L’enciclopedismo storiografico in Italia negli anni del preumanesimo
- Type de publication : Article de collectif
- Collectif : Les Chroniques et l’histoire universelle. France et Italie (xiiie-xive siècles)
- Auteur : Modonutti (Rino)
- Pages : 279 à 299
- Collection : Rencontres, n° 537
- Série : Civilisation médiévale, n° 46
L’enciclopedismo storiografico
in Italia negli anni
del preumanesimo
Nell’orizzonte della tradizione enciclopedica di argomento storiografico, per come essa si configura lungo i secoli xii e xiii, fino alla summa dell’enciclopedismo basso-medievale, ossia lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, chiamare in causa la parola Umanesimo e le conseguenze storiche e metodologiche che tale parola implica potrebbe sembrare quasi al limite del paradosso1. È d’altra parte ben noto lo sprezzante giudizio liquidatorio di Coluccio Salutati che, scrivendo sul finire del Trecento a Juan Fernández de Heredia, offriva un canone storiografico, in cui si definivano « modernorum nugae », sciocchezze dei moderni, alcuni dei vertici della produzione storiografica degli ultimi due secoli, « specula videlicet hystorialia, satiram Paulini, Martini cronicas, et si qua alia nostris his duobus edita seculis2 » : ovvero lo 280Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, uno dei tre volumi dello Speculum maius, « opus vere Gallicum » per Benvenuto da Imola3, la stessa identica definizione che Petrarca aveva usato per il Manipulus florum di Tommaso Ibernico, florilegio di grande influenza e fortuna4 ; l’Historia Satyrica di Paolino Veneto, sulla quale il Boccaccio si espresse con parole fortemente riduttive5 ; e uno dei fondamenti della cronologia basso-medievale, il Chronicon pontificum et imperatorum di Martino Polono6. Al Salutati non interessava aver per mano queste storie ; ciò che voleva, oltre alle opere classiche che già conosceva e poteva leggere, era il Livio perduto, le parti mancanti di Curzio Rufo, le Historiae di Sallustio, dei fantomatici bella civilia di Svetonio o magari le opere storiche composte dall’imperatore Claudio, ma soprattutto Livio :
[…] et presertim si de Tito Livio plus alicubi esse scias quam xxx libros ; si Trogum Pompeium vidisti vel habes aut unquam ubi sit percepisti ; et an totum reppereris 281Q. Curtium De gestis Alexandri Macedonis ; nimis equidem diminutum habemus. De hystoriis etiam Sallusti ; sique unquam bella civilia, que Svetonius scripsisse creditur, vel hystorias Claudii Cesaris inspexisti. Sed in Livio magis et cordialius ferves.
« […] e soprattutto se sai che di Tito Livio da qualche parte vi è più di trenta libri ; se hai visto Trogo Pompeo o lo possiedi o se mai hai avuto notizia su dove sia ; o se hai messo le mani sulle Storie di Alessandro Magno di Curzio Rufo intere (lo abbiamo infatti con gravi mutilazioni). E poi anche le Storie di Sallustio, o se mai ti sono capitate tra le mani le Guerre civili che si crede Svetonio abbia composto, o le Storie del Cesare Claudio. Ma più di ogni altra cosa e con maggior fervore impegnati su Livio7. »
Per quel che si dirà, torna utile evidenziare che il disprezzo del Salutati sembra prendere di mira non la produzione storica medievale nel suo complesso, ma proprio i suoi prodotti più recenti e caratterizzati da due elementi, ossia la prospettiva universale, o se vogliamo “generale”, e la natura compilativa. Nel più lungo elenco delle opere che Salutati non vuole, ma semplicemente perché sono diffuse e già accessibili, il cancelliere include infatti, frammisti agli autori antichi, anche alcuni classici della storiografia tra età tardo-antica e alto medioevo, in primis Eusebio, cui si affiancano anche Beda e Paolo Diacono8.
Tornando al filo principale del discorso, ossia alla liquidazione umanistica della tradizione storiografica enciclopedica basso-medievale, pesano prima e ancor più delle parole del Salutati le argomentate riflessioni che Petrarca formula nel prologo del De viris illustribus, particolarmente importanti (e valorizzate negli studi) proprio perché programmatiche e non meramente valutative :
Namque ea que scripturus sum, quamvis apud alios auctores sint, non tamen ita penes eos collocata reperiuntur […]. Qua in re temerariam et inutilem diligentiam eorum fugiendam putavi, qui omnium historicorum verba relegentes, nequid omnino pretermisisse videantur, dum unus alteri adversatur, omnem historie sue textum nubilosis ambagibus et inenodabilibus laqueis involverunt. Ego neque pacificator historicorum neque collector omnium, sed eorum imitator quibus vel verisimilitudo 282certior vel autoritas maior est ; quamobrem siqui futuri sunt, qui huiuscemodi lectione versati aut aliud quicquam aut aliter dictum reperierint quam vel audire consueverint vel legere, hos hortor ac moneo ne confestim pronuntient […] cogitentque historicorum discordiam, que tanto rebus propinquiorem Titum Livium dubium tenuit.
« Infatti ciò che mi accingo a scrivere, sebbene presente in altri autori, tuttavia in essi non si trova collocato nello stesso modo. […] E in quest’impresa ho ritenuto che bisognasse rifuggire la temeraria e inutile diligenza di quelli che, riprendendo le parole di ogni storico, senza pensare di dovere lasciare da parte nulla, anche nei casi in cui un autore si contrappone a un altro, hanno avviluppato tutta la trama della loro storia in oscuri labirinti e in tortuosità insolubili. Io non sono né un pacificatore né un raccoglitore di tutti gli storici, ma mi propongo di imitare coloro che dimostrano più certa verosimiglianza o maggiore autorità. Se ci saranno quindi coloro che, avvezzi a una lezione di un certo tipo, avranno riscontrato qualcosa di diverso o espresso in maniera differente da ciò che erano soliti ascoltare o leggere, li esorto e li invito a non formulare un giudizio frettoloso […] e a riflettere sulle discrepanze presenti negli storici, che tennero così tanto in dubbio Tito Livio che scriveva ben più vicino ai fatti9. »
Petrarca non vuole diventare un altro « pacificator historicorum » né l’ennesimo « collector omnium », così che a guidare la sua scrittura storiografica non sarà l’accumulo di « omnium historicorum verba » ; egli si propone invece come « imitator » di coloro che si sono fatti guidare dalla « similitudo certior » e dall’« autoritas maior », secondo un approccio metodologico che Fubini ha definito « un processo di approssimazione razionale alla verità (effettuale) della storia », attuato in contrapposizione al « probabilismo enciclopedico-scolastico10 ». Se guardate non con lo sguardo proiettato al futuro, ossia allo sviluppo di 283una nuova coscienza storiografica11, ma valutate entro il contesto cronologico e culturale in cui furono composte, sia le parole di Petrarca che quelle di Salutati, nell’infastidito rifiuto che ostentano, certificano però la forza e la persistente vitalità proprio di quella storia che disprezzano, vitalità che è confermata dagli interessi e dalla produzione letteraria di alcuni esponenti delle cerchie culturali di cui i due furono, in due generazioni successive, al centro. Per gli anni e l’ambiente del Salutati basti ricordare Domenico Bandini, amico di Coluccio e autore del quasi mostruoso Fons memorabilium universi, un’enciclopedia generale di tutto lo scibile umano, dove uno spazio importante ha anche la storia, soprattutto – ma non soltanto – secondo la specie, già cara a Petrarca e a Boccaccio, delle vicende esemplari dei viri illustres (o delle mulieres clarae), sebbene Bandini interpreti queste vicende con un gusto che poco ha dell’esemplarità morale e moltissimo dell’accumulo erudito o aneddotico di altri predecessori medievali12.
Per quanto riguarda Petrarca è il caso di partire ancora da dentro le sue opere, in questo caso dall’aneddoto che chiude il libro II dei Rerum memorandarum libri e ha per protagonista papa Giovanni XXII, il quale, afflitto dalla vecchiaia e dalla « curarum varietas » amava, racconta Petrarca, le storie realizzate « sub breviloquio », così che comporle era diventato un modo per acquistarne il favore :
284Ceterum cum a legendo eum et senium et curarum varietas retardaret, gratissimus erat illi quisquis defloratos, ut proprie dicam, libros sub breviloquio perstringeret redigeretque in eas quas “tabulas” vocant, in quibus omne quod ex libris quereretur facillimum esset inventu.
« Del resto poiché sia la vecchiaia sia la varietà delle preoccupazioni lo trattenevano dalla lettura, gli era molto gradito chiunque compendiasse i libri traendone florilegi, per usare una definizione appropriata, e li riducesse a quelle che chiamano “tavole”, in cui tutto ciò che si cerca nei libri fosse facilissimo da trovare13. »
A chi abbia frequentato le ricche e affascinanti ricostruzioni sull’ambiente petrarchesco di Giuseppe Billanovich, l’aneddoto non può non richiamare alla mente il canonico di Chartres Landolfo Colonna, il cui Ditti-Floro-Livio (Paris, BNF, lat. 5690) sarebbe poi passato allo stesso Petrarca e che compose proprio per Giovanni XXII il suo Breviarium historiarum, una storia universale sub breviloquio14. Nella lettera di dedica del Breviarium ritornano tutti i temi canonici delle compilazioni storiografiche a cui si oppone il Petrarca nella prefazione del De viris illustribus, dalla necessità di una lettura generalizzata e onnicomprensiva delle fonti, al problema di doverne integrare le contraddizioni, di fare insomma il « pacificator historicorum » :
[…] Vix tempus vite communis sufficit ad legendos auctores eorumque varietates contrarietatesque sedandas qui dictorum regnorum principalium hystorias descripserunt. […] Ut igitur tam procellosi maris laboriosa pericula effugere seu evitare valeat sanctitas vestra, hystorias a creatione primi hominis usque ad moderna tempora 285abreviare curavi, et pauca de multis brevissimaque de amplissimis a tot preclaris digesta scriptoribus iocundum satis compendium recollegi, rerumque notabilium seriem ita sub breviloquio ad notitiam vestre sanctitatis deducere procuravi, ut nec ex multiloquii tedio que narrantur reddantur insipida, nex ex nimie brevitatis compendio que docentur efficiantur obscura.
« […] È ben difficile che il tempo di una vita normale possa bastare a leggere i grandi autori e a trovare un accordo tra le diverse affermazioni e contraddizioni di coloro che hanno narrato le vicende dei summenzionati regni più importanti. […] Perché quindi la vostra santità possa sfuggire ai tormentosi pericoli di un mare così tempestoso ed evitarli, ho cercato di raccontare in forma compendiata le storie che vanno dalla creazione del primo uomo fino ai tempi moderni e ho messo insieme poche cose da molte, riducendo narrazioni amplissime ricavate da così celebri autori e formando in tal modo un piacevole compendio, così che i racconti non siano resi insipidi dal tedio delle troppe parole e l’eccessiva brevità non renda il messaggio oscuro15. »
Nella lettera Landolfo sviluppa anche l’immagine dei « laboriosa pericula » del procelloso mare della storia16, che il nipote di Landolfo, il domenicano Giovanni Colonna, assumerà come titolo della sua opera maggiore, il Mare historiarum, anch’esso una storia universale che muove dalla creazione del mondo e sarebbe dovuta arrivare fino alla stretta contemporaneità (ossia il 1340), ma che la morte dell’autore fermò alla metà del secolo xiii17.
È lo stesso Petrarca a restituirci l’immagine di un’amicizia abbastanza stretta tra lui e Giovanni Colonna, a cui era dedicata la perduta commedia Philologia e sono indirizzate otto Familiari e forse anche alcuni dei componimenti dei Rerum vulgarium fragmenta18. Una delle Familiari (VI 2) ci presenta anche gli interessi culturali e in particolare storiografici 286del Colonna, per i quali Petrarca ha parole di apprezzamento : con l’amico visita le rovine di Roma e tra di esse i due si intrattengono a parlare della storia passata19. Se Petrarca riconosce a sé stesso l’eccellenza nella conoscenza di quella antica, a Giovanni viene consegnata la palma della moderna, cioè quella che inizia con Costantino, e quindi con la cristianizzazione dell’impero20. Se poi si pensa che al Colonna sia stata dedicata, come già accennato, una commedia dall’impegnativo titolo Philologia o che gli siano addirittura forse rivolte le accorate parole di incoraggiamento del sonetto 7 dei Rerum vulgarium fragmenta e che in esso la « magnanima tua impresa » voglia indicare l’altra opera superstite del domenicano, ossia il suo De viris illustribus21, pare quantomeno problematico accogliere senza qualche esitazione o riserva l’apodittico giudizio di Fubini sul Colonna storiografo quale « antagonista metodico » dello stesso Petrarca e la questione andrà posta in termini magari più sfumati, anche per quel che concerne il rapporto, e quindi il bilanciamento, tra “vecchi” (medievali) e “nuovi” (umanistici) approcci metodologici allo scrivere storia22. Lo conferma la più diretta analisi dell’attività storiografica dello stesso Colonna, sebbene nel suo Mare, almeno per come trasmesso dai codici, manchi la possibilità di ricorrere al solido appiglio di un prologo generale23.
Prima di entrare come Landolfo prima e Giovanni poi nel mare delle storie, è però necessario riflettere su due contingenze che condizionano la nostra lettura sia dell’opera del Colonna sia di altre compilazioni storiografiche, universali o generali, composte tra la fine del Duecento e i primi decenni del Trecento. La prima questione pertiene alle leggi della trasmissione dei testi : di alcune di queste opere si tramandano 287infatti testimoni solo parziali. È questo, per esempio, il caso del Chronicon di Benzo d’Alessandria, di cui si conservano solo i ventiquattro libri di uno dei tre volumina in cui l’opera doveva essere articolata, mentre dell’esistenza (e non solo della progettazione) degli altri abbiamo conferme indirette nelle opere storiche di Galvano Fiamma24. Una situazione analoga si constata anche per i Gesta pontificum Romanorum del mansionario di Verona, Giovanni de’ Matociis, trasmessi da un unico codice mutilo (Roma, Biblioteca Vallicelliana, D 13)25. Talvolta poi si deve tener conto della possibilità che alcune sezioni di più articolati e a volte mastodontici progetti storiografici siano andate perdute : in questo caso possono essere utili esempi la forse solo embrionale realizzazione di una Nova ecclesiastica historia da parte di Giovanni Colonna, o anche la mancanza del prologo generale del Mare di questo stesso autore26. In altri casi si può affermare con certezza che alcune parti di progetti complessi, sebbene pensate nella loro struttura complessiva, non furono per diverse ragioni composte : è il caso degli ultimi cent’anni del Mare ; o anche della sezione sugli imperatori del periodo basso-medievale delle Historie imperiales del de’ Matociis27.
La seconda questione pertiene allo stato degli studi su queste opere, in moltissimi casi o quasi del tutto assenti (è così per il Breviarium 288di Landolfo) o limitati a sezioni, problemi, questioni più o meno circoscritti. Sotto questo punto di vista offrono due buoni esempi, ancora, Giovanni Colonna e Giovanni Mansionario28. Per questi autori gli studi, quantomeno quelli dell’ultimo secolo, sono caratterizzati da quella che potremmo quasi chiamare una “distorsione classica”, ossia la costante attenzione a un aspetto di queste compilazioni di area e ambiente preumanistico, quale la loro relazione con le fonti classiche, con la letteratura di Roma antica29. Si tratta, sia ben chiaro, di un approccio del tutto giustificato e che è stato – e continua a essere – davvero molto produttivo, offrendoci tasselli importanti per comprendere la storia culturale di quegli anni e i suoi cambiamenti. Ma questo approccio mette in ombra parti importanti di quelle stesse opere, le sezioni che riguardano la storia prima di Roma o la storia dopo il crollo dell’Impero romano, ossia la storia medievale, soprattutto quella non strettamente contemporanea. Una specie di controprova in negativo la offrono gli studi su Galvano Fiamma, che, assunta la totale mancanza da parte di questo autore di un interesse preumanistico per l’antico, hanno lasciato molto in ombra proprio le sezioni antiche, considerate soltanto nella loro, per altro innegabile, dimensione favolistica. Un qualche livello di distorsione prospettica è in qualche misura inevitabile quando si studino le enciclopedie di ogni genere, perché per affrontare opere così voluminose e complesse dal punto di vista strutturale e programmatico la selezione è necessaria. D’altra parte se, come pare innegabile, il rapporto con la tradizione classica costituisce un elemento cardine dell’Umanesimo, per i nostri scopi odierni questa “distorsione classica” non sarà un problema così grave, 289se non nella misura in cui ci potrebbe indurre a un certo ottimismo positivistico-umanista, dal quale però si cercherà di star lontani.
Sebbene si tratti di progetti storiografici molto diversi per genesi, sviluppi, fortuna, vorrei ora soffermare l’attenzione su alcuni elementi salienti di qualcuna di queste storie universali di ambiente protoumanistico, provando a individuarli a partire dal caso che più ho studiato, ossia il Mare historiarum di Giovanni Colonna, col quale metterò cursoriamente in relazione, oltre ai già più volte citati Benzo d’Alessandria (Chronicon) e Giovanni de’ Matociis (Historie imperiales e Gesta pontificum), anche Riccobaldo da Ferrara. Dal punto di vista cronologico il Colonna è di una generazione più giovane rispetto agli altri tre che sono invece sostanzialmente contemporanei tra loro. Il domenicano era infatti nato presumibilmente nel 1298 e morì nel 134330. Riccobaldo, forse il più vecchio dei quattro, era nato nel 1245 e si spense nel 131831. Sia Benzo che il Mansionario nacquero intorno alla metà del Duecento. Il primo morì certo dopo l’ottobre del 1329 ; il secondo nel 133732. Per fare un raffronto con nomi più canonicamente collegati alle ricostruzioni sulle origini e sul primo sviluppo dell’Umanesimo, il Colonna è della stessa generazione del suo amico Petrarca (e lo stesso si può dire per Guglielmo da Pastrengo)33 ; gli altri tre sono invece della generazione di Lovato Lovati e Albertino Mussato34, o anche, volendo, di Dante. Per Riccobaldo, Benzo e il Mansionario è anche interessante sottolineare come tutti e tre siano stati legati, seppur in maniera molto diversa, all’area veneta, quindi a uno dei centri nevralgici dell’avanguardia umanistica. Giovanni 290Mansionario era veronese e, a quel che sappiamo, in quella città trascorse tutta la sua esistenza ; nella città Scaligera passò una parte importante della sua vita il cancelliere Benzo, di cui conosciamo i legami con Padova e con il padovano Albertino Mussato35 ; da Verona e da Padova passò a diverse riprese l’errabondo Riccobaldo. Giovanni Colonna condivide invece col Petrarca una dimensione spiccatamente internazionale, o, se vogliamo, europea : lo stesso Petrarca e lo zio Landolfo ce lo dipingono inquieto e girovago, sempre in movimento da Roma alla Francia, da Cipro ad Avignone passando per la Terrasanta, per poi concludere la sua esistenza in una non del tutto accettata permanenza a Tivoli36.
Come anticipato, le opere di questi quattro autori sono tra loro molto diverse per finalità, struttura, tecnica compositiva, uso delle fonti, ma questo è un tratto che mi pare comune a tutto l’enciclopedismo storiografico basso-medievale anche prima di Vincenzo di Beauvais e nella preistoria del suo Speculum historiale37. Nuovi obiettivi e finalità, come quelli evidenziati anche di recente da Marino Zabbia per le cronache cittadine e la loro componente “universale” o di storia generale38, o anche semplicemente la fatica di raggiungere risultati coerenti, affrontando una materia vasta, complessa, asimmetrica per fonti e per contenuti, e per di più necessaria di continue aggiunte, o bisognosa di essere rimodulata a seconda del pubblico di riferimento, rendono i cambi di struttura e di organizzazione forse inevitabili. L’esempio più articolato e complesso tra gli autori qui presi in considerazione è quello offerto da Riccobaldo che apre sempre nuovi cantieri, seguendo certo due filoni principali – il compendio e la vasta enciclopedia storiografica –, ma che è spinto continuamente verso nuove rimodulazioni della materia, così che è talvolta difficile, nel groviglio della tradizione manoscritta di queste 291continue sperimentazioni, anche fissare il canone delle opere e le loro reciproche relazioni “evolutive”. È quel che si verifica, anche in misura maggiore, con Galvano Fiamma, sebbene il cronista milanese non paia in qualche maniera forzato a questa continua innovazione di strutture da un elemento che è invece centrale per Riccobaldo, ossia l’aggiungersi alle sue letture di nuove opere39. Anche Benzo sperimenta, visto che abbandona lo sviluppo cronologico, impostazione tradizionalmente prevalente, per un’organizzazione tematica della materia40. Seppure molto diverse, parrebbero sotto certi aspetti più tradizionali per struttura le opere di Giovanni Mansionario e Giovanni Colonna ; e per meglio apprezzarne gli aspetti innovativi anche sotto questo punto di vista è necessario entrare più nel dettaglio, spostando l’attenzione sulla relazione con le fonti, e in particolare con fonti antiche, ma spesso di recente acquisizione per i lettori dell’epoca, le quali hanno un ruolo importante anche per quanto riguarda la macrostruttura delle compilazioni dei due Giovanni.
Sia il mansionario Giovanni de’ Matociis prima, sia in seguito Giovanni Colonna sembrano aver elaborato un progetto di storia bipartita, da un lato la storia della Chiesa, dall’altro la storia profana, o, più esattamente, per quel che riguarda il Mansionario, la storia imperiale41. Sotto questo aspetto, nel de’ Matociis è esplicito il richiamo a un altro grande classico della compilazione basso-medievale, il già citato Chronicon pontificum et imperatorum di Martino Polono (« ex Cronicis fratris Martini »), modello riconosciuto all’inizio dei Gesta pontificum Romanorum, da dove parrebbe essere cominciata la scrittura storiografica di Giovanni42. Secondo Bottari, la discesa di Enrico VII in Italia, sarebbe uno degli elementi che, con altri, avrebbe indotto il Mansionario a passare al secondo corno delle sue 292storie, le Historie imperiales, vite degli imperatori da Augusto e, ritiene sempre Bottari, pur in assenza di esplicite affermazioni, fino all’ « alto Arrigo », che si confermerebbe quindi grande ispiratore di storie e di cronache43. Se però si scorrono le pagine delle Historie imperiales ci si rende conto che il modello strutturante più forte non può essere considerato Martin Polono, il quale pure continua a essere utilizzato con altre fonti come il De viris illustribus di Girolamo44 : ciò che dà forma alle Historie imperiales sono due raccolte di biografie antiche, le Vitae duodecim Caesarum di Svetonio e le Vitae diversorum principum et tyrannorum, ossia la cosiddetta Historia Augusta, che riprende lo schema biografico di Svetonio (con il salto di Nerva e Traiano) fino all’oscuro Numeriano, imperatore per un anno tra il 283 e il 28445. Dell’Historia Augusta Giovanni de’ Matociis è uno dei primi lettori nell’età del preumanesimo, dopo una fortuna medievale molto oscura, e, secondo le ricostruzioni canoniche, ma forse bisognose di qualche nuova riflessione, egli l’avrebbe letta sul venerando archetipo, il già menzionato Pal. lat. 899, allora conservato nella Capitolare di Verona46.
Per Giovanni Colonna la questione è più complessa anche perché, come già detto, manca una prefazione generale. È tuttavia dimostrabile che Giovanni aveva anch’egli in mente un progetto di storia bipartita con alla 293base il modello di Eusebio, il Chronicon da un lato, l’Historia ecclesiastica dall’altro47. In un passo del Mare, il Chronicon di Eusebio-Girolamo è infatti considerato come il punto di partenza di una sequela di storici al termine della quale l’autore colloca sé stesso48. Già il titolo della forse perduta, forse mai compiutamente realizzata Historia ecclesiastica nova del Colonna si pone in relazione con l’Historia ecclesiastica eusebiana. Che tra le due – il Mare e la condenda Historia ecclesiastica nova – la materia dovesse essere almeno in parte diversa, lo conferma poi un altro passo della prima opera, per altri aspetti esempio mirabile di come possa essere sottile l’arte della compilazione. Nel ventesimo capitolo del VI libro del Mare historiarum, forse per giustificare il maggior spazio dedicato alle persecuzioni di Marco Aurelio, il Colonna riprende di peso alcune righe del prologo del V libro dell’Historia ecclesiastica di Eusebio, ma, con pochi chirurgici cambiamenti, gli fa dire esattamente l’opposto : « ab initio incepti operis », « dall’inizio dell’opera », ho voluto raccontare « solum historias concussionesque bellorum ac magistratuum victorias ducumque fortia gesta mortesque civium ac aliarum calamitatum miserandas congeries, quibus mundus […] concussus est49 », tuttavia non si può non dire qualcosa anche delle storie dei santi. Il domenicano si pone così tra quelli che il prologo eusebiano chiama « alii scriptores historiarum », gli scrittori di storia profana, perché, come altrove dice, dell’incarnazione di Cristo, dei martiri e dei santi, cioè dello squadernarsi nel saeculum della prospettiva escatologica dell’aevum « in nostra ecclesiastica historia posuimus50 ».
Eusebio, le cui opere e il cui nome non erano certo estranei alle generazioni precedenti, è un autore centrale e un modello anche per l’elaborazione storiografica di Riccobaldo, il quale, come egli stesso racconta, restò fortemente colpito da un vetusto e venerando (e danneggiato) codice del Chronicon che gli si parò dinnanzi agli occhi « in archivio Ravennatis ecclesie51 ». Se si vuol riflettere della prospettiva 294umanistica, è questo un elemento forse meno vistoso, ma importante in tal senso : si tratta insomma, di andare alle origini, a modelli antichi, superandone – o comunque andando oltre – la loro rielaborazione e ruminazione basso-medievale ; si tratta di riattivare, al di là della sequela delle auctoritates, una delle grandi fonti di auctoritas, nel caso di Eusebio quella che si può definire, per brevità, dei Padri. Sotto questo aspetto basti richiamare, a un livello di profondità affatto maggiore e radicale, la forza e la novità della lettura petrarchesca dell’opera di Agostino.
Vi sono poi ovviamente i classici nel senso più immediato del termine ed è del tutto evidente che gli autori antichi rivestono su più livelli un ruolo dirompente nelle opere dei quattro storiografi universali di primo Trecento qui considerati. Per Giovanni de’ Matociis non vi è molto da aggiungere a quanto già richiamato, anche perché, se altro c’è da dire, bisognerà farlo affrontando infine il testo nella sua organicità secondo modalità di studio e di analisi che possono svilupparsi quando si può leggere un’opera in un’edizione affidabile52. Riccobaldo da Ferrara parrebbe quasi travolto dagli Ab urbe condita libri di Tito Livio che gli squilibrano tutte le storie in una prospettiva romanocentrica, ma che il compilatore percorre e utilizza con l’attenzione che si riserva a ciò che affascina e coinvolge a un livello profondo53. Infatti, a ben vedere, l’aggiunta di fonti potrebbe anche risolversi entro i paradigmi in qualche modo canonici per l’enciclopedismo storiografico basso-medievale, del mero accumulo additivo, ma in questi autori non è questa la via che possa dare un’esatta immagine della loro relazione con l’antico. Giovanni Colonna è ancora una volta forse più complesso da decifrare, ma non per questo la sua linea ideologica è meno chiara. Per quel che riguarda la struttura interna appare per esempio evidente che nuove fonti hanno un forte peso nello spingere il domenicano a riconsiderare l’articolazione in libri della sua opera – e quindi a ristrutturare la periodizzazione 295storiografica –, allontanandosi dalla sicura griglia organizzativa di Vincenzo di Beauvais54. Il libro IV dei nove che compongono il Mare nell’autografo (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Edili 173) inizia coi Gracchi, momento importante, ma nella storiografia medievale non decisivo : la scelta del Colonna è con buona probabilità motivata dal fatto che proprio all’altezza dei Gracchi Floro, l’epitomatore di Livio che egli conosceva senza dubbio55, gli offriva un’articolata sintesi della storia romana in una prospettiva biologico-morale, valorizzata, nelle sue potenzialità di sintesi e interpretazione, dal suo impiego in posizione rilevata a inizio di un libro ; e quindi nel Mare l’autorevolezza di Floro e del suo messaggio di lettura morale quasi impone al compilatore una non tradizionale cesura nell’organizzazione del fluire storico. Il libro V inizia con l’incarnazione, quindi, sul versante profano, con Augusto ; il sesto si chiude con Costantino, l’inizio delle moderne storie, secondo quel che Petrarca scrive proprio a Giovanni, ossia quando l’impero si fa cristiano ; ma il passaggio intermedio, l’inizio del libro VI, è fissato là dove inizia la già più volte evocata Historia Augusta, ossia con Adriano. Se si entra nella trama del racconto si rafforza la consapevolezza che la letteratura antica agisce per Colonna a un livello più profondo : l’Historia ecclesiastica di Eusebio è infatti presa e copiata così com’è per blocchi omogenei, come se Giovanni scorresse le sue pagine e con dei segni indicasse “copia da qui a qui” ; Livio o l’Historia Augusta vengono invece scomposti e rimodulati, segno di una lettura approfondita, di una ruminatio che certo non passa dalla compilazione alla petrarchesca mellificatio, ma che implica un interesse fresco e genuino per il vetusto Livio Carnotense scoperto dallo zio o per l’antiquissima historia, ossia l’Historia Augusta, che Giovanni non ha trovato dove l’aveva trovata Petrarca, ossia a Verona, ma che ha cercato altrove, rinvenendone una tradizione diversa e misteriosa di cui è forse una delle più precoci testimonianze56.
296I classici agiscono, però, anche a un livello diverso, ossia quello del metodo. Gli studi hanno mostrato la precocità di Benzo d’Alessandria sotto questo aspetto : Benzo non giustappone, ma giudica con spirito critico le sue fonti, le usa sinergicamente per comprovarne l’autorevolezza, perché esistono auctores autentici e altri che invece non lo sono ; quando interviene come actor non lo fa per conciliare gli storici, ma per giudicarli57. Anche in Giovanni Colonna la selezione sembra suggerire in alcuni casi un atteggiamento critico. Nel De viris illustribus il frate domenicano è orgoglioso di aver accesso al raro Curzio Rufo e alle sue storie di Alessandro58, che poi usa abbondantemente nel Mare, dove non vi è invece traccia di tutte le leggende e favole su Alessandro Magno che affollano già il mondo ellenistico e poi tutto il medioevo e che invece trovano ancora ampio spazio nello Speculum di Vincenzo di Beauvais. Allo stesso modo nella ricostruzione della vita di Carlo Magno Colonna non concede alcuno spazio allo Pseudo-Turpino, ancora una volta ben testimoniato nel Bellovacense, e ricorre invece soprattutto all’autorevole Eginardo59. I margini dell’autografo del Mare offrono anche un esempio più esplicito60. Al cap. 44 del I libro, si sta narrando della fine della guerra di Troia e della sorte dei sopravvissuti :
Ut autem ad historie ordinem redeamus, Eneas post Ylii eversionem et Grecorum profectionem cunctos ex Frigia atque e proxima regione adit oratque uti secum Anthenorem qui61 regno quod patrie eversione acquisierat, expellant. Quod postquam Anthenori congnitum est, regrediens ad Troiam Eneas, qui magno conflato exercitu venerat, aditu prohibetur. 297Quod postquam vidit, Eneas cum patre et filio onnique patrimonio, multis emensis provinciis, in Italiam venit ubi que arma conmoverit qualia per triennium bella gesserit quantosque populos inplicaverit et afflixerit poeta Virgilius luculento carmine ostendit.
« Ma, per tornare all’ordine degli eventi, dopo la distruzione di Troia e la partenza dei Greci, Enea fa visita a tutti in Frigia e nella regione vicina e li prega che scaccino Antenore dal regno che aveva ottenuto distruggendo la sua patria. Quando Antenore lo viene a sapere, impedisce a Enea, sopraggiunto con il grande esercito che aveva radunato, di avvicinarsi. Dopo aver visto ciò, Enea viene in Italia con il padre e il figlio e con tutto il suo patrimonio, attraversando molte regioni. Quali eserciti mobilitò, che guerre combatté per tre anni e quanti popoli vi coinvolse e sconfisse, lo mostra il poeta Virgilio nel suo splendido poema62. »
Il passo citato è tratto dall’Ephemeris di Darete Frigio (V, 17), però con rielaborazioni non insignificanti. Non vi sono nel testo interventi in prima persona dell’autore, ma sui margini egli così si esprime : « Ista istoria non concordat cum Virgilio, sed istam reputo magis autenticam » (« Questo racconto non concorda con Virgilio, ma lo ritengo più degno di fede ») e infatti, nei primi versi del III canto dell’Eneide – dove Enea racconta ciò che fecero i superstiti – e in quelli del libro I dedicati ad Antenore (Aen. I, 242-249), Virgilio offre una diversa versione degli eventi successivi alla distruzione di Ilio. L’auctoritas di Virgilio è messa quindi in qualche modo in discussione, anche se subito dopo se ne ribadisce il ruolo di fonte storica, dal momento che si rimanda all’Eneide per il racconto delle successive vicende del progenitore dei Romani, così che siamo difronte a qualcosa di più sottile del diffuso scetticismo medievale verso i poeti e le loro favole (da cui non era immune Riccobaldo).
Vorrei chiudere su un altro tratto che la nostra coscienza critica riconosce come spiccatamente umanistico, ossia a quella particolare fascinazione per l’antico che stimolerà lo sviluppo dell’antiquaria63. Sia Benzo che il Colonna osservano le vestigia dell’antico passato di Roma intorno a sé e cercano di decifrarle64. Per esempio Giovanni cerca di 298identificare la porticus edificata secondo l’Historia Augusta da Caracalla, monumento controverso anche per gli archeologici moderni, ma che il domenicano riconosce in quello che è per noi l’arco di Settimio Severo nel foro romano, nei cui bassorilievi legge le storie di Severo65. Ma la cura più sorprendente per le immagini dell’antichità ce la consegna quello che tra questi storici ci appare come il più isolato, ossia Giovanni de’ Matociis : i margini dell’autografo Chigiano delle Historie imperiales sono arricchiti da accurate riproduzioni di monete romane, testimonianza archeologica preziosa e raffinata, anche per la sua organicità e completezza66. Un elegantissimo esempio spigolato tra le pagine del De mulieribus claris di Giovanni Boccaccio, prodotto letterario che riconosce esplicitamente a modello il “moderno” De viris illustribus del Petrarca, suggella dall’interno, se così si può dire, la pertinenza all’Umanesimo di queste attenzioni antiquarie. Nell’esordio della vita di Faustina Minore, moglie di Marco Aurelio, talvolta confusa dal Certaldese con quella di Antonino il Pio, la lussuria testimoniata dall’Historia Augusta è in qualche modo redenta da un’aurea immagine di fresca e giovanile bellezza, colta dal Certaldese non nelle pagine delle sue fonti, ma dal profilo di una serie numismatica, che gli consente di dare un motivo all’altrimenti inspiegabile divinizzazione di una donna così lasciva :
Fuit preterea tam exquisiti decoris ut aliquid divinum mortalitati eius crederetur admixtum quod, ne consumeretur senio aut morte, actum est ut iuvencula et etate provectior aureis argenteisque ac ereis numis eius effigies sculperetur ; et in hodiernum usque perdurat. In quibus etsi oris habitus, oculorum motus, color vividus et hilaritas faciei desint, illud tamen lineamenta testantur permaximum. Sane quantum totius orbis fama celebratum est tantum turpi impudicitie nota pollutum. […] Et sic loco dee per tempus ibidem celebris habita est Faustina ut quod subtraxisse claritatis videbatur luxuria, deitas resarciret.
« Fu, inoltre, donna di così raffinata bellezza che qualcosa di divino si credeva mescolato alla sua umanità ; ed affinché tale bellezza non fosse logorata dalla vecchiaia 299né dalla morte, la sua effigie di giovanetta, e poi di donna matura, fu scolpita in monete d’oro e d’argento e di rame, e ancor oggi si vede impressa in esse. È vero che vi mancano la fisionomia, il moto degli occhi, il colore vivo, la letizia del volto ; i lineamenti però ne attestano la straordinaria bellezza. Eppure, quanto dalla fama di tutto il mondo fu di lei celebrato, tanto fu profanato dal turpe marchio dell’impudicizia. […] Così Faustina per un certo tempo fu ivi considerata celebre come dea ; e la divinizzazione risarcì quella fama che la lussuria aveva tolto67. »
Ad aver la pazienza di cercare, l’Umanesimo si costruisce quindi anche tra le pagine delle compilazioni di storia universale, che questa nuova prospettiva culturale non cancella, ma attraversa ; e anzi anche solo il progetto enciclopedico del Fons di Domenico Bandini – o anche le continue ristampe dello Speculum che continuano fino al Seicento – confermano già a un livello epidermico che il loro superamento pieno è un fenomeno lungo e complesso. Si potrebbe anzi dire che l’analisi dei meandri di queste opere ha la capacità di mostrarci le difficoltà e la multiforme complessità che caratterizzano l’emergere e la progressiva definizione dei valori letterari e culturali dell’Umanesimo. Il che non può non far ritornare alla mente i saggi e acuti insegnamenti di Bernard Guenée su cui val la pena di chiudere :
Beaucoup, après avoir reconnu le caractère de compilation d’une œuvre historique médiévale, s’autorisent de ce diagnostic pour la négliger. En réalité, toute compilation est une construction qui mérite d’être étudiée pour elle-même, et précisément comparée aux sources qu’elle a utilisées. Chaque mot omis, chaque mot ajouté est révélateur d’une conviction religieuse, d’une attitude politique, d’un choix critique. Et il est piquant de voir les érudits des xixe et xxe siècles, dont les travaux obéissent à des règles précises, à la réflexion moins différentes des règles de l’érudition médiévale, stigmatiser ces compilateurs, dont ils ne veulent pas s’avouer qu’ils sont leurs prédécesseurs directs, et les lointains et modestes modèles de leur orgueilleux savoir68.
Rino Modonutti
Università degli Studi di Padova
1 Bernard Guenée, Histoire et culture historique dans l’Occident médiéval, Paris, Aubier Montaigne, 1980 ; nonché Id., « Lo storico e la compilazione nel XIII secolo » ; e Anna-Dorothee von den Brincken, « Inter spinas principum terrenorum. Annotazioni sulle summe e sui compendi storici dei Mendicanti », Aspetti della letteratura latina del secolo xiii. Atti del primo convegno internazionale di studi dell’Associazione per il Medioevo e l’Umanesimo latini (AMUL), Perugia 3-5 ottobre 1983, a cura di Claudio Leonardi e Giovanni Orlandi, Perugia-Firenze, Regione dell’Umbria-La Nuova Italia, 1986, p. 57-76 ; e p. 77-103 ; e anche il quadro d’insieme offerto dai saggi raccolti in Historiography in the Middle Ages, ed. by Deborah Mauskopf Deliyannis, Leiden-Boston, Brill, 2003. Su Vincenzo di Beauvais, cf. Monique Paulmier-Foucart, Marie Christine Duchenne, Vincent de Beauvais et le Grand miroir du monde, Brepols, Turnhout, 2004 ; i saggi raccolti in Vincent de Beauvais. Intentions et réceptions d’une œuvre encyclopédique au Moyen-Âge, Actes du xive colloque de l’Institut d’études médiévales, sous la direction de Serge Lusignan, Monique Paulmier-Foucart, Alain Nadeau, Ville Saint Laurent (Quebec)-Paris, Maison Bellarmin-Vrin, 1990 ; e in Lector et compilator. Vincent de Beauvais, frère prêcheur : un intellectuel et son milieu au xiiie siècle, sous la direction de Serge Lusignan, Monique Paulmier-Foucart, Créaphis, Grâne, 1997.
2 Epistolario di Coluccio Salutati, a cura di Francesco Novati, vol. 2, Roma, Forzani e C., 1893, p. 289-302. Sulla lettera del Salutati e la sua datazione (« possibly around 1390 », non molto lontano dal dubitativo 1392 del Novati), vd. Anthony Luttrell, « Coluccio Salutati’s Letter to Juan Fernández de Heredia », Italia medioevale e umanistica, 13 (1970), p. 235-243. Cf. anche Carlo Varotti, Gloria e ambizione politica nel Rinascimento. Da Petrarca a Machiavelli, Milano, Bruno Mondadori, 1998, p. 88-94.
3 Benvenuti de Rambaldis de Imola Comentum super Dantis Aldigherii Comoediam, ed. Jacopo Filippo Lacaita, vol. 3, Firenze, Barbera, 1887, p. 38 : « Nota etiam quod Vincentius Belvacensis in suo speculo historiali, quod fuit opus vere gallicum […] » (cf. Epistolario di Coluccio […], vol. 2, op. cit., p. 299 n. 2). Anche Boccaccio sembra averne avuto una ben misera opinione, essendo evidente la sprezzatura con cui riferisce l’opinione del vescovo domenicano sulla discendenza dei re dei Franchi da Ettore : « Insuper Vincentius Gallicus hystoriographus velle Francorum reges hodiernos a filiis Hectoris antiquissimam originem habuisse […]. Quod etsi multum non credam, absit ut omnino negem, cum omnia sint possibilia apud Deum » (Genealogia deorum gentilium, VI, 24, 8, Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di Vittore Branca, vol. 7-8, Genealogie deorum gentilium, a cura di Vittorio Zaccaria, Milano, Mondadori, 1998, p. 658 ; Attilio Hortis, Studj sulle opere latine del Boccaccio, Trieste, Libraria J. Dase, 1879, p. 485).
4 Francesco Petrarca, In difesa dell’Italia (Contra eum qui maledixit Italiam), a cura di Giuliana Crevatin, Venezia, Marsilio, 1995, p. 44 (§ 2) : « Manipulum florum, opus vere gallicum, et quod gallica levitas pro omnibus libris habet » (con accurata nota di contestualizzazione alle p. 159-160). Cf. Richard H. Rouse – Marie A. Rouse, Preachers, Florilegia and Sermons : Historiography in the Middle Ages Studies on the « Manipulus Florum » of Thomas of Ireland, Toronto, Pontifical Institute of Medieval Studies, 1979.
5 Basti rimandare a Marco Petoletti, « Gli zibaldoni di Giovanni Boccaccio », Boccaccio autore e copista, a cura di Teresa De Robertis, Carla Maria Monti, Marco Petoletti, Giuliano Tanturli, Stefano Zamponi, Firenze, Mandragora, 2013, p. 291-299, alle p. 297-298, cui segue (p. 316-326), sempre per cura di Petoletti, la tavola completa degli Zibaldoni, con un’analisi dei passi di Paolino Veneto ivi presenti e delle reazioni del Boccaccio.
6 Anna-Dorothee von den Brincken, « Martin of Opava », Encyclopedia of the Medieval Chronicle, ed. by Graeme Dunphy, Leiden-Boston, Brill, 2010, vol. 2, p. 1085-1088.
7 Epistolario di Coluccio […], vol. 2, op. cit., p. 300-301 (traduzione di chi scrive).
8 Epistolario di Coluccio […], vol. 2, op. cit., p. 298 (corsivo di chi scrive) : « Nec peto communes istos, quos habemus, Eusebium, Cassiodorum, Iosephum, Egisippum, Hystorias ecclesiasticas [per Novati l’Historia tripartita], Bedam, Orosium, Iustinum, Eutropium, Paulum Diaconum, tres Titi Livii decades […] ». Si può aggiungere che più articolato e meno liquidatorio di quello su Vincenzo di Beauvais è anche il giudizio di Boccaccio su Beda e Paolo Diacono, e soprattutto su Beda, che, anche dove non convince il Certaldese, è citato con parole di grande rispetto (Hortis, Studj […], op. cit., p. 485).
9 Francesco Petrarca, De viris illustribus, ed. critica per cura di Guido Martellotti, Firenze, Sansoni, 1964, p. 3-4 (cap. 3-6 del prohemium) ; la traduzione è di chi scrive. Nelle due redazioni (la stesura del progetto originario e poi l’ampliamento con le vite di dodici personaggi biblici e del mito) i periodi sui compilatori restano pressoché identici. Cf. Guido Martellotti, « Storiografia del Petrarca », Atti dei convegni Lincei, 10 (1976), p. 179-187 ; Ronald Witt, « La concezione della storia in Petrarca », Petrarca, canoni, esemplarità, a cura di Valeria Finucci, Roma, Bulzoni, 2006, p. 211-228 ; Giuliana Crevatin, « Francesco Petrarca, il mito di Roma e la rinascita della storiografia », Das alte Rom und die neue Zeit – La Roma antica e la prima età moderna, hrsg. von Martin Disselkamp, Peter Ihring und Friedrich Wolfzettel, Tübingen, Gunter Narr, 2006, p. 7-21 ; Caterina Malta, « Storici e storia nella riflessione petrarchesca », Studi medievali e umanistici, 12 (2014), p. 9-70.
10 Riccardo Fubini, « Il De viris illustribus del Petrarca e la critica all’enciclopedismo storico nei suoi sviluppi in Biondo e in Valla », Id., Storiografia dell’Umanesimo in Italia da Leonardo Bruni ad Annio da Viterbo, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2003, p. 39-51, a p. 45.
11 Cf. i saggi raccolti in In presenza dell’autore. L’autorappresentazione come evoluzione della storiografia professionale tra basso Medioevo e Umanesimo, a cura di Fulvio Delle Donne, Napoli, Federico II University Press, 2018. Vd. anche Mariangela Regoliosi, « Riflessioni umanistiche sullo “scrivere storia” », Rinascimento, 31 (1991), p. 3-37 ; Fulvio Delle Donne, « Da Valla a Facio, dalla prassi alla teorizzazione della scrittura storica », Tra storiografia e retorica : prospettive nel basso medioevo italiano, a cura di M. Zabbia, sezione monografica di Reti medievali, 19/1 (2018), p. 599-625.
12 Per la biografia e la produzione di Domenico vd. A. Teresa Hankey, « Bandini, Domenico », Dizionario biografico degli italiani, vol. 5, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1963, p. 707-709, cui si aggiungano Paolo Viti, « Domenico Bandini professore e umanista », 750 anni degli statuti universitari aretini. Atti del convegno internazionale su origini, maestri, discipline e ruolo culturale dello Studium di Arezzo, Arezzo, 16-18 febbraio 2005, a cura di Francesco Stella, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2006, p. 317-336 ; e Armando Bisanti, « Dominicus Bandinus », C.A.L.M.A. Compendium auctorum Latinorum Medii Aevi, cur. Michael Lapidge e Francesco Santi, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, vol. 3/1, 2009, p. 98-99. Sulle sezioni De viris claris e De mulieribus claris, M. Schrürer, Die Enzyklopädie der berühmten Männer und Frauen. Domenico Bandini, sein Fons memorabilium universi und die kompilatorische Biographik der Renaissance, Tübingen, Mohr Siebeck, 2017 ; e R. Modonutti, « Mulieres clarae tra Giovanni Boccaccio e Domenico Bandini », Studi sul Boccaccio, 45 (2017), p. 207-234.
13 Rer. mem., II, 91 (si cita il par. 2). Francesco Petrarca, Rerum memorandarum libri, a cura di Marco Petoletti, Firenze, Le Lettere, 2014, p. 204-207 (da cui si citano testo e traduzione).
14 Giuseppe Billanovich, « Petrarch and the Textual Tradition of Livy », Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, 14 (1951), p. 137-208, poi ristampato in Id., Itinera. Vicende di libri e di testi, a cura di Mariarosa Cortesi, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2004, vol. 1, p. 1-101, alle p. 20-48 ; Id., La tradizione del testo di Livio e le origini dell’Umanesimo, vol. 1, Tradizione e fortuna di Livio tra Medioevo e Umanesimo, Padova, Editrice Antenore, 1981, p. 123-175 ; ma sul Par. lat. 5690 occorre ora ricordare anche almeno « Reliquiarum servator ». Il manoscritto Parigino latino 5690 e la storia di Roma nel Livio dei Colonna e di Francesco Petrarca, a cura di Marcello Ciccuto, Giuliana Crevatin, Enrico Fenzi, Pisa, Edizioni della Normale, 2012, cui si devono aggiungere alcune importantissime considerazioni di Michael Reeve, « Studi degli ultimi trent’anni sulla trasmissione di Livio », Miscellanea Graecolatina, vol. 5, a cura di Stefano Costa, Federico Gallo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, 2018, p. 3-16. Per il Breviarium di Landolfo, vd. Giuseppe Billanovich, « Gli umanisti e le cronache medioevali », Italia medioevale e umanistica, 1 (1958), p. 103-137, alle p. 115-124.
15 Billanovich, « Gli umanisti […] », art. cité, p. 123-124 (traduzione di chi scrive).
16 Sull’uso di questa immagine nei titoli e nelle opere storiografiche medievali, vd. Guenée, Histoire […], op. cit., p. 211-212.
17 Per il Colonna, Rino Modonutti, Fra Giovanni Colonna e la storia antica da Adriano ai Severi, Padova, CLEUP, 2013 ; Id., « Due domenicani di fronte alla storia : fra Giovanni Colonna e lo Speculum historiale », La compilación del saber en la Edad Media, ed. by Maria José Munoz, Patricia Cañizares Ferris, Cristina Martín, Porto, Brepols-FIDEM, p. 369-382 ; Id., « In quadam antiquissima historia : l’Historia Augusta nel Mare historiarum di fra Giovanni Colonna », Il ritorno dei classici nell’Umanesimo. Studi in memoria di Gianvito Resta, a cura di Gabriella Albanese, Claudio Ciociola, Mariarosa Cortesi, Claudia Villa, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2015, p. 449-474.
18 Scevola Mariotti, « La Philologia del Petrarca », Humanitas 3 (1950-1951), p. 191-206, ora ristampato in Id., Scritti medievali e umanistici, a cura di Silvia Rizzo, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1994, p. 143-158.
19 Cf. Rino Modonutti, « Memorie e rovine di Roma imperiale nel Mare historiarum di fra Giovanni Colonna », Italia medioevale e umanistica, 52 (2011), p. 27-70.
20 Fam., VI, 2, 16 : « […] multus de historiis sermo erat, quas ita partiti videbamur, ut in novis tu, in antiquis ego viderer expertior, et dicantur antique quecunque ante celebratum Rome et veneratum romanis principibus Cristi nomen, nove autem ex illo usque ad hanc etatem » (Francesco Petrarca, Le familiari, vol. 2, a cura di Vittorio Rossi e Umberto Bosco, Firenze, Sansoni, 1933-1942, p. 58 ; Pétrarque, Lettres familières, vol. 2, notices et notes de Ugo Dotti, trad. de André Longpré, Paris, Les Belles Lettres, 2002, p. 252-253). Vd. anche Anastasia Mellano, « L’amicizia come promessa di eternità. Le lettere di Petrarca a fra Giovanni Colonna », Petrarchesca, 3 (2015), p. 149-159.
21 Marco Santagata, Petrarca e i Colonna, Lucca, Pacini Fazzi, 1988, p. 35-55.
22 Fubini, « Il De viris […] », art. cité, p. 45.
23 Sulla questione del prologo del Mare, vd. Modonutti, Fra Giovanni Colonna […], op. cit., p. 13.
24 Cf. Marco Petoletti, Il Chronicon di Benzo d’Alessandria e i classici latini all’inizio del xiv secolo. Edizione critica del libro XXIV : De moribus et vita philosophorum, Milano, Vita e pensiero, 2000 ; ma vedi anche Marino Zabbia, I notai e la cronachistica cittadina italiana nel Trecento, Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 1999, p. 26-29.
25 Marino Zabbia, « Matociis, Giovanni de’ », Dizionario biografico degli italiani, vol. 72, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2008, p. 126-128. Cf. anche Guglielmo Bottari, « Introduzione », Guglielmo da Pastrengo, De viris illustribus et de originibus, a cura di Guglielmo Bottari, Padova, Editrice Antenore, 1991, p. IX-CIX, alle p. XIV-XVII. Cf. anche Rino Avesani, « Il preumanesimo veronese », Storia della cultura veneta, vol. 2, Il Trecento, Vicenza, Neri Pozza, 1976, p. 111-141, alle p. 119-120.
26 Per l’Historia ecclesiastica nova, Modonutti, Fra Giovanni Colonna […], op. cit., p. 13-18.
27 Zabbia, « Matociis […] », art. cité, p. 126-127. Sotto questo aspetto, all’esempio del Mansionario si può aggiungere quello di Galvano Fiamma : Paolo Chiesa, « Galvano Fiamma tra storiografia e letteratura », Courts and Courtly Cultures in Early Modern Italy and Europe. Models and Languages, ed. by Simone Albonico and Serena Romano, Roma, Viella, 2016, p. 77-92 ; Id., « Ystorie Biblie omnium sunt cronicarum fundamenta fortissima. La Cronica universalis di Galvano Fiamma (ms. New York, collezione privata) », Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo, 118 (2016), p. 179-216 ; Id., « Summa chronicarum. Un’opera incompiuta e perduta di Galvano Fiamma », Filologia mediolatina, 24 (2017), p. 305-321. Cf. anche Vera Fravventura, « Galvanus Flamma », C.A.L.M.A. Compendium Auctorum Latinorum Medii Aevi, cur. Michael Lapidge et Francesco Santi, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, vol. 4/1, 2012, p. 42-45.
28 Per Giovanni Colonna si ha la sensazione che la storia “moderna” sia in realtà caratterizzata da un’originalità di elaborazione meno significativa e interessante delle più studiate sezioni sulla storia antica, ma ciononostante la storia post-costantiniana costituisce una sezione davvero importante dell’intera opera. Quasi del tutto inedite, le Historie imperiales di Giovanni de’ Matociis hanno attirato l’attenzione soprattutto in relazione ai tesori della Capitolare di Verona, primo fra tutti l’attuale ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. lat. 899, venerando testimone dell’Historia Augusta : sulla questione, anche per un più articolato regesto bibliografico, mi permetto di rimandare a Modonutti, « In quadam antiquissima historia […] », art. cité ; e Id., « I consiliarii di Severo Alessando e la tradizione dell’Historia Augusta nel Trecento », Segno e testo, 14 (2016), p. 381-410. Ma cf. anche infra.
29 Mi sembra che questo approccio abbia condizionato in maniera minore gli studi su Riccobaldo da Ferrara. Cf. Zabbia, I notai […], op. cit., p. 16-37 ; Gabriele Zanella, Riccobaldo e dintorni. Studi di storiografia medievale ferrarese, Ferrara, Italo Bovolenta, 1980.
30 Modonutti, Fra Giovanni Colonna […], op. cit., p. 8-9 ; e Stephan Forte, « John Colonna O. P. Life and Writings », Archivum fratrum Praedicatorum, 20 (1950), p. 369-414.
31 Cf. Massimo Giansante, « Riccobaldo da Ferrara », Dizionario biografico degli italiani, vol. 87, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2007, p. 384-386.
32 Petoletti, Il Chronicon […], op. cit., p. 3-12 ; Zabbia, « Matociis […] », art. cité, p. 126.
33 Guglielmo da Pastrengo, amico carissimo e corrispondente del Petrarca, autore di un dottissimo De viris illustribus et de originibus, nacque intorno al 1290 e morì il 30 agosto 1362. Cf. Monica Cerroni, « Guglielmo da Pastrengo », Dizionario biografico degli italiani, vol. 61, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2004, p. 17-22.
34 Lovato Lovati era nato intorno al 1240 e sarebbe morto nel 1309 (Benjamin G. Kohl, « Lovati, Lovato (Lupatus de Lupatis) », Dizionario biografico degli italiani, vol. 61, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2007, p. 215-220). Mussato nacque nel 1261 e si spense nel 1329 (Giovanna M. Gianola, « Profilo biografico di Albertino Mussato », Albertino Mussato, Traditio civitatis Padue ad Canem Grandem – Ludovicus Bavarus, a cura di Ead. e Rino Modonutti, Firenze, SISMEL Edizioni del Galluzzo, 2015, p. 3-17).
35 I rapporti amicali sono comprovati da una lettera di Albertino a Benzo. Cf. Giovanna M. Gianola, « Ipotesi su un’edizione trecentesca delle opere storiografiche di Albertino Mussato », Italia medioevale e umanistica, 50 (2009), p. 123-177, alle p. 132-135.
36 Forte, « John Colonna […] », art. cité ; e Billanovich, La tradizione […], op. cit., p. 124-125. Cf. anche Modonutti, Fra Giovanni Colonna […], op. cit., p. 9-10.
37 Ho cercato di mostrarlo qualche tempo fa per le storie universali domenicane : Rino Modonutti, « I domenicani e la scrittura della storia », relazione presentata al convegno internazionale « Contemplata aliis tradere ». Lo specchio letterario dei frati predicatori, Roma, Convento di S. Maria sopra Minerva, 23-27 gennaio 2017, i cui atti sono in corso di stampa.
38 Marino Zabbia, « Sulla scrittura della storia in Italia (secoli xiii-xv) », Tra storiografia e retorica […], op. cit., p. 547-555.
39 Per Galvano cf. la bibliografia citata alla n. 27. Per Riccobaldo, vd. infra.
40 Petoletti, Il Chronicon […], op. cit., p. 29-35.
41 Per il Mansionario si tratta delle Historie imperiales e dei Gesta pontificum Romanorum : i tratti di questo progetto di storia bipartita sono esplicitamente descritti nel prologo dei Gesta pontificum : « opusculum igitur hoc bifariam dividetur. Nam primum pontifices, secundo imperatores […] annotabo » (Guglielmo Bottari, « Giovanni Mansionario nella cultura veronese del Trecento », Petrarca, Verona, l’Europa, Atti del convegno internazionale di studi (Verona, 19-23 settembre 1991), a cura di Giuseppe Billanovich e Giuseppe Frasso, Padova, Editrice Antenore, 1997, p. 31-67, a p. 49). Giovanni Colonna invece vede su un versante il Mare historiarum, sull’altro la perduta e forse mai pienamente realizzata Historia ecclesiastica nova (vd. infra).
42 Bottari, « Giovanni Mansionario […] », art. cité ; Zabbia, « Matociis […] », art. cité, p. 126.
43 Ibid. Albertino Mussato sembra essersi dedicato alla scrittura della storia proprio in concomitanza con l’inizio del viaggio a Roma di Enrico VII, protagonista e dedicatario del De gestis Henrici (Gianola, « Profilo biografico […] », art. cit., p. 7-8) ; e anche Giovanni da Cermenate riconosce come motore della sua Historia il Lussemburgo (Iohannis de Cermenate Historia, ed. Luigi Alberto Ferrai, Roma, Forzani e C., 1889, p. 4-5 ; Cf. anche Gigliola Soldi Rondinini, « Cermenate, Giovanni da », Dizionario biografico degli italiani, vol. 23, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1979, p. 768-770).
44 Bottari, « Giovanni Mansionario […] », art. cité, p. 49.
45 La sommaria descrizione dell’opera proposta qui per brevità non fa giustizia di un complesso e non ancora risolto dibattito sulla genesi, gli autori, gli scopi, i modelli dell’Historia Augusta, questione ampliamente discussa nella bibliografia e per la quale, senza nessuna ambizione di completezza, rimando alle diverse introduzioni della nuova edizione per la Collection Budé. Per quanto riguarda la sua fortuna medievale, vd. almeno Jean-Pierre Callu, Olivier Desbordes, Cécile Bertrand, « L’Histoire Auguste et l’historiographie médiévale », Revue d’histoire des textes, 14-15 (1984-1985), p. 97-130.
46 L’esigenza di tornare a riflettere sul rapporto del Mansionario con l’Historia Augusta e con il suo archetipo Palatino è emersa nel recente convegno Historia Augusta. A Fresh Approach, svoltosi nel maggio del 2019 a Edimburgo e organizzato da Justin Stover, che mi ha molto gentilmente concesso di leggere in anteprima due sue nuovi innovativi studi sulla tradizione dell’opera in corso di stampa : « The Murbach Manuscript of the Historia Augusta » (Exemplaria classica) ; e « New Light on the Historia Augusta » (Journal of Roman Studies). Cf. anche Modonutti, « I consiliarii […] », art. cité, p. 403-405.
47 Modonutti, Fra Giovanni Colonna […], op. cit., p. 13-22.
48 Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Edili 173, f. 168roa (il codice è autografo ; il passo è edito e discusso in Modonutti, Fra Giovanni Colonna […], op. cit., p. 13-14).
49 « Soltanto le storie e i rivolgimenti bellici e le vittorie dei magistrati e le coraggiose imprese dei comandanti e le morti dei civili e la miserevole congerie delle altre sventure dalle quali il mondo è scosso » (traduzione di chi scrive).
50 Il passo è edito in Modonutti, Fra Giovanni Colonna […], op. cit., p. 182-183.
51 A. Teresa Hankey, Riccobaldo of Ferrara : His Life, Works and Influence, Roma, Istituto storico italiano per il medio evo, 1996, p. 3, 19-20. Cf. anche Giansante, « Riccobaldo […] », art. cité.
52 Su nuove basi andrebbero forse riconsiderate anche alcune questioni macroscopiche, quale quella dell’assenza di un prologo delle Historie imperiales, visto che a me pare che non sarebbe sbagliato ragionare sull’ipotesi che il proemio dei Gesta pontificum funga in realtà da prologo generale e che l’espressione « opusculum » che « bifariam dividetur » indaghi in quelle pagine il complesso di Gesta e Historie, da considerare più di quel che si è fatto, due bracci organici a un unico corpo (il passo è più estesamente citato supra alla n. 41). Cf. Bottari, « Giovanni Mansionario […] », art. cité.
53 Hankey, Riccobaldo of Ferrara […], op. cit. (emblematici già i dati “quantitativi” raccolti da Hankey all’inizio del cap. 6, dedicato appunto a « Riccobaldo as an Early Humanist »).
54 Modonutti, « Due domenicani […] », art. cité, p. 386-387 ; Modonutti, Fra Giovanni Colonna […], op. cit., p. 27-28.
55 Di parere diverso era Remigio Sabbadini, che però basava le sue conclusioni sulla sola lettura del De viris illustribus. Cf. Modonutti, Fra Giovanni Colonna […], op. cit., p. 21.
56 Su Colonna e la tradizione dell’Historia Augusta, Modonutti, « In quadam antiquissima historia […] », art. cité ; e Id., « I consiliarii […] », art. cité. Ma vd. anche Stover, « New Light […] », art. cité. Per quanto riguarda invece Colonna e gli Ab urbe condita libri, vd. Braxton Ross, « The Tradition of Livy in the Mare historiarum of Fra Giovanni Colonna », Studi petrarcheschi, 6 (1989), 71-86.
57 Petoletti, Il Chronicon […], op. cit., p. 113-124 ; Zabbia, I notai […], op. cit., p. 26-29.
58 Remigio Sabbadini, « Giovanni Colonna biografo e bibliografo del secolo xiv », Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, 46 (1911), p. 3-32, a p. 24.
59 Modonutti, « Due domenicani […] », art. cité.
60 Marco Petoletti, « “Nota valde et commenda hoc exemplum” : il colloquio con i testi nella Roma del primo Trecento », Talking to the Text : Marginalia from Papyri to Print, Proceedings of a Conference Held at Erice, 26 September-3 October 1998, ed. by Vincenzo Fera, Giacomo Ferraù, Silvia Rizzo, Messina, Centro interdipartimentale di studi umanistici, 2002, vol. 1, p. 359-399, alle p. 393-394. Mi permetto una piccola integrazione a chiosa di un altro dei passi delle opere del Colonna analizzati in quelle pagine : l’accorata invettiva contro la corruzione dei costumi dei prelati della sua epoca che si legge nel Mare, e discussa alle p. 391-393, non è frutto della penna del Colonna ma è presa dal Policraticus di Giovanni di Salisbury (IV, 5).
61 L’inserimento del pronome qui, operato nell’interlinea e registrato dai testimoni, pare turbare la coerenza sintattica del periodo.
62 La traduzione è di chi scrive.
63 Roberto Weiss, The Renaissance Discovery of Classical Antiquity, Oxford, Blackwell, 1969. Cf. anche Maria Accame Lanzillotta, « Le antiquitates Romanae di Petrarca », Preveggenze umanistiche di Petrarca, Pisa, ETS, 1994, p. 213-239 ; Angelo Mazzocco, « The Antiquarianism of Francesco Petrarca », Journal of Mediaeval and Renaissance Studies, 7 (1977), p. 203-224.
64 Per Benzo, Marco Petoletti, Milano e i suoi monumenti. La descrizione trecentesca del cronista Benzo d’Alessandria, Milano, Edizioni dell’Orso, 2004, p. XLVIII-LXXXVII.
65 Modonutti, « Memorie e rovine […] », art. cité, p. 60-62.
66 Si tratta del ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Chig. I.VII.259. Cf. Giulio Bodon, « Interesse antiquario e numismatico nel primo Trecento veneto. I disegni nei codici delle Historie imperiales di Giovanni Mansionario », Id., Veneranda antiquitas. Studi sull’eredità dell’antico nella rinascenza veneta, Bern-Berlin-Bruxelles-Frankfurt am Main-New York-Oxford-Wien, Peter Lang, 2005, p. 203-217. Marino Zabbia ne ha anche evidenziato il probabile ruolo di guida al lettore per il reperimento della vita dell’imperatore che si stesse cercando (Zabbia, I notai […], op. cit., p. 43 n. 113).
67 Giovanni Boccaccio, De mulieribus claris, cap. XCVIII, par. 2-3 e 10 (Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, a cura di Vittore Branca, vol. 10, De mulieribus claris, a cura di Vittorio Zaccaria, Milano, Mondadori, 1967, p. 396-398 e 400-401, da cui vengono testo e traduzione). Cf. anche Boccace, Les femmes illustres. De mulieribus claris, trad., introd. et notes de Jean-Yves Boriaud, Paris, Les Belles Lettres, 2013, p. 178 e 180.
68 Guenée, Histoire […], op. cit., p. 124, avec coupures.
- Thème CLIL : 4027 -- SCIENCES HUMAINES ET SOCIALES, LETTRES -- Lettres et Sciences du langage -- Lettres -- Etudes littéraires générales et thématiques
- ISBN : 978-2-406-11909-8
- EAN : 9782406119098
- ISSN : 2261-1851
- DOI : 10.48611/isbn.978-2-406-11909-8.p.0279
- Éditeur : Classiques Garnier
- Mise en ligne : 15/12/2021
- Langue : Italien
- Mots-clés : Italie, Renaissance, encyclopédisme, historiographie, humanistes