologicamente, che vanno a formare 104 capitoli ; si vedano Giovanni Boccaccio, De casibus virorum illustrium, a c. di Pier Giorgio Ricci e Vittorio Zaccaria, Milano, Mondadori, 1983 (Tutte le opere di Giovanni Boccaccio 9), p. xvi ; Giovanni Boccaccio, De mulieribus claris, a c. di Vittorio Zaccaria, Milano, Mondadori, 19702 (1967) (Tutte le opere di Giovanni Boccaccio 10), p. 3 e s. ; Elsa Filosa, Tre studi sul « De mulieribus claris », Milano, led, 2012, p. 17.
28 Boccaccio, De casibus, ed. cit., p. xv e s. ; Boccaccio, De mulieribus, ed. cit., p. 455 e s. ; Filosa, Tre studi, op. cit., p. 25-26. Le fasi redazionali delle due opere sono assai complesse, poiché il Boccaccio le rielaborò fino agli anni Settanta. Per informazioni più esaustive : Boccaccio, De casibus, ed. cit., p. 881-887 ; Boccaccio, De mulieribus, ed. cit., p. 455-459 ; Filosa, Tre studi, op. cit., p. 24-32.
29 Cronica x, 1, 37-43 ; ii, p. 458. Che Matteo conosca i contenuti delle due opere è suggerito non solo dalla sua affermazione di averle consultate, ma anche e soprattutto dal fatto che alcuni passaggi testuali sono ripresi in modo assai preciso nella Cronica ; esula però gli scopi di questo lavoro una trattazione approfondita dei riscontri testuali, che sto però affrontando nella mia tesi di dottorato. Il Villani aveva inoltre frequenti contatti con il mondo mercantile di Napoli, in cui aveva diretto un banco dei Bonaccorsi negli anni Trenta, quando il giovane Boccaccio si trovava nella città partenopea. Un elemento interessante è la registrazione, nella Cronica, dell’incoronazione poetica di Zanobi da Strada, avvenuta a Pisa nel 1355 su ordine di Carlo iv, in cui il cronista celebra, con parole di stima e affetto, le virtù letterarie e umane del letterato fiorentino (Cronica v, 26 ; i, p. 641-642). Zanobi era la figura intorno alla quale gravitava il mondo culturale fiorentino ; egli conosceva bene non soltanto il Petrarca e il Boccaccio, ma anche Niccolò Acciaiuoli, intimo del secondo Villani e citato più volte nella Cronica. Che Matteo sia entrato in contatto con questi personaggi e ambiente culturale pare assai plausibile (Ragone, Giovanni Villani, op. cit., p. 229 e s. ; Marco Baglio, « Avidulus glorie. Zanobi da Strada tra Boccaccio e Petrarca », Italia medioevale e umanistica, 54 (2013), p. 343-395).
30 Sulla rielaborazione tarda della Cronica si veda : Ragone, Giovanni Villani, op. cit., p. 53. Matucci, che si è concentrato sulla genesi e l’uso degli inserti dialogici della Cronica – come il dialogo tra Vanni Ubaldini e Cia – osserva che essi sono ideati ex novo dal Villani per aumentare la verosimiglianza del resoconto e ispirati dagli autori classici. Si può ragionevolmente supporre che questo tipo di ampliamento narrativo abbia implicato un processo di revisione del materiale su un arco di tempo più lungo rispetto a quello della semplice registrazione degli eventi (Matucci, Machiavelli nella storiografia fiorentina, op. cit., p. 21-22).
31 Il Chronicon Ariminense, composto da diverse mani tra il 1295 e il 1385, copre gli eventi dalle origini della signoria malatestiana fino alla morte di Galeotto i (Villa Prieto, « Geografía de la cronística romandiola », art. cité, p. 166-167 ; per il testo : Cronache malatestiane dei secoli xiv e xv (AA. 1295-1385 e 1416-1452), a c. di Aldo Francesco Massera, Bologna, Zanichelli, 1922-1924 [ris 15/2]). Gli Annales Caesenates, redatti da più mani da canonici della cattedrale e notai vicini all’episcopio di Cesena a partire dal 1334, narrano gli accadimenti dal 1162 agli anni Sessanta del Trecento (Annales Caesenates, a c. di Enrico Angiolini, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medioevo, 2003, specialmente l’Introduzione di Angiolini alle p. 1-67). L’Anonimo scrive invece nella primavera del 1358 e la sua Cronica copre gli eventi dal 1325 alla fine degli anni Cinquanta del Trecento (Gustav Seibt, Anonimo Romano. Scrivere la storia alle soglie del Rinascimento, Roma, Viella, 2000, p. 24-25 ; p. 37). Il Corpus chronicorum Bononiensium raggruppa le cronache bolognesi del xiv e del xv sec., impaginandole insieme : a noi interessano specialmente i testi a piè pagina, la cronaca dei Villola e la cronaca Bolognetti, entrambe del xiv sec. che servono da fonti per i testi del xv sec. affrontati nelle colonne, la Cronaca Rampona (A) e la Cronaca Varignana (B) (Villa Prieto, « Geografía de la cronística romandiola », art. cité, p. 153-154 ; Gianfranco Orlandelli, « Bartolomeo della Pugliola », Dizionario Biografico degli Italiani, 6, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1964, versione online : https://www.treccani.it/enciclopedia/bartolomeo-della-pugliola_(Dizionario-Biografico)/, consultato il 21/09/2020) ; per il testo : Corpus chronicorum Bononiensium, a c. di Albano Sorbelli, Città di Castello, S. Lapi, 1916-1939 [ris2 18/3]). Tra i testi più tardi, che non sono stati considerati in questo contributo, troviamo la Cronaca di ser Guerriero da Gubbio e Cronache forlivesi di Leone Cobelli.
32 Anonimo Romano, Cronica, ed. cit., p. 230-236.
33 Poloni, « Ordelaffi, Francesco di Sinibaldo », art. cité.
34 Annales Caesenates, ed. cit., p. 193 e n. 456.
35 Cronache malatestiane dei secoli xiv e xv, ed. cit., p. 22-23.
36 Corpus chronicorum bononiensium, ed. cit., p. 74-75.
37 Il testo ricostruito da Sorbelli nei ris è basato sulla redazione del codice k i 34 della Biblioteca comunale di Bologna, del xv sec., integrato con elementi del ms. 383 della Biblioteca Universitaria di Bologna e del ms. Spanocchi 1249 della Biblioteca Labronica di Livorno, entrambi quattrocenteschi. Il codice k i 34 è riconosciuto da Sorbelli come l’esemplare più autorevole del gruppo Bolognetti, poiché riunisce le « ampliazioni » delle redazioni precedenti ; sarebbe opportuno verificare quale redazione attesti la descrizione della Ubaldini « como hommo » per poter formulare qualche considerazione in più su un eventuale rapporto con la cronaca villaniana e sulla ricorrenza del motivo della mulier virilis (Albano Sorbelli, Introduzione al Corpus chronicorum Bononiensium, a c. di Albano Sorbelli, Città di Castello, S. Lapi, 1939 [ris2 18/1, parte A], p. ix-x ; Albano Sorbelli, Le cronache bolognesi del secolo xiv, Bologna, Zanichelli, 1900, p. 227 e s.).
38 Margaret Franklin, Boccaccio’s Heroines. Power and Virtue in Renaissance Society, Aldershot, Ashgate, 2006, p. 57 e s. ; p. 90 e s. Si veda anche Milligan, Moral Combat, op. cit., p. 136 e s.
39 Così come il ritratto di Tomiri, anche quello di Zenobia appartiene al primo nucleo di biografie ideato dal Boccaccio.
40 Le traduzioni sono di Zaccaria (Boccaccio, De mulieribus, ed. cit., p. 198-201 ; p. 406-415) ; gli interventi e le modifiche dell’autrice sono segnalati in corsivo.
41 Un altro esempio di virilità che scaturisce dall’amore coniugale è offerto dalla vicenda delle spose dei Menii, che per liberare i loro mariti incarcerati dagli Spartani ingannano le guardie della prigione con un sotterfugio e si sostituiscono ai loro sposi, facendoli fuggire travestiti da donne. Boccaccio osserva che l’amore coniugale spinge le donne a un atto di brillante audacia e forza (« sacri coniugalis amoris vires et audaciam mulierum » ; « Hic suavissimus, etiam placido convictu firmatus, coniugum Meniarum tanto fervore inpulit animos ») e che costoro sono dunque più uomini dei loro mariti, che si sono limitati a fuggire abbigliati come donne (« has assere audeo veros certosque fuisse viros. Meniasque iuvenes, quas simulabant, feminas extitisse », De mulieribus xxxi, 3-13).
42 « Oberrare crederem naturam rerum aliquando, dum mentem mortalium corporibus nectit, illam scilicet pectori infundendo femineo quam virili immisisse crediderat. Sed cum Deus ipse dator talium sit, eum circa opus suum dormitari nephas est credere. Summamus ergo perfectas omnes arbitrandum est ; numquid tamen servemus, ipsum indicat opus. Erubescendum nempe hominibus reor dum, nedum a lasciva femina, sed etiam a constantissima quacunque laborum tolerantia vincuntur. Nam si prevalemus sexu, cur non ut et fortitudine prevaleamus decens est ? ». La traduzione è di Zaccaria (Boccaccio, De mulieribus, ed. cit., p. 378-379).
43 Zabbia, « Villani, Matteo », art. cité.
44 Nella Cronica lo scarto al dettame della brevitas rappresenta un vero e proprio stratagemma retorico, che spesso segnala l’importanza di quanto segue. Si vedano degli esempi parlanti di questo procedimento : Cronica VIII, 37, 62-64 ; II, p. 184 ; Cronica VIII, 103, 1-43 ; II, p. 266-267 ; Cronica IX, 1, 1-9 ; II, p. 277. Un altro espediente molto usato dal Villani è quello di fingere di superare la propria reticenza a mettere per iscritto eventi ritenuti troppo infamanti in virtù della loro utilità per i lettori (Cronica VIII, 103, 11-19).
45 Nei brani dedicati alla definizione dell’opposizione tirannia-libertà, il Villani definisce come massima qualità romana proprio la libertas. Eredi di questa tradizione sono i comuni italiani (con Firenze in testa ; Cronica IV, 77 e 78 ; I, p. 586-589, che vanno considerati insieme ; Cronica VIII, 24, 38-44 ; II, p. 164). Si veda la n. 12.
46 Cronica VIII, 103, 1-43 ; ii, p. 266-267.
47 Duprè Theseider, « Albornoz, Egidio de », art. cité, p. 45-50 ; Gene A. Brucker, « The Ghibelline Trial of Matteo Villani », Gene A. Brucker. Renaissance Florence. Society, Culture and Religion, Goldbach, Keip, 1994, p. 29-36.
48 Sulla polemica condotta dal Villani contro il comportamento avido del clero durante la predicazione della crociata in Romagna, si veda : Mascanzoni, La crociata, op. cit., p. 40-43.
49 La vicenda di Cia e dei congiurati cesenati è tristemente profetica, se si pensa che nel 1358 l’Albornoz riesce a ottenere il sostegno della Parte guelfa fiorentina per finanziare la sua campagna contro le compagnie di ventura proprio mentre conduce in segreto delle trattative con queste ultime, pianificando di comprarne la fedeltà con i soldi di Firenze. L’inganno è scoperto e l’alleanza è annullata, ma il Villani osserva come queste manovre andassero solo a beneficio del cardinale e che il ceto dirigente cittadino avesse operato a sfavore di Firenze, minando la sua stabilità interna e la sua autonomia (Cronica VIII 103, 74-95 ; II, p. 268-269).
50 Elsa Filosa, « Petrarca, Boccaccio e mulieres clarae. Dalla Familiare xxi 8 al De mulieribus claris », Annali di italianistica, 22 (2004), p. 381-395 ; Filosa, Tre studi, op. cit., p. 11-13 ; p. 47-48 ; p. 65 e s. ; Franklin, Boccaccio’s Heroines, op. cit., p. 90 ; Vittorio Zaccaria, « Il genio narrativo nelle opere latine del Boccaccio », Italianistica. Rivista di letteratura italiana, 21 (1992), p. 581-595.
51 « Et ne more prisco apices tantum rerum tetigisse videar, ex quibus a fide dignis potuero cognovisse amplius in longiusculam hystoriam protraxisse non solum utile, sed oportunum arbitror ; existimans harum facinora non minus mulieribus quam viris etiam placitura ; que cum, ut plurimum, hystoriarum ignare sint, sermone prolixiori indigent et letantur ». La traduzione è di Zaccaria (Boccaccio, De mulieribus, ed. cit., p. 26-27).
52 Per arricchire questa indagine bisognerà condurre uno studio più approfondito delle fonti del secondo Villani : in particolare, gli autori classici potrebbero rappresentare un ulteriore serbatoio fondamentale da cui il cronista ha attinto per plasmare in questo modo la figura della Ubaldini (si pensi nuovamente alla parte dialogata tra Vanni e Cia, secondo Matucci di ispirazione classica o classicheggiante ; supra). Non si può escludere a priori nemmeno un influsso delle donne decameroniane, campionesse di eloquenza (per il caso di Cia, Zabbia parla non a caso di « tono novellistico » ; Zabbia, « Villani, Matteo », art. cité) o del De casibus (specie per quanto riguarda il tema della fortuna), che il cronista dimostra di conoscere bene. Tutti questi aspetti saranno approfonditi nella mia tesi di dottorato. È tuttavia interessante rilevare a margine che, in occasione della ristampa del 1596 del fortunato volgarizzamento betussiano del De mulieribus claris – apparso per la prima volta a stampa a Venezia nel 1545 –, il poligrafo toscano Francesco Serdonati inserisce la vita di « Madonna Cia Ubaldini » tra le 120 biografie che aggiunge a quelle del Boccaccio e del Betussi (Giuseppe Betussi, Libro di M. Giovanni Boccaccio delle Donne illustri. Tradotto di Latino in Volgare per M. Giuseppe Betussi ; con una giunta fatta dal medesino d’altre donne famose. E un’altra nuova giunta fatta per M. Francesco Serdonati, d’altre Donne Illustri, Antiche e Moderne, Firenze, Giunti, 1596, p. 561-567 ; si veda anche Milligan, Moral Combat, op. cit., p. 211 e s. ; p. 222-223). Il Serdonati ripropone in maniera assai fedele il testo villaniano, che indica come sua unica fonte (Betussi, Libro delle Donne illustri, ed. cit., p. 567), e raggruppa in un unico capitolo le sezioni della Cronica dedicate alla Ubaldini. L’operazione non soltanto conferma che la caratterizzazione di Cia si presenta come unitaria e che ciò non è passato inosservato al Serdonati, tanto da giustificare la creazione di una biografia compatta, ma sembrerebbe pure suggerire che questi ha rintracciato nel ritratto villaniano delle consonanze con le biografie muliebri del Certaldese (e del Betussi), tra le quali poteva facilmente venire incluso con minime modifiche.
- Thème CLIL : 4027 -- SCIENCES HUMAINES ET SOCIALES, LETTRES -- Lettres et Sciences du langage -- Lettres -- Etudes littéraires générales et thématiques
- ISBN : 978-2-406-11909-8
- EAN : 9782406119098
- ISSN : 2261-1851
- DOI : 10.48611/isbn.978-2-406-11909-8.p.0249
- Éditeur : Classiques Garnier
- Mise en ligne : 15/12/2021
- Langue : Italien
- Mots-clés : Cia Ordelaffi, Matteo Villani, Nuova cronica, ritratto femminile, De mulieribus claris, Boccaccio