Prove per un’agiologia dell’eroe delle chansons de geste (con esempi dal culto di Vivien, Guillaume, Renaut de Montauban)
- Type de publication : Article de revue
- Revue : Cahiers de recherches médiévales et humanistes - Journal of Medieval and Humanistic Studies
2021 – 1, n° 41. varia - Auteur : Ghidoni (Andrea)
- Pages : 379 à 406
- Revue : Cahiers de recherches médiévales et humanistes - Journal of Medieval and Humanistic Studies
Prove per un’agiologia dell’eroe
delle chansons de geste
(con esempi dal culto di Vivien,
Guillaume, Renaut de Montauban)
Nel 1958 Angelo Brelich pubblicò un’opera capitale negli studi sulla storia della religione greca, Gli eroi greci: un problema storico-religioso1, testo prezioso non solo per l’antichistica ma anche per l’approccio teorico e pratico al concetto di eroe, inteso come fenomeno storico (proprio della civiltà greca) che mette in collegamento aspetti diversi della cultura in cui è sorto, dal mito alla letteratura, dal rito al folklore e alla teologia. Bisogna riconoscere all’opera di Brelich un ampio afflato interdisciplinare in cui si anticipano metodologie che saranno definite dalle scienze della cultura, dalla semiologia e dall’antropologia2. A partire dalla lettura di Gli eroi greci, vorrei proporre un esperimento e applicare le riflessioni di quell’illustre storico delle religioni a un altro “fenomeno eroico”, certamente ben differente e da distinguere da quello greco, ossia agli eroi delle chansons de geste della Francia medievale.
1. Oggetto della trattazione di Brelich è la definizione di una “forma eroica”, di una morfologia dell’eroe. Tale prospettiva si distingue da 380quella meramente filologica3, che rintraccia origini ed evoluzioni di un singolo eroe attraverso i testi che riportano i miti relativi a quella figura individuale. Lo scopo di Brelich è invece passare in rassegna i motivi e i temi più frequentemente associati agli eroi greci, mettere in evidenza quella « riserva di elementi4 » caratteristici (ma non esclusivi5) da cui la cultura ellenica attingeva per individualizzare i propri eroi, i quali erano conformazioni particolari di caratteri genericamente “eroici” orientati in base a un « carattere centrale6 ».
Com’è noto, l’eroe greco non è però solo una tipologia di personaggio narrativo (che compaia per esempio solo in poemi epici), è anche un elemento di grandissima importanza nella religione, in quanto gli eroi sono oggetto di culto, possiedono un’efficienza permanente sul presente anche dopo la morte e un’influenza sulle cose terrene quasi sempre legata al sepolcro dove giacciono le loro spoglie, s’incardinano nel sistema politeistico in una posizione intermedia tra gli uomini e gli dei7.
La morfologia di Brelich ha pertanto un respiro, per così dire, culturologico, in quanto prende in considerazione non solo la mitologia, ma tutte quelle forme e quelle attività in cui si esprimeva storicamente la cultura dell’eroico e il suo culto religioso nell’antica Grecia: per 381comprendere la complessità del fenomeno “eroe” è necessario « fondare lo studio degli eroi su una morfologia quanto più completa sia dei culti che dei miti eroici8 ». Il suo intento è
individuare quei fatti caratteristici della mitologia eroica globalmente considerata che trovano un appoggio, quasi una conferma del loro valore religioso, nell’esistenza di corrispondenti fatti del culto eroico globalmente considerato9.
Di conseguenza l’oggetto dell’analisi morfologica diviene « una sola, grande, complessa realtà organica, quella dell’eroe nella religione greca », i cui aspetti sono « organicamente connessi10 ».
Brelich insiste più volte sulla necessità di valutare l’intero complesso delle manifestazioni dell’eroe nella religione greca, espressioni tanti verbali quanto cultuali:
l’intera sfera dei miti e culti eroici costituisce un’unità organica e che anche tra i suoi settori apparentemente più disparati vi sono nessi consistenti11.
[I] singoli campi in cui si nota una convergenza tra i frequenti elementi della mitologia eroica con diffuse forme e occasioni del culto eroico, non sono indipendenti l’uno dall’altro, né tanto meno dividono gli eroi in diversi tipi o categorie, bensì sono tra di loro organicamente connessi12.
La prospettiva sistemica è però sfumata e si ammette che i vari aspetti dell’eroe e delle espressioni culturali che lo concernono costituiscono un complesso dai confini sfocati:
Si è trattato soltanto di mostrare che i rapporti di fatto esistenti, ora più ora meno intensi e precisi, fra tutti quei campi, complessi o gruppi di fatti religiosi non sono casuali e contingenti, ma si fondano, invece, su connessioni organiche religiosamente significative. Anche in questa sua forma elastica, questa constatazione ha una non trascurabile importanza per lo studio degli eroi greci, in quanto mostra che il mondo eroico non è un’accozzaglia di figure di varia natura, ma qualcosa di fondamentalmente omogeneo13.
382Focalizziamo l’attenzione solo su due concetti strumentali per il nostro esperimento:
a) l’eroe è polimorfo e polivalente, nel senso che è il prodotto di una combinazione di elementi (eventualmente organizzati attorno a un carattere centrale), senza che tali tratti siano esclusivi alla sua figura: le funzioni e gli aspetti dell’eroe sono molteplici (combattente, iniziando, difensore dai mostri, fondatore di città o agoni, intermediario col divino, guaritore, violento, vittima, patrono di attività umane, civilizzatore, oracolo, protettore dei riti iniziatici ecc.), insieme essi formano una « struttura virtuale14 » che deve essere concretata; la morfologia dell’eroe si concepisce solo a partire dalla molteplicità a cui potenzialmente può aspirare una singola figura classificata come “eroe”. « Non esiste un culto o una particolare forma di culto, né un mito di una figura divina o eroica; non esiste, per esempio […], un “mito di Apollon” o un “mito di Herakles” […]. Esistono invece, per ciascuna di queste figure, un mito (o anche più miti), della nascita, della genealogia, uno o più dell’infanzia, di determinate gesta, di rapporti amorosi, di vicende varie — tanti miti che sono, di per sé, episodi conchiusi, e non un solo mito coerentemente continuo che rispecchi esattamente ed integralmente la “figura15” ».
b) tale polimorfismo dell’eroe è espresso in modo “multimediale”. L’eroe è una figura la cui unità deve essere studiata a partire dai diversi ambiti culturali in cui i suoi caratteri sono sviluppati: dunque le sue funzioni, peraltro non esclusive, emergono non soltanto nel mito ma anche nel culto (riti, feste, cerimonie, giuramenti) che gli è tributato. « La “figura” emerge […] in tutta la sua plasticità, dall’insieme dei miti e delle forme di culto che – pur riscontrandosi anche in altre combinazioni, cioè in connessione con altre figure – sono riferiti ad essa16 ».
L’eroe in senso astratto (e ciascun eroe concreto in gradazione diversa) è dunque una figura di collegamento tra diverse aree di una singola cultura, risponde a una eterogenea gamma di esigenze e bisogni dell’uomo. In quanto figura intermedia tra la sfera terrena e quella divina unisce proprietà umane (un eroe nasce e muore) e soprannaturali (l’eroe, quando oggetto di culto religioso, è dotato di un’efficienza funzionale a determinate richieste dei fedeli, opera miracoli; a differenza delle divinità del 383politeismo, che hanno contorni e sfere di influenza assai meglio definiti, il numero delle sue funzioni non è limitato a una o poche, il ventaglio è assai più ampio17). L’eroe è genericamente concepito come possessore di caratteri super- e trans-personali, ben visibili nella « libertà d’iniziativa » (oltre le possibilità naturali e sociali dell’individuo) caratterizzante quegli esseri mitici semi-divini che acquisiscono lo statuto eroico; Meletinskij attribuisce tali tratti all’archetipo dell’eroe, che nascerebbe nel folklore arcaico come figura in grado di muoversi su più piani del reale18.
Si potrebbe anche dire, con V. Turner, che all’interno di una cultura l’eroe assume una posizione liminale19 che lo trasforma in catalizzatore di eterogenei aspetti della realtà umana naturale e sociale, una varietà di funzioni a cui non possono aspirare né gli uomini né gli dei. L’eroe ha quindi una sorta di funzione culturologica, in quanto unisce (nei miti e nel culto) aspetti della realtà umana distanti tra loro. La figura dell’eroe, nella coscienza di un individuo o di una comunità, mantiene una sfocata unità che trascende le modalità e i molteplici codici con cui può essere espresso tale archetipo eroico, per cui la rappresentazione di quell’eroe viene percepita come un unico segno polimorfo e complesso costruito attraverso il racconto (fiaba, mito, poema), il culto, la raffigurazione plastica ecc20.
384Realizzare una poetica dell’eroe significa dunque prendere in considerazione il polimorfismo e la polivalenza della concezione dell’eroe (in senso generico e morfologico, come fa Brelich, o in senso filologico, quindi di un singolo eroe) all’interno di una cultura, studiare i modi in cui l’eroe, oggetto culturale privilegiato dal suo essere “liminale”, venga costruito in differenti ambiti e attraversi più o meno intatto codici e sistemi semiologici diversi, pur essendo percepito e rappresentato in forma unitaria nella coscienza di singoli individui, comunità, culture21.
2. Dopo questa lunga considerazione teorica sul significato culturale dell’eroe attraverso l’opera di Brelich, possiamo applicare la concezione eroica che abbiamo delineato agli eroi medievali e in particolare a quelli delle chansons de geste.
Il problema che sorge è proprio l’uso del termine e del concetto di eroe, un grecismo (mediato dal latino) che si diffonde nella cultura letteraria (in italiano come in francese) dopo la stagione umanistica e che non viene mai applicato ai personaggi delle chansons, i quali in quei poemi sono piuttosto chevaliers o barons22. Dunque parlare di eroe per Roland e Guillaume significa imprimere su quelle figure tratti in parte estranei alla cultura medievale ed etichette confezionate dall’umanesimo classicista, che a sua volta deformò la concezione eroica che aveva il mondo antico, limitando il significato di eroe a “individuo che compie imprese straordinarie”, privilegiando a torto l’aspetto guerriero che predomina nell’epica omerica e virgiliana, omettendo dalla definizione la portata religiosa e la polivalenza dell’eroe greco23.
Il concetto di eroe si è pressappoco sovrapposto al concetto di epica, con il quale, attraverso i celebri modelli classici, si intende il poema che narra le gesta di guerrieri straordinari: dunque l’eroe diviene una 385tipologia di personaggio che compare solo nella narrativa e in particolare in quella letteraria. Sotto questo punto di vista unilaterale, eroi sono tanto i protagonisti dei poemi di Omero o Virgilio, quanto quelli delle chansons de geste – sempre interpretate nell’ottica di questo genere letterario –, come quelli del poema cavalleresco rinascimentale (sono già più periferici invece i personaggi del roman arturiano medievale che di rado combattono in battaglia24).
Recuperando invece nella sua complessità il concetto antico di heros e trasformandolo in un concetto antropologico valido per diverse culture umane, si noterà facilmente che il fenomeno che nel Medioevo conserva il maggior numero di analogie con esso è il santo, figura centrale nella religione cristiana fin dall’epoca tardoantica e che mostra la stessa polivalenza e la stessa tendenza dell’antico heros a penetrare e concernere tutti gli ambiti della cultura, tanto la narrativa (l’agiografia) quanto la pratica religiosa, mito e rito25.
I due fenomeni sono stati già oggetto di comparazione in passato26 ed è ben chiara la distinzione che occorre tracciare tra eroe antico e santo cristiano dal punto di vista teologico (l’eroe ellenico è un essere semidivino che non soggiace a una morale, la cui forza terrena ed efficienza ultraterrena sono attributi naturali, laddove il santo è invece un uomo che solo in virtù della grazia divina e della propria rettitudine cristiana opera miracoli). Ma sotto il profilo delle pratiche connesse ad eroi antichi e santi cristiani, queste due serie di figure sono in gran parte sovrapponibili27. Entrambe « possedevano una loro esistenza al di fuori delle parole dei poeti: erano anche figure del culto distribuite sul territorio e accompagnavano le attività umane con la loro invisibile azione28 » e « la differenza tra culto eroico e culto dei santi si assottiglia alquanto se 386consideriamo i due fenomeni dal punto di vista della mentalità collettiva e di quella che si suole definire […] “religione popolare”29 ». In entrambi i casi si osserva un culto per morti eccezionali, la cui straordinaria natura permane anche dopo la dipartita da questo mondo e che viene in qualche modo richiamata attraverso la venerazione della tomba e delle reliquie30. Gli eroi-santi rimangono nella memoria collettiva attraverso « contenitori di racconti », di edifici costruiti con gli stessi mattoni del mito, in quanto le loro gesta hanno carattere fondativo31.
È probabilmente superfluo sottolineare il profondo legame tra le chansons de geste e l’agiografia, un’approssimazione quasi originaria in quanto la Chanson de Roland e le altre chansons più antiche sono impregnate dell’ideale di santità cristiano32: Carlo Magno, Roland, Vivien, Guillaume sono paladini al servizio della fede, oltre che della Francia, incarnano i valori del miles christianus e ricordano sempre di recitare la preghiera du plus grand péril o il Credo nel momento in cui infuria la battaglia; Roland e Vivien, poi, muoiono come martiri, in maniera assai differente (il primo gloriosamente, il secondo in modo più sofferto), mentre Carlo è in grado di chiedere miracoli a Dio (l’arresto del sole). 387Sul piano storico, già Bédier ha esaminato la questione del rapporto tra i poemi antico-francesi e l’attività abbaziale lungo le vie di pellegrinaggio33. Il rapporto con la fede e con il divino è un aspetto specifico del genere delle chansons. Ma si resta sempre sul piano letterario, sui modi con cui i trovieri e i copisti-rimaneggiatori che hanno composto o vergato su manoscritti le chansons de geste hanno raccontato le gesta dei loro chevaliers come se questi fossero guerrieri santi.
In realtà per comprendere meglio la percezione di queste figure nella loro complessità all’interno della cultura medievale si può staccarle dal solo ambito poetico e considerarle come figure polivalenti che escono dalla narrativa profana per entrare nella vita quotidiana di individui o intere comunità, sotto forma di santi a cui è tributato un culto religioso. L’eroe delle chansons de geste diventa così una figura che si trasforma passando da un codice all’altro, da quello letterario o del folklore profano a quello dell’agiografia, del “mito” e del culto, che assume diversi aspetti – non necessariamente sempre coerenti tra loro – a seconda del contesto pragmatico in cui occorre e in cui viene fatto “agire34”.
La polivalenza dell’eroe delle gestes può essere messa in evidenza se rinunciamo all’apparente linearità biografica che viene proposta dai manoscritti ciclici, in cui una serie di chansons è ordinata in base alle tappe della vita di un unico personaggio. Si prenda Guillaume, che nella sua eccezionalità rappresenta comunque la migliore realizzazione dell’eroe polivalente nell’epica antico-francese. Di Guillaume, in un manoscritto ciclico come per esempio il ms. 192 della Bibliothèque Municipale di Boulogne-sur-Mer, viene costruita una sequenza biografica che parte dall’infanzia e gli esordi, prosegue con le imprese a difesa del giovane monarca Louis, passa alle imprese maggiori (Nîmes, Orange, Aliscans), termina con il ritiro monacale e la fine dell’eroe35. Ma, come 388ci avvertiva Brelich nella citazione sopra riportata, non esiste un “mito di Guillaume”, siamo in presenza invece di una pluralità di racconti che appartengono a micro-generi differenti: le enfances di Guillaume adottano motivi e schemi propri e ne vengono regolati di conseguenza i caratteri del personaggio36; altrettanto si può dire del moniage, etichetta che comprende una specifica classe di racconti i cui procedimenti possono essere applicati ad altri eroi (Rainouart37); le avventure narrate nelle varie branches del Couronnement o le gesta per la conquista di Nîmes e Orange non sfuggono a un’impressione di serialità in cui ogni episodio presenta un Guillaume determinato da schemi narrativi e motivi specifici38. A ciò si può aggiungere il racconto agiografico della Vita Sancti Willelmi, altra facies del nostro eroe (di nuovo monaco ma anche santo) immerso in un idioma narrativo estraneo alle gestes39. Se da una parte tutti questi testi e racconti sono da un punto di vista formale indipendenti e al massimo tenuti assieme – per dirlo in modo estremo – soltanto dall’omonimia dei loro segni-personaggi40, nella coscienza e percezione del pubblico di ascoltatori (e, più raramente, di lettori) sotto il nome di Guillaume si celava un’unica figura polimorfa, di volta in volta, in base ai contesti semiologici, enfant, difensore della monarchia, guerriero anche violento, beone, trickster, monaco, santo e perfino profeta41: non differenti aspetti caratteriali di un singolo individuo coerente con se stesso, ma somma di tipologie narrative ben definite e non sempre sistematizzabili tra loro. Non tutti gli eroi delle gestes raggiungono questi livelli di proteismo: gli 389stereotipati eroi delle tardive chansons d’aventures42 non escono dall’ambito letterario; la complessità di cui parliamo è più evidente in personaggi più antichi e “tradizionali” come Guillaume, Roland, Vivien, Renaut de Montauban.
Se si accetta la complessità non solo narrativa e letteraria ma anche culturale dell’eroe delle chansons de geste, sarebbe allora possibile tracciare (in questo contributo, sinteticamente) una morfologia dei casi in cui l’eroe esce dalla narrativa profana, dalla cornice pseudo-storica e dalla leggenda ed entra in altri domini culturali, come la religione, quindi diviene oggetto di culto o protagonista di credenze e superstizioni che ne attestano la vitalità permanente nella realtà terrena (anche successiva alla morte), l’influenza sulla vita degli uomini attraverso miracoli, un’efficienza presente di matrice oltremondana. Per delineare una morfologia del culto religioso di eroi delle chansons de geste qui mi limito principalmente agli esempi di Guillaume, Vivien e Renaut (con occasionali riferimenti ad altre figure43), muovendomi all’interno comunque di un territorio che offre pochi altri esempi:
Les personnages d’époque carolingienne qui entrèrent dans la légende sont nombreux. Ceux qui, considérés comme saints, eurent droit à une légende hagiographique, le sont moins. Ceux qui jouirent d’un culte officiellement reconnu sont encore plus rares44.
390Alcune premesse sono necessarie. Le pratiche religiose legate a queste figure hanno conosciuto una risonanza locale, al massimo regionale, incentrata su poche comunità marginali (Vivien a Martres-Tolosane) o sul patronato che il santo esercitava su una singola città (Renaut su Dortmund); il culto di Guillaume s’irradia invece da una comunità abbaziale (Gellone). Si tratta quindi di forme di devozione che quasi mai assumono un carattere sovraregionale o universale; esse sono inoltre canonizzazioni vescovili e non papali, quindi dal limitato impatto al di fuori delle singole giurisdizioni episcopali. Già questo aspetto è nettamente divergente dal culto dell’eroe greco antico, che conosceva certamente limitati culti locali accanto però a culti eroici panellenici di ben diversa complessità, come quello di Herakles. Ciò che ai fini del nostro studio però importa non è rintracciare fenomeni di larga portata, è essenziale anche il singolo caso in cui si possa riconoscere la costruzione di una rappresentazione dell’eroe polimorfa, a cavallo tra folklore profano e religioso.
Tale rappresentazione culturale può essere anche individuale (mentale) o conoscere una singola occorrenza “pubblica45”. Un caso interessante è quello di Aiol, del quale si dice (Aiol, v. 71-7346):
et Dameldieu de gloire de si boin ceur servi,
quant vi(e)nt aprés sa mort, que en fiertre fu mis;
encor(e) gist a Provin si com dist li escris.
« S’il plut un jour à un jongleur d’identifier ce chevalier à un vieil abbé merovingien, saint Ayoul de Provins, qui n’en pouvait mais, ce fut peut-être une fantaisie tout individuelle, et l’on ne voit pas qu’elle ait influé en rien le culte de saint Ayoul47 » commenta Bédier a proposito dei versi sopra riportati. Ammettendo che l’associazione tra l’eroe e sant’Aigulfo di Lérins fosse isolata e da attribuire a un singolo rimaneggiatore del 391poema, resta comunque interessante la rappresentazione mentale che ha condotto alla combinazione delle due figure: evidentemente questa era determinata soprattutto dalla somiglianza dei nomi Aiol / Ayoul, ma è possibile che fosse anche causata da altri aspetti, per esempio dall’idea che l’eroe non potesse essere tale senza un moniage (l’identificazione tra eroe e monaco era corrente, come vedremo), alla quale si aggiungeva la tradizione del martirio per mano saracena di sant’Aigulfo48 (forse però un omonimo), tipologia di morte che associata al moniage ben si applicava a un eroe delle chansons de geste (si vada più avanti il caso di Renaut).
Un’altra differenza con l’eroe ellenico è l’origine profana delle figure delle gestes, che solo in un secondo momento, sulla scorta della loro popolarità, vengono assorbite nel codice agiografico. Mentre gli eroi greci costituiscono un gruppo più o meno definito avente caratteristiche proprie, anche se magari non esclusive, sia in ambito mitologico che in quello religioso, gli eroi della Francia medievale fanno parte della tradizione leggendaria profana49 e le caratteristiche agiologiche e cultuali che riscontriamo in limitati ambiti sono in realtà tratti assai comuni nell’agiografia del tempo e assolutamente privi di rilevanza individualizzante, anzi spesso hanno poco a che vedere con la fisionomia dell’eroe delle gestes: ciò è in parte dovuto anche alla secondaria e tardiva fusione con figure già santificate che in comune con l’eroe avevano solo il nome e che finivano per avere il sopravvento sugli aspetti di origine profana ed epica. Ma il nostro 392obiettivo non è tanto individuare un’agiologia specifica degli eroi delle gestes quanto sottolineare l’esistenza di complesse nebulose di elementi profani e religiosi attorno ai nomi di questi eroi, per cui è possibile che nella concezione (anche se limitata nello spazio e nel tempo) di tali figure ricorressero tanto tratti guerrieri quanto caratteristiche del santo.
Delineate queste premesse, vediamo ora le forme che assumono i culti degli eroi delle chansons de geste, almeno nei pochi casi significativi che possiamo reperire. Poiché in questo contributo si vuole offrire solo un sondaggio, ci si baserà su fonti secondarie (studi e ricerche su eroi e santi), ma fonti primarie possono essere messali, martirologi, lezionari, vite di santi, storie di traslazione di reliquie, composizioni liturgiche50. Il complesso dell’eroe-santo naturalmente evolve e si modifica nel tempo (e nello spazio), per cui bisognerebbe prendere in considerazione gli aspetti diacronici del culto, che spesso non si arresta con la fine del Medioevo e prosegue nell’età moderna (con aspetti folklorici che persistono ancora oggi): tuttavia ci si limiterà a considerare la vitalità medievale di queste pratiche religiose.
Una morfologia simile a quella di Brelich dovrebbe essere fondata attraverso una focalizzazione sulle funzioni dell’eroe-santo: per i nostri casi le più frequenti sono la funzione di fondatore (in senso lato, come fondatore non solo storico ma anche “mitico”, in quanto in lui trova origine la realtà dei luoghi in cui si innesta il culto51), di protettore guerriero, di guaritore. Poiché però il materiale per gli eroi-santi delle chansons de geste è scarso e, a parte forse la funzione fondatrice, gli esempi per ciascun aspetto funzionale sono perlopiù unici, si preferisce procedere attraverso l’analisi del culto di ogni singolo eroe-santo, ponendo l’attenzione sulle sopraddette funzioni.
3. Il culto dell’eroe Vivien conosce una particolare diffusione nella Francia sud-occidentale e s’irradia in particolare dalla cittadina di 393Martres-Tolosane, una sessantina di chilometri a sud di Tolosa. In realtà la figura venerata in quella località fin dall’epoca medievale è sanctus Vidianus, una figura oscura derivante dall’epoca pre-carolingia, forse un martire, al cui nome si è associato nel xii secolo per via onomastica il ben più popolare eroe profano. Il territorio di Martres-Tolosane era ed è costellato di rovine romane (una sontuosa villa si ergeva nella località di Chiragan) e in particolare restava traccia di un cimitero in uso in epoca paleocristiana, attorno ai cui sepolcri, sarcofagi e resti dovette prendere avvio un culto rivolto ad alcuni martiri, messo in risalto dalla costruzione di una basilica nel iv secolo d. C.; l’edificio, ricostruito nel corso dell’xi secolo, viene menzionato in documenti risalenti al 1100 col nome di Sancta Maria de Martiribus – dedica che nell’Alto Medioevo segnalava proprio la connessione con il culto dei primi testimoni della fede cristiana –; l’attuale edificio risale invece ai primi anni del xiv secolo e venne edificato su quello che rimaneva della costruzione tardoantica e romanica. Se esistevano anche corpi santi oggetto di culto, questi rimasero apparentemente anonimi, almeno fino al xiii secolo, quando un documento emanato dal vescovo di Tolosa nel 1251 rivela che l’edificio era dedicato a sanctus Vidianus de Martis. Una carta di donazione databile attorno all’anno Mille, in cui la chiesa di Martres veniva soggetta all’autorità dell’abbazia di Saint-Sernin (che gestì la chiesa nei secoli seguenti) documenta che nell’edificio « corpus sancti Vidiani requiescit, cum aliis sanctis »: la genuinità del passo è contestata, ma se anche fosse stato inserito nel xiii secolo, esso attesta la venerazione di san Vidian e un culto a carattere popolare tollerato dal clero e dedicato al santo e agli altri martiri. Il culto del santo, emergente in documenti ufficiali fin dal 1251, viene sancito alla fine del xiii secolo, quando una bolla di papa Nicola IV nel 1292 testimonia ufficialmente l’esistenza della festa liturgica di san Vidian, le cui reliquie erano state traslate nella chiesa di cui era nei fatti già titolare52.
Probabilmente già in quegli anni esisteva una versione dell’agiografia del santo venerato a Martres, il cui testo era letto durante l’officio del santo (la cui festa cadeva l’8 settembre); la vita e il lezionario delle 394celebrazioni liturgiche legate al santo vennero ricomposti tra il xiv e il xv secolo; in questa forma rimaneggiata, conservata in un manoscritto antico ora perduto, l’officio venne copiato nel 1636 nel manoscritto ora BnF, ms. lat. 11778 (f. 124r-130v) dal frate benedettino Odon de la Mothe del convento della Daurade a Tolosa, poi inviato dallo stesso copista a Saint-Germain-des-Prés53.
L’Officio di sanctus Vidianus è un documento prezioso per le nostre riflessioni. Dalla lettura di questo testo latino (accompagnato dalle biografie seicentesche del santo che si appoggiavano a loro volta su tradizioni popolari) emerge chiaramente che san Vidian era la versione locale (forse attraverso la storpiatura dialettale del nome) del Vivien delle chansons de geste. È possibile anche che siano state fuse due figure dal nome simile, un martire venerato da tempo immemore a Martres e l’eroe delle chansons de geste. La Vita è improntata dalle Enfances Vivien e da Aliscans54, due chansons de geste che narrano rispettivamente l’infanzia e la morte in battaglia di Vivien: in particolare è soprattutto la trama del primo dei due poemi a essere ripreso a piene mani nell’agiografia. Infatti si deduce dalle lezioni della liturgia che il padre di Vidian, nobile francese, era prigioniero degli infedeli nella città di Lucerna in Galicia e che sarebbe stato liberato solo dopo uno scambio con il figlio dell’ostaggio, ben disposto al martirio fin dalla tenera età. La benevolenza divina permette al fanciullo di fuggire (per il tramite di una donna mercante – negotiatrix – che lo riscatta dalla schiavitù) e di presentarsi alla corte di Carlo Magno, dove viene accolto e dux a Carolo procreatus. In questa veste si reca a combattere gli Agareni in Guascogna, dove vince una battaglia, al termine della quale però muore in solitudine ai margini del campo di battaglia per una ferita alla testa. L’officio contiene anche una serie di miracoli operati dal santo.
La morte santa dell’eroe delle chansons de geste è quella del guerriero che muore in battaglia contro gli infedeli per difendere fede e patria e il prototipo più esemplare è naturalmente Roland, al quale si può associare Vivien. Il culto di Vivien-Vidian fa leva proprio sulla pateticità della morte in battaglia dell’eroe, che era nota tramite la Chanson de 395Guillaume e Aliscans. La pietà popolare localizza anche con precisione il punto in cui il santo, ferito in capite, terminò la sua esistenza terrena (Officium sancti Vidiani, f. 128r-128v):
[Vidianus], vulnere accepto, ad Villam, quae hodie dicitur ad Martyres sive Martras […] accessit et […] ad quemdam fontem qui hodie dicitur Fons sancti Vidiani accubuit, sanguinem suum de vulnere suo perfusum aquis illius fontis profluens atque detergens, in tantum quod saxa ibi circa fontem posita ex profluxu sanguinis ibidem decurrentis, virtute divina, posteris exemplum dante passionis suae martyre, usque ad praesens tempus remaneant rubricata.
L’importanza vitale dell’eroe-santo non è dunque limitata all’intercessione che opera presso Dio per influenzare le cose terrene, ma marca anche il territorio della comunità che gli tributa il culto: i dintorni di Martres diventano teatro degli scontri di cui fu protagonista Vivien-Vidian e in particolare una pietra arrossata nei pressi di una fonte testimonia in maniera perdurante l’effusione di sangue del martire. Attraverso le modalità della sua morte Vivian-Vidian plasma – alla stregua di un “mitico fondatore” – il territorio circostante la comunità che lo venera: la materia profana della chanson de geste, attraverso l’agiografia, diventa eziologia.
La specificità dei miracoli di Vivien-Vidian risiede nel fatto che alcuni di questi potrebbero essere legati all’individualità di miles (il « carattere centrale » di Brelich) e in particolare è possibile ipotizzare un legame con quanto narrato nelle chansons de geste a proposito di Vivien. Pur trattandosi di un martire combattente e di un expugnator gentis barbaricae in vita, è tuttavia assente proprio la funzione guerriera post-mortem, che invece riscontriamo per esempio nelle versioni santificate di Guillaume e Renaut.
La funzione di guaritore e di esorcista si esplicita in occasione dell’inventio delle reliquie a lungo dimenticate: Vidian libera un indemoniato e da quel momento di fronte ai sacri resti vengono recati i posseduti, i ciechi, gli infermi che escono tutti guariti dalle virtù del santo. Il caso più interessante vede protagonista un quidam miles, accanito giocatore e bestemmiatore, che si ritrova improvvisamente la mano bloccata nell’atto di gettare i dadi: per sette anni ogni sforzo di riaprire il pugno risulta vano. Di passaggio a Martres dopo un pellegrinaggio a Roma e a Santiago, si lascia convincere dagli abitanti a vigilare pregando 396tre notti di fronte alle reliquie del santo, in una sorta di incubatio – rituale ben noto del culto della divinità e dei santi guaritori. Al terzo giorno, quando il miles è ormai prossimo ad arrendersi, l’incessante preghiera dei fedeli provoca il miracolo e il pugno del cavaliere si dischiude, rivelando i dadi ancora conservati nel palmo della mano. È lecito chiedersi se il miracolo dei dadi con protagonista un miles non sia da connettere in qualche modo al ricordo delle Enfances Vivien, in cui l’eroe oppone alla venalità dei borghesi mercanti i costumi (giochi, caccia, liberalità) del ceto cavalleresco55: da questa canzone “morale” forse discende la funzione moralizzatrice di san Vidian?
L’altra funzione che sembra derivare da dati della biografia cavalleresca di Vivien-Vidian è quella di protettore dalle acque: si ricorderà che Vivien-Vidian muore in armi dopo essersi bagnato a una fonte mischiando le acque con il suo sangue e aspergendo indelebilmente una roccia accanto a quella sorgente, nota col nome di Fons sancti Vidiani. Sono due i miracoli che esprimono questo speciale legame con le acque (in particolare del fiume locale, la Garonna): Vidian salva la figlia di un contadino sorpresa da un’inondazione mentre cercava di recuperare un sacco di sementa dimenticato dal padre nel campo; il santo soccorre il nipote di una sua devota che era stato gettato nella Garonna da una banda di briganti.
4. San Guillaume de Gellone è l’unico dei santi qui considerati che non sia frutto di fusioni o rielaborazioni di tradizioni profane e sacre nella memoria popolare, ma che ha alla base una figura storica, Guillaume de Toulouse, la stessa che probabilmente ha fornito parte del materiale per la costruzione del personaggio epico di Guillaume d’Orange e che poi è stata canonizzata col nome di san Guillaume de Gellone, festeggiato il 28 maggio. Poiché gli studi di chansons de geste si sono largamente occupati della relazione tra questo eroe e la sua versione 397santa, tralascio gli aspetti storici e le vicende abbaziali legate a questa figura e mi limito a segnalare le sue principali funzioni in relazione al culto dell’eroe-santo56.
La santificazione dell’eroe avviene non attraverso il martirio, ma grazie alle opere virtuose compiute a seguito della vita trascorsa in eremitaggio nella cella di Gellone (attorno a cui sorse l’abbazia di Saint-Guilhelm-le-Désert), il moniage, che appartiene anche alla tradizione delle gestes e che è argomento di un poema del xii secolo noto in una versione lunga e in una breve57. Mentre Vivien-Vidian è un santo militare che muore in battaglia e Renaut è un monaco che viene ucciso a causa del suo zelo, Guillaume esplica le proprie funzioni di fondatore – storico ma anche mitico – in quanto feudatario ritiratosi in romitaggio e bâtisseur di abbazie e ponti, funzioni che si possono riassumere con la formula miles conversus et fundator. Inoltre, rispetto agli altri eroi-santi, importantissime fonti sulle funzioni agiologiche di Guillaume e sul suo culto (non solo sulla sua vita da monaco, come accade per Renaut) sono due chansons de geste (Chevalerie Vivien e Moniage Guillaume).
La funzione di fondatore “storico” traspare dalla Vita sancti Willelmi, agiografia composta a Gellone attorno al 1125 e alla quale sembrano essere familiari le tradizioni cantate sull’eroe (modulatis vocibus decantant58). Guillaume si installa a Gellone, edifica una cella, la arricchisce 398con donazioni, contribuisce alla costruzione delle cucine, del forno e del mulino. Proprio nella fornace compie un primo miracolo: il Diavolo incendia il clibanus e Guillaume spegne le fiamme entrando e uscendo illeso dal forno. L’atto fondativo di Guillaume è inoltre impreziosito, secondo la Vita, dalla donazione al nuovo monastero di una reliquia della Santa Croce, che il santo aveva ricevuto in regalo da Carlo Magno59.
Più rilevante è invece il ruolo di “fondatore mitico” della conformazione del paesaggio attorno a Gellone e di costruzioni umane che l’eroe edifica soggiogando forze ultraterrene. Per documentare queste funzioni, bisogna ricorrere alla versione lunga del Moniage Guillaume. Guillaume prende possesso della desertine di Gellone, ma la trova infestata da serpenti ed altri rettili velenosi. L’eroe – dismettendo i panni del guerriero e assumendo un atteggiamento da santo eremita – prega Dio di liberare il luogo: le bestie, facendo un rumore spaventoso, vengono scaraventate e annegate nelle acque sottostanti del fiume Hérault, che in quelle località forma delle gole. L’intercessione di Guillaume ha dunque la funzione di civilizzare la natura e di addomesticare la selvaticità del desert (Moniage Guillaume II, v. 2480-2504):
Le desertine fait mout a redouter,
car de serpens i ot a grans plentés,
bos et culuevres et serpentiaus crestés,
et grans laisardes et lais crapaus enflés.
En cel desert est Guillaumes remés;
quant il i fu, si li vint mout en grés.
Et disi li quens: « Or ai mes volentés:
chi fait mout boin manoir et converser,
chi vaudrai jou mon ostel estorer,
et jour et nuit Damedieu aorer.
Dieus, s’il vous plaist que chi soie ostelés,
ceste vermine faites de chi aler! ».
A genillons en prie Damedé,
lui et sa mere en a mout reclamé,
et Diex i a grant miracle moustré,
pour dant Guillaume, que il a mout amé.
N’ëussiés mie une traitie alé,
quant li serpent, dont il i ot plenté,
sont del desert contreval avalé
399et es grans aighes noié et effondré.
Mais al descendre ont tel friente mené,
si grande noise ont entr’eus démené
que li marchis en fu tous effreés.
Quant li desers fu ensi delivrés,
li quens Guillaumes en a Dieu merchïé.
La leggenda fornisce anche una spiegazione eziologica di un fenomeno ancora presente nella realtà delle contrade – il rumore dei gorghi del fiume –, motivo che verrà replicato anche negli altri episodi “mitici”.
La funzione civilizzatrice contro gli agenti infestanti il luogo scelto per il romitaggio prosegue infatti con l’uccisione di un gigante antropofago che, infastidito dall’industriosità del monaco, assale Guillaume. La lunga lotta si conclude su una rupe che si affaccia pericolosamente sul fiume, dove l’eroe riesce a spaccare la testa dell’avversario con una pietra e a gettare tra i gorghi la malnata creatura, che precipita con un rumore assordante (Moniage Guillaume II, v. 2714-2744):
Entre Guillaume et le felon jaiant
par le desert vont andoi turelant;
li uns fiert l’autre, nel va mie espargnant,
des poins qu’il orent mervillos et pesans:
parmi les bouces lor raioit fors li sans.
Sor une roche sont venu turelant,
et par desous ot une aighe courant,
grant et orible, mervillouse et bruiant,
qui des desreubes et des roces descent.
Li quens vit l’aighe si en ot paor grant:
« Dieus », dist Guillaumes, « soies moi hui aidant
que cis diables ne m’enbate laiens.
Se g’i pooie trebuchier cest gaiant,
a tous jours mais en seroie joiant,
ja n’en istroit a trestout son vivant ».
De lui estort li jaians a itant;
mais li marchis ne se vait delaiant,
devant lui voit une pierre gisant,
grant et cornue, a merveilles pesant:
li quens le lieve par mout fier mautalent,
le gaiant fiert enmi le front devant,
le test li brise, le cerveil li espant;
et Dieus i fist une miracle grant:
avoec le caup le hasta li quens tant
400que tout envers fist voler le jaiant,
tout contreval le grant rochier pendant.
Desci en l’aighe vait li glous rondelant;
au chair ens fist un flas issi grant
que uns grans caisnes n’en fëist mie tant.
Li quens le voit, Dieu en va merchïant;
au maufé dist: « Le tien Dieu te commant! ».
L’eroe, tradizionalmente impegnato contro i pagani, nel Moniage assume anche la funzione di uccisore di mostri, in particolare all’interno di una costellazione di tradizioni folkloriche locali60.
La versione del Moniage Guillaume è inoltre confermata dal seguente passo della Chevalerie Vivien (v. 1703-1714)61:
Ce dit la geste dei temps ancianor
c’onques ne fu nus hom de tel vigor;
a Saint-Guillelme ce dient li plusor
que il gita le jaiant de sa tor;
par vive force le destruit a dolor;
et fist le pont Guillelmes par iror.
Et li deables par nuit depeça tot:
il le gaita, c’onques n’en ot peor,
et le gita en la plus grand rador.
Encor i pert et i parra toz jorz:
illuec est l’eve en icele brunor;
l’abisme semble et si tornoie entor.
Oltre alla leggenda dell’uccisione del gigante, si menziona anche l’altra impresa dell’eroe-santo, una lotta col Diavolo che distruggeva il ponte sul fiume che l’eroe stava costruendo: dopo un mese in cui ogni notte il demonio abbatteva la costruzione, Guillaume precipita l’avversario nelle acque tumultuose e profonde (grand rador e brunor). Ancora una volta dunque si fa cenno alla natura impetuosa del fiume, resa ancora più inquietante per le creature mitiche e selvagge che l’eroe vi ha gettato dentro. L’altro aspetto significativo è la permanenza (eterna) dell’eroe 401e degli effetti delle sue azioni nel luogo dove è vissuto e morto e viene venerato (encor i pert et i parra toz jorz).
Se i tre racconti riguardano gli atti di “fondazione” compiuti dall’eroe, la chiusura del récit della lotta con il diavolo contenuto nel Moniage Guillaume è ancora più significativa, poiché accenna all’efficienza post-mortem dell’eroe-santo, una superstizione rispettata dai pellegrini che passano sul Pont du Diable (v. 6610-6620):
Et Damedieus sa proiere öi a:
ainc li diables puis ne s’en remua,
tous tans i gist et tous tans i girra.
L’aighe i tournoie, ja coie ne sera,
grans est la fosse et noire contreval.
Quant li diables fu en l’aighe parfont,
l’aighe i tornoie entor et environ;
grans est la fosse, nus n’i puet prendre fons.
Maint pelerin le voient qui la sont,
et saint Guillaume sovent requis i ont;
caillaus et pierres getent el puis parfont.
Il culto dell’eroe-santo si esprime nel gesto dei pellegrini che, invocando san Guillaume, gettano sassi dal ponte per esorcizzare la paura del demonio che ancora agita le acque sottostanti. Nella religione popolare, alla funzione di fondatore della realtà naturale e sociale si associa dunque la funzione di protettore dalle creature malvagie, di patrono dei pellegrini e quindi anche di santo tutelare delle acque dello Hérault.
Alle funzioni eroiche di Guillaume si può aggiungere la funzione profetica: nella Vita sancti Willelmi62 l’eroe in punto di morte riceve dallo Spirito Santo la facoltà di predire il futuro dei suoi confratelli, dell’abbazia e del regno di Carlo Magno. Si può vedere in questo breve episodio agiografico una specifica relazione, magari espressa tanto nel testo narrativo quanto nel culto, tra il santo e la monarchia francese, di cui Guillaume nelle chansons è principale baluardo?
Nella Historia miraculorum sancti Willelmi monaci Gellonensi63 si leggono i miracoli successivi al trapasso, ai quali si intrecciano le azioni taumaturgiche della reliquia della Santa Croce che la tradizione riteneva 402legata al santo. Sorvolando su queste ultime e limitandomi alle tipologie, l’efficienza oltremondana del santo si rende tangibile in queste circostanze: guarigione di infermi e di indemoniati (presso la tomba); salvataggio dall’annegamento; protezione da barons pillards64.
I prodigi sono stereotipi dell’agiografia corrente, sembra nondimeno che si applichi al santo una speciale funzione protettrice contro i demoni e in particolare contro i milites violenti e tirannici (che sono talvolta posseduti da demoni). Per esempio, un certo Theuthrannus de Salsis de ordine militiae secularis, ritenuto un valoroso e nobile cavaliere secondo la pompa seculi, compie una serie di angherie nelle terre circostanti il monastero, con uccisioni e ruberie. Un giorno, dopo l’ennesimo saccheggio, ordina che sia ucciso uno dei bovini catturati e che sia allestito un banchetto. Nel momento in cui il miles mastica il primo boccone, le mandibole si serrano e non c’è modo di fargli riaprire la bocca; questa si schiuderà solo dopo che il cavaliere si sarà prostrato e umiliato di fronte all’altare del Santo facendo atto di contrizione. Il miracolo, non dissimile dal prodigio di Vidian che riapre la mano al giocatore d’azzardo, sembra investire Guillaume di una sorta di funzione “moralizzatrice” nei confronti di quei milites che esercitano violenza contro la popolazione indifesa.
5. Nel Renaut de Montauban65 alle vicende riguardanti il dissidio tra Carlo Magno e i quattro figli di Aymon che si concludono con la riappacificazione dei contendenti segue una sorta di agiografia di Renaut. L’eroe, contrito per il sangue versato nella contesa col sovrano, si reca in pellegrinaggio a Gerusalemme (dove contribuisce, ancora una volta maneggiando la spada, a conquistare il Santo Sepolcro); ritornato dalla Terra Santa, prende i voti e si fa monaco a Colonia, dove prende parte alla costruzione del duomo di San Pietro; la sua zelante industriosità provoca l’ira e l’invidia degli altri operai, i quali lo uccidono con una pietra e ne gettano il cadavere nel Reno; miracolosamente il cadavere riemerge dalle acque e viene traslato con tutti gli onori tributati ai santi martiri a Colonia; ma il carro che porta la salma si dirige, come 403mosso da volontà propria, verso Dortmund, città della quale san Renaut diverrà patrono66.
Se nei due casi di eroi-santi legati alle chansons de geste che abbiamo analizzato sopra la santità derivava o dal martirio (Vivien-Vidian) o dal moniage successivo alle imprese belliche (Guillaume), in Renaut i due motivi agiologici sono combinati assieme, come conseguenza della fusione di due figure precedenti.
La chanson de geste del xii secolo incorpora l’evoluzione agiografica della leggenda profana dei ribelli che probabilmente era stata diffusa dal culto di san Reinold officiato a Dortmund. La venerazione di tale santo nella città tedesca prende avvio nel corso dell’xi secolo, specialmente a seguito di uno scambio di reliquie con la città di Colonia: poiché in quest’ultima si venerava san Pantaleone, medico martire vissuto in Oriente tra i secoli iii-iv d. C., le reliquie del santo di Nicomedia (che erano possedute da Dortmund) vennero traslate a Colonia in cambio dei resti di san Reinold. La venerazione a Dortmund del nuovo santo patrono (la cui liturgia cadeva il 7 gennaio) andò di pari passo con le fortune politiche ed economiche della città, che tra xii e xiii secolo acquisisce autonomia e ricchezza, grazie specialmente ai suoi mercanti di vino e tessuti. Proprio questa classe mercantile, riunita nella Gilda di san Reinold, è estremamente devota al santo, per cui l’importanza del culto s’intreccia con l’accresciuta potenza dei magnati cittadini, che contribuiscono anche alla diffusione del nome di Reinold in altre città della Lega anseatica67.
404La figura venerata a partire dalla fine del xii secolo non è più il santo originario, ma è il risultato della fusione di due figure omonime, cioè il santo di Colonia trasferito a Dortmund (presumibilmente un monaco morto assassinato e venerato come martire) e l’eroe profano che le chansons de geste avevano contribuito a far conoscere nelle regioni lungo il Reno. Renaut-Reinold presenta perciò un duplice aspetto, una facies guerriera e cavalleresca e una monacale, che si riflettono tanto nelle agiografie quanto nell’iconografia68. Da una parte, testi agiografici come la Vita sancti Reynoldi Rythmice – inno liturgico oggi leggibile nella versione della fine del xv secolo, basata su un testo almeno del xiii secolo – e la versione ripuaria della Historie van sent Reynolt della fine del Quattrocento (tradotta in latino nella Historia beati martiri Reynoldi69) mantengono una duplice focalizzazione tanto sulle avventure “profane” dell’eroe Renaut (lungamente raccontate) quanto sulla vita successiva alla monacazione; dall’altra, testi come la prosa inserita nella Legenda aurea di uso locale a Colonia (poi stampata dai Bollandisti) o la trascrizione di un’antica leggenda agiografica effettuata da Florentius de Schneckis attorno al 1530 riportano, accanto ai miracoli compiuti come monaco, soltanto la genealogia “profana” del santo (il nome del padre Aymon e poco altro) e ignorano le imprese guerresche di Renaut70.
Pertanto nell’analisi delle funzioni dell’eroe-santo Renaut dovremo distinguere tra le funzioni di guerriero (probabilmente retaggio della figura profana) e quelle di guaritore (maggiormente legate al monaco Reinold). A queste si potrebbe aggiungere anche la funzione fondatrice, legata all’attività di Renaut-Reinold nel cantiere del duomo di Colonia.
Le funzioni di guaritore possono derivare, nel caso di Reinold, dall’associazione con la figura di san Pantaleone, le cui reliquie, come si è detto, furono oggetto nell’xi secolo di uno scambio con i resti di Reinold avvenuto tra le città di Colonia e Dortmund. È possibile che le funzioni di santo medico anargiro attribuite a Pantaleone nel culto popolare di Dortmund siano state trasferite al nuovo santo patrono. Nelle agiografie (a cui possiamo aggiungere il lezionario della liturgia 405del 7 dicembre noto come Historia Reynoldi Martyris, anch’esso noto in versioni quattrocentesche basate però su redazioni precedenti71) si leggono diversi miracoli di questo genere operati dal santo, sia in vita che dopo la morte. Già nell’episodio della inventio delle reliquie, le virtù di Reinold guariscono una pia donna malata, grazie alla cui visione viene localizzato nel Reno il corpo del santo. Secondo l’inno liturgico invece l’efficienza trascendente del santo « caecos, claudos et obsessos, / … / febres pestilentiales, / languoresque corporales / sanat omnes pariter » e « medelam epylenticis / dat, surdis et squinanticis, / freneticis, / artheticis, / epaticis, / sciaticis, / et aegris corporibus72 ». In particolare, il santo era invocato contro la peste.
San Reinold è però ben noto ai cittadini della Dortmund medievale come santo militare, alla stregua di un san Giorgio o san Michele. In particolare due sono le occasioni in cui il santo accorre in soccorso dei suoi protetti. La notte del 18 marzo del 1352, nel corso di un assedio, una schiera di nemici riesce a penetrare in città grazie a un traditore; la voce di san Reinold tenta più volte di avvertire le sentinelle, le quali, all’inizio incredule e incerte, alla fine suonano l’allarme; le truppe assedianti sono invece messe in fuga da un prodigioso bagliore infuocato che le avrebbe atterrite. Il secondo caso in cui si manifestarono le virtù difensive del santo avvenne il 17 luglio 1377, sempre durante un assedio: Reinold sarebbe comparso sulle mura della città a respingere gli avversari con la spada in pugno e gettando pietre (forse riferimento alle modalità del proprio martirio?) contro gli assalitori73.
6. In via di conclusione, possiamo notare, come era da aspettarsi, che per le figure eroiche delle chansons de geste a cui si tributava anche un culto religioso non esiste una forma univoca, o almeno un numero limitato di forme caratterizzanti. La vera cornice dominante, che racchiude una serie polimorfa e polivalente, è quella del santo del cristianesimo medievale (il vero eroe del Medioevo), per cui tratteggiare una morfologia specifica dell’eroe-santo delle gestes ha poco significato. L’aspetto davvero distintivo è semmai il complesso che si realizza in ciascun caso, anche 406se limitatamente a pochi individui e in determinati momenti o luoghi, tra leggende profane e culto agiologico, un connubio non sempre stabile e coerente, ma reso coeso dal nome dell’eroe, concetto che – come si è visto – pervade più aspetti della cultura, dalla leggenda profana alla letteratura, al folklore, alla religione più o meno ufficiale (a cui si potrebbero aggiungere culti “pagani” e superstizioni).
Forse l’unica individualità tra quelle esaminate che emerge con maggior forza è Guillaume, non a caso l’unico dei tre santi che non sia originato da una fusione di più figure ma da uno sviluppo organico e in diverse direzioni della fama dello stesso personaggio storico (contrariamente a quello che accade a Vivien e Renaut, che si innestano su un martire già venerato a cui si cercava di fornire un passato cavalleresco). Segno di questa peculiarità è il fatto che fonte per il suo culto e la sua efficienza è una chanson de geste (il Moniage): mentre gli altri due eroi “soccombono” alla forma agiologica dominante, Guillaume è l’eroe che più assomiglia alle figure venerate nell’antichità, il cui « carattere centrale » resta la silhouette di combattente che leggiamo nelle chansons de geste.
Andrea Ghidoni
Westfälische Wilhelms-Universität Münster
1 A. Brelich, Gli eroi greci. Un problema storico-religioso, Milano, Adelphi, 2010 [1a ed. Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1958].
2 La complessità della metodologia brelichiana, che unisce stimoli e approcci differenti (storico-comparativi, semiologici, antropologici, culturologici) emerge da C. Santi, « Un discorso sul metodo storico-religioso: lo scritto “Ad philologos” di Angelo Brelich », Storiografia, 8, 2004, p. 185-198. Si veda anche il primo capitolo di M. Massenzio, Sacré et identité ethnique. Frontières et ordre du monde, Paris, Éditions de l’École des hautes études en sciences sociales, 1999. Le fonti dirette sul pensiero dello studioso italo-ungherese sono A. Brelich, « Ad philologos », Religioni e civiltà, 1, 1972, p. 621-627; A. Brelich, Storia delle religioni: perché?, Liguori, Napoli 1979; A. Brelich, « La metodologia della scuola di Roma », A. Brelich, Mitologia, politeismo, magia, e altri studi di storia delle religioni (1956-1977), a cura di P. Xella, Napoli, Liguori, 2002, p. 159-161 (ed. or. Il mito greco. Atti del Convegno internazionale. Urbino, 7-12 maggio 1973, a cura di B. Gentili e G. Paioni, Roma, Ateneo & Bizzarri, 1977, p. 3-29).
3 Gli eroi greci, p. 72.
4 Gli eroi greci, p. 233.
5 Gli eroi greci, p. 76.
6 Gli eroi greci, p. 244.
7 Sul culto degli eroi nella Grecia antica, si veda: A. Darby Nock, « The Cult of Heroes », Harvard Theological Review, 37, 1944, p. 141-174; C. Bérard, « Récupérer la mort du prince: héroïsation et formation de la cité », La mort, les morts dans les sociétés anciennes, éd. G. Gnoli, Paris, Éditions de la Maison des sciences de l’homme, 1990, p. 89-105; E. Kearns, « Between God and Man. Status and Functions of Heroes and Their Sanctuaries », Le sanctuaire grec. Entretiens sur l’antiquité classique, éd. O. Reverdin et B. Grange, Genève, Vandoeuvres, 1992, p. 65-99; C.M. Antonaccio, « Contesting the Past: Hero Cult, Tomb Cult, and Epic in Early Greece », American Journal of Archaeology, 98, 1994, p. 389-410; Héros et héroïnes dans les mythes et les cultes grecs. Actes du colloque organisé à l’Université de Valladolid, du 26 au 29 mai 1999, éd. V. Pirenne-Delforge et E. Suárez de la Torre, Liège, Presses universitaires de Liège, 2000, p. 91-100; Jorge J. Bravo III, « Recovering the Past: The Origins of Greek Heroes and Hero Cult », Heroes: Mortals and Myths in Ancient Greece, ed. by S. Albesmeier, Baltimore, Walters Art Museum, 2009, p. 11-29. Una lettura sociologica delle funzioni dell’eroe è fornita da H. Hubert, « Prefazione », S. Czarnowski, Le culte des héros et ses conditions sociales, Paris, Alcan, 1919. Una complessa trattazione, anche sotto il profilo teorico, del processo simbolico mitico-rituale legato alla figura di un singolo eroe all’interno di una singola comunità si trova in C. Calame, Thésée et l’imaginaire athénien. Légende et culte en Grèce antique, Lausanne, Payot, 1990.
8 Gli eroi greci, p. 73. I corsivi sono di Brelich.
9 Gli eroi greci, p. 154.
10 Gli eroi greci, p. 157. I corsivi sono di Brelich.
11 Gli eroi greci, p. 170.
12 Gli eroi greci, p. 179.
13 Gli eroi greci, p. 180. Si veda anche p. 250.
14 Gli eroi greci, p. 247.
15 Gli eroi greci, p. 231.
16 Ivi.
17 Gli eroi greci, p. 279: « Le grandi divinità olimpiche sono sempre individuali. Il carattere personale delle loro figure è ancora più spiccato di quello delle figure eroiche […]. Proprio la completa personalizzazione delle divinità (insieme con il loro numero ristretto) renderebbe difficile una “morfologia” del dio nello stesso senso in cui qui si è tentato di fare una morfologia dell’eroe: a tutta prima sembrerebbe impossibile ricondurre a un unico pattern le grandi divinità greche, nella cui completa diversità la tendenza differenziatrice del politeismo celebra il suo massimo trionfo ».
18 E.M. Meletinskij, Archetipi letterari, ed. M. Bonafin, Macerata, eum, 2016, p. 15-16 [tr. it. di E.M. Meletinskij, O literaturnych archetipach, Moskva, Rossijskij gosudarstvennyj gumanitarnyj universitet, 1994]. Sulla dimensione interplanare dell’eroe, si veda A. Loma, « Drachenkampf, Werbung, Initiation. Ein komparativer Ausblick auf die Vorgeschichte der Siegfriedsage », Pöchlarner Heldenliedgespräch: Das Nibelungenlied und die europäische Heldendichtung, hg. von A. Ebenbauer und J. Keller, Wien, Fassbaender, p. 211-222.
19 V. Turner, « Betwixt and Between: The Liminal Period in Rites de Passage », V. Turner, The Forest of Symbols: Aspects of Ndembu Ritual, Ithaca, Cornell University Press, 1967, p. 93-111, qui p. 97 e p. 106.
20 Il fatto che da un punto di vista morfologico una singola figura si possa scomporre in più elementi e tratti non esclusivi non implica che da un punto di vista mitologico e culturologico la figura non recuperi una sostanziale unità plastica e personale, soprattutto nella coscienza dei credenti (nel caso di un fatto religioso), anche se certamente tutto quello che si conosce di quella figura deriva da racconti (o altre forme espressive), per cui questi significano quella. Pur condividendo le stesse funzioni, gli eroi si differenziano in base a caratteri centrali o elementi significanti. Si vedano le riflessioni di A. Brelich in Gli eroi greci, p. 231-233 e in « La metodologia della scuola di Roma », p. 159-161.
21 Mi permetto di segnalare un mio contributo che prova a delineare il perimetro entro cui dovrebbero muoversi una poetica e antropologia dell’eroe: A. Ghidoni, « Tesi per una prospettiva eroo-poietica », AOQU. Achilles Orlando Quixote Ulysses, 1, 2020, p. 295-339.
22 Si veda J. Flori, « La notion de chevalerie dans les chansons de geste du xiie siècle. Étude historique de vocabulaire », Le Moyen Âge, 81, 1975, p. 211-244 e 407-444.
23 Sulla concezione eroica nell’Umanesimo e nel Rinascimento si veda: G. Weise, L’ideale eroico del Rinascimento e le sue premesse umanistiche, Napoli, ESI, 1961. Sul concetto di eroe nel trapasso tra eredità antica e rielaborazione rinascimentale-moderna si veda D. C. Feeney, « Epic Hero and Epic Fable », Comparative Literature, 38, 1986, p. 137-158.
24 Sul rapporto tra il concetto di epica e le chansons de geste si veda: P. Moran, « Genres médiévaux et genres médiévistes: l’exemple des termes chanson de geste et épopée », Romania, 136, 2018, p. 38-60.
25 Per una panoramica sul territorio vastissimo della storia del culto dei santi e della scrittura agiografica si può partire da: R. Grégoire, Manuale di agiologia. Introduzione alla letteratura agiografica, Fabriano, Monastero San Silvestro abate, 1987 [19962].
26 Per esempio in M. Fumagalli Beonio Brocchieri – G. Guidorizzi, Corpi gloriosi: eroi greci e santi cristiani, Roma-Bari, Laterza, 2012.
27 La questione della genealogia del culto dei santi cristiani e specialmente l’origine di questo dal culto eroico antico è oggetto di dibattito. In proposito si veda Corpi gloriosi, p. 11-12.
28 Corpi gloriosi, p. 6.
29 Corpi gloriosi, p. 12.
30 Corpi gloriosi, p. 20.
31 Si veda Corpi gloriosi, p. 17: « Santi ed eroi rappresentano un tempo originario, in cui fu fondata una realtà che si proietta sino al presente, e furono compiute imprese che da allora l’umanità comune si sforza di ripetere. Essi sono […] entrambi “eroi culturali”, perché civilizzano il mondo in cui vivono, fondando città oppure monasteri, uccidendo mostri o scacciando demoni, vagando per la terra e rendendosi famosi con le loro gesta; dopo il loro passaggio, si crea per sempre una nuova realtà, fondativa del presente ».
32 Su questo tema la bibliografia è sterminata. Cito solamente: C. Segre, « Il Boeci, i poemetti agiografici e le origini della forma epica », Atti della Accademia delle Scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche, 89, 1954, p. 242-292; C. Segre, « Des vies de saints aux chansons de geste: techniques et centres culturels », Société Rencesvals pour l’étude des épopées romanes. VIe Congrès international, Aix-en-Provence, Université de Provence, 1974, p. 303-313; J.-L. Roland Bélanger, Damedieus. The Religious Context of the French Epic. The Loherain Cycle Viewed against Other Early French Epics, Genève, Droz, 1975; J. de Caluwé, « La prière épique dans la tradition manuscrite de la Chanson de Roland », La prière au Moyen Âge: Littérature et civilisation, Aix-en-Provence, Presses universitaires de Provence, 1981, p. 147-186; H. Legros, « De Vivien à Aiol: de la sainteté martyre à la sainteté commune », Essor et fortune de la chanson de geste dans l’Europe et l’Orient latin. Actes du IXe Congrès international de la Société Rencesvals, éd. A. Limentani, Modena, Mucchi, 1984, t. 2, p. 931-948; M. Zink, « L’Angoisse du héros et la douleur du saint: souffrance endurée, souffrance contemplée dans la littérature hagiographique et romanesque (xiie-xiiie siècles) », La souffrance au Moyen Âge (France, xiie–xve s.), éd. N. Taillade, Warsaw, éditions de l’Université de Varsovie, 1988, p. 85-98.
33 J. Bédier, Les légendes épiques. Recherches sur la formation des chansons de geste, Paris, Champion, 1926-19293.
34 Sulla complessità della “mitologia” delle chansons de geste e sulla sua formazione rinvio al mio studio: A. Ghidoni, Per una poetica delle chansons de geste. Elementi e modelli, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2015. Sull’interazione tra racconto verbale e immagine nella formulazione di un “mito” eroico sempre delle gestes antico-francesi, nonché sulla capacità dell’eroe di “attraversare” i codici, si veda A. Ghidoni, « Ad gigantem bellaturus. Tradizioni figurative e verbali del duello tra Roland e Ferragut: schemi narrativi, iconografie, archetipi », Romania, 138, 2020, p. 5-38.
35 Si veda M. Tyssens, La geste de Guillaume d’Orange dans les manuscrits cycliques, Paris, Les Belles Lettres, 1967.
36 Sul genere delle enfances, mi permetto di segnalare la seguente monografia: A. Ghidoni, L’eroe imberbe. Le enfances nelle chansons de geste: poetica e semiologia di un genere epico medievale, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2018.
37 Per informazioni generali sul genere del moniage si veda J. Frappier, Les chansons de geste du cycle de Guillaume, Paris, Société d’édition d’enseignement supérieur, t. 1, 1955; t. 2, 1965; 2e éd., 1967.
38 Si veda D.G. Hoggan, « La formation du noyau cyclique Couronnement de Louis-Charroi de Nîmes-Prise d’Orange », Société Rencesvals. Proceedings of the Fifth Conference, ed. G. Robertson-Mellor, Salford, University Press, 1977, p. 22-44.
39 Si veda bibliografia in nota più avanti.
40 La nozione del personaggio narrativo come segno composto da un fascio di elementi in cui il nome è solo un attributo secondario appartiene a F. de Saussure ed è abbozzata nelle sue note inedite sulle leggende germaniche (si veda l’edizione-antologia F. de Saussure, Le leggende germaniche, ed. A. Marinetti e M. Meli, Padova, Zielo-Este, 1986).
41 Per una panoramica complessiva delle sfaccettature del personaggio si veda A. Corbellari, Guillaume d’Orange ou la naissance du héros médiéval, Paris, Klincksieck, 2011; si veda anche J. Grisward, Archéologie de l’épopée médiévale. Structures trifonctionnelles et mythes indo-européens dans le cycle des Narbonnais, Paris, Payot, 1981.
42 Sul concetto di chanson d’aventures, cioè i poemi tardivi che propongono intrecci complicati da avventure collaterali, moltitudini di personaggi, separazioni e agnizioni, si veda W.W. Kibler, « La “chanson d’aventures” », Essor et fortune, t. 2, p. 509-515.
43 Sebbene non risultino credenze legate all’efficienza permanente di questi santi, tuttavia “morti eccellenti”, martiri e santi sono anche Roland e Ogier, i cui sepolcri erano oggetto di venerazione. Si veda per esempio: su Roland, S. G. Nichols, « The Interaction of Life and Literature in the Peregrinationes ad Loca Sancta and the Chansons de Geste », Speculum, 44, 1969, p. 51-77; su Ogier, J.-P. Laporte, « Le pseudo mausolée d’Ogier à Saint-Faron de Meaux », Bulletin de la Société Nationale des Antiquaires de France, 1992, 1994, p. 217-232. Ulteriori informazioni e una sintetica rassegna iconografica sono reperibili in L. Réau, Iconographie de l’art chrétien, Paris, Presses Universitaires de France, 1955-1959, s.v. Roland (p. 1162-1164) e s.v. Ogier de Meaux (p. 1004).
44 V. Saxer, « Le culte et la légende hagiographique de saint Guillaume de Gellone », La Chanson de Geste et le Mythe carolingien. Mélanges René Louis, éd. E. Baumgartner, Saint-Père-sous-Vézelay, Musée archéologique régional, 1982, t. 2, p. 565-589, qui p. 565. In nota al passo qui riportato si citano quattro esempi di eroi oggetto di culto: Carlo Magno, Guillaume, Vivien, Renaut, tre dei quali sono trattati nel presente lavoro. Il culto di Carlo invece è estromesso perché troppo ampio e sostanzialmente indipendente dalle chansons de geste; in proposito si veda: R. Folz, Le souvenir et la légende de Charlemagne dans l’Empire germanique médiéval: études sur le culte liturgique de Charlemagne dans les églises de l’Empire, Genève, Slatkine, 1973.
45 La singolarità e la diffusione limitata di queste rappresentazioni agiologiche, talvolta confinate alle rappresentazioni mentali di pochi individui, si può leggere all’interno delle riflessioni antropologiche e cognitive sulla “epidemiologia delle rappresentazioni culturali”, sulla quale si veda D. Sperber, Explaining Culture. A Naturalistic Approach, Oxford, Blackwell, 1996 [trad. it. D. Sperber, Il contagio delle idee. Teoria naturalistica della cultura, Milano, Feltrinelli, 1999].
46 Aiol, chanson de geste (xiie-xiiie siècles), éd. J.-M. Ardouin, Paris, Champion, 2016. Si veda p. 116 per informazioni generali sul possibile culto di Aiol.
47 Les légendes épiques, vol. IV, p. 426.
48 Si veda D. Planavergne, « La construction d’un récit hagiographique. L’exemple de saint Aigulphe », Provence historique, 198, 1999, p. 729-739, qui a p. 736.
49 Un’eccezione è costituita da Ami e Amile, che sembrano già santificati nel momento in cui vengono composte su di loro l’epistola Ad Bernardum di Rodolfo Tortario (xii secolo) e la chanson de geste nota come Ami et Amile (xiii sec.). Purtroppo non risultano fonti sulle specificità del culto di questi due santi presso l’abbazia di Mortara (Pavia), al di là delle leggende veicolate dall’epica. Si possono fare delle supposizioni seguendo la strada dello studio comparato dei santi geminati con radice o desinenza comuni (Gervasio e Protasio, Canzio e Canziano, Ferreolo e Ferruccio ecc.); in particolare è bene notare che nell’agiografia di Cosma e Damiano sorge il problema della sepoltura dei due martiri, prima tenuti separati e poi riuniti uno a fianco dell’altro: anche Amico e Amelio vengono tumulati a distanza e poi sono miracolosamente riuniti. L’iconografia della coppia di santi prevede la loro raffigurazione come santi militari (per esempio nel polittico, un tempo conservato a Mortara e oggi alla Pinacoteca Sabauda di Torino, realizzato nel 1458 da Paolo da Caylina il vecchio e raffigurante la Madonna col Bambino, i santi Amelio, Lorenzo, Albino e Amico). Si veda anche: A. H. Krappe, « The Legend of Amicus and Amelius », The Modern Language Review, 18, 1923, p. 152-161; F. Vanni, « L’abbazia di Sant’Albino a Mortara tra storia e leggenda », De strata Francigena: studi e ricerche sulle vie di pellegrinaggio del Medioevo, 7, 1999, p. 59-76.
50 V. Saxer (« Le culte et la légende hagiographique de saint Guillaume de Gellone »), a proposito del culto di Guillaume, elenca le tipologie di fonti che possono essere estese anche agli altri nostri esempi: « Faisons d’abord entre eux une différence de fonction. Il y a en effet ceux du culte public et ceux de la dévotion privée. Parmi les premiers, il faut ranger les calendriers et les martyrologes qui fixent la fête à un jour déterminé, les sacramentaires et les missels servant à célébrer la messe du sant, les bréviarires et les lectionnaires liturgiques utilisés pour la récitation de son office; les légendriers […]. Il faut, en revanche, classer parmi les livres de dévotion les livres d’heures […] » (p. 568).
51 Su tale funzione si veda P. Boudrot, « Le héros fondateur », Hypothèses, 1, 2002, p. 167-180.
52 Per informazioni generali e sulla storia di Martres-Tolosane, si veda A. Moisan, Deux noms, une légende: la légende épique de Vivien et la légende hagiographique de saint Vidian à Martres-Tolosane, Lille, Service de reproduction des thèses Université de Lille III, 1973, parte II, p. 10-34.
53 Sull’Officio liturgico, sull’agiografia e sui miracoli di cui si fa menzione nel prosieguo, si veda Moisan, Deux noms, une légende, parte II, p. 35-60.
54 Les Enfances Vivien, éd. M. Rouquier, Genève, Droz, 1997; Aliscans, éd. C. Régnier, Paris, Champion, 1990.
55 Nelle Enfances Vivien, il giovane eroe, ridotto in prigionia dai pagani in Spagna a seguito di uno scambio di ostaggi a cui Vivien si era offerto volontario per liberare il padre, viene liberato dalla moglie di un mercante che lo riscatta; poiché il marito della donna è in viaggio d’affari da molto tempo, al suo ritorno la moglie gli fa credere, con l’acquiescenza di Vivien, che il ragazzino è figlio loro, nato dopo la partenza dell’uomo. Il mercante cerca di avviare quello che crede essere il proprio figlio all’attività commerciale; Vivien tuttavia è intenzionato a seguire solo la propria nature aristocratica i dilapida i beni del mercante in acquisti che assecondano i suoi desideri cavallereschi (armi, cavallo, cane da caccia, falcone).
56 Si veda: J. Subrenat, « Moines mesquins et saint chevalier. À propos du Moniage de Guillaume », Mélanges Jeanne Wathelet-Willem, éd. J. de Caluwé, Liège, Association des romanistes de l’Université de Liège, 1978, p. 643-665; U. Mölk, « La liturgie de Saint Guillaume et la geste de Guillaume », VIII Congreso de la Société Rencesvals, Pamplona, Institución Príncipe de Viana, 1981, p. 353-357; Saxer, « Le culte et la légende hagiographique de saint Guillaume de Gellone »; P. Chastang, « La fabrication d’un saint: la Vita Guillelmi dans la production textuelle de l’abbaye de Gellone au début du xiie siècle », Guerriers et moines: Conversion et sainteté aristocratiques dans l’Occident médiéval (ixe-xiiesiècle), éd. M. Lauwers, Turnhout, Brepols, 2002, p. 429-447; F. Mazel, « Le prince, le saint et le héros: Guilhem de Baux (1173-1218) et Guillaume de Gellone alias Guillaume d’Orange », Guerriers et moines, p. 449-465. Merita infine di essere segnalato a parte, proprio perché imprescindibile, J. Bédier, Les légendes épiques, t. IV, p. 100-147.
57 Les deux rédactions en vers du Moniage Guillaume, chansons de geste du xiie siècle, éd. W. Cloetta, Paris, Firmin-Didot, 1906-1911, 2 t. Si veda anche Le moniage Guillaume, chanson de geste du xiie siècle, éd. N. Andrieux-Reix, Paris, Champion, 2003. Sebbene sia uno studio ormai datato, può fornire informazioni utili anche Ph. Becker, Die altfranzösische Wilhelmsage und ihre Beziehung zu Wilhelm dem Heiligen. Studien über das Epos vom Moniage Rainouart, Halle a. S., Niemeyer, 1896.
58 Vita sancti Willelmi in Acta Sanctorum Bollandiana, 17. Maii, J. van Meurs, Antwerpen 1688, vol. VI, p. 809-829.
59 Sul culto della Santa Croce in relazione alla devozione per Guillaume, si veda Saxer, « Le culte et la légende hagiographique de saint Guillaume de Gellone », p. 572-576.
60 È bene ricordare che nello stesso Moniage Guillaume sconfigge il gigante Ysoré che assedia Parigi.
61 Si cita la versione della famiglia a della tradizione manoscritta che si legge in Guillaume d’Orange. Chansons de geste des xie et xiie siècles, éd. M. Jonckbloet, La Haye, Nyhoff, 1854. Si veda però anche La chevalerie Vivien, éd. D. McMillan, Aix-en-Provence, CUER MA, 1997, edizione basata sui manoscritti S, D e C.
62 Vita sancti Willelmi, p. 819.
63 Vita sancti Willelmi, p. 822 e ss. I Miracula sono però un testo differente dalla vita e composto anteriormente: si veda Saxer, « Le culte et la légende hagiographique de saint Guillaume de Gellone », p. 572 e ss., secondo il quale la compilazione si può far risalire agli anni 1031-1048.
64 Si veda Saxer, « Le culte et la légende hagiographique de saint Guillaume de Gellone », p. 572 e ss.
65 Renaut de Montauban, éd. J. Thomas, Genève, Droz, 1989.
66 Sul finale agiografico della chanson de geste si veda: F. Castets, « Description d’un manuscrit des Quatre fils Aymon et légende de saint Renaud », Revue des langues romanes, 44, 1901, p. 32-53; M. de Combarieu du Grès, « Iter Hierosolymitanum: Renaut de Montauban en Terre sainte (d’après les ms Douce et La Vallière) », Plaist vos oïr bone cançon vallant? Mélanges offerts à François Suard, éd. D. Boutet, M.-M. Castellani, F. Ferrand et A. Petit, Villeneuve d’Ascq, Université Charles de Gaulle-Lille 3, 1999, t. 1, p. 197-208; M. Gérard, « L’ouvrier de Dieu. Étapes sur le chemin de la sainteté dans la chanson de Renaut de Montauban », Entre épopée et légende: Les Quatre Fils Aymon ou Renaut de Montauban, éd. D. Quéruel, Langres, Guéniot, 2000, t. 1, p. 83-94; È.-M. Halba, « Hagiographie de saint Renaut de Montauban », Pecia, 8-11, 2005, p. 281-299.
67 Per le informazioni generali sul culto e sulla sua storia, si veda: P. Fiebig, St. Reinoldus in Kult, Liturgie und Kunst, Dortmund, Verlag des Historischen Vereins Dortmund, 1956; Reinold: Ein Ritter für Europa, Beschützer der Stadt Dortmund. Funktion und Aktualität eines mittelalterlichen Symbols für Frieden und Freiheit, hg. v. B. Weifenbach, Berlin, Logos, 2004; J. Zepp, St. Reinoldi in Dortmund, Dortmund, Dissertation zur Erlangung des Doktorgrades der Fakultät für Kunst- und Sportwissenschaften der Technischen, Universität Dortmund, 2008 (URL: https://eldorado.tu-dortmund.de/handle/2003/33406, consulté le 15/12/2020).
68 Si veda Fiebig, St. Reinoldus, p. 138-156; B. Waffenbach, « Die Reinoldikonographie und ihre Deutung », Reinold: Ein Ritter, p. 151-174.
69 Si veda B. Waffenbach, « Die Historie van sent Reynolt und die Historia beati martiris Reynoldi », Reinold: Ein Ritter, p. 191-260.
70 Notizie sulle fonti scritte del culto di Reinold si trovano in J. von Simmern, Die Haymonskindern, hg. v. W. Wunderlich, Tübingen, Niemeyer, 1997, p. 482-486.
71 Ibidem. Si veda anche Fiebig, St. Reinoldus, p. 99-137.
72 Vita sancti Reynoldi Rythmice, v. 228-232 e v. 344-350. Il testo dell’inno è reperibile in H.J. Flosz, « Legende von St. Reinold », Annalen des Historischen Vereins für den Niederrhein, inbesondere die alte Erzdiöcese Koln, 30, 1876, p. 174-203.
73 Sulle funzioni di Reinold, si veda Fiebig, St. Reinoldus, p. 60-98.
- Thème CLIL : 4027 -- SCIENCES HUMAINES ET SOCIALES, LETTRES -- Lettres et Sciences du langage -- Lettres -- Etudes littéraires générales et thématiques
- ISBN : 978-2-406-11996-8
- EAN : 9782406119968
- ISSN : 2273-0893
- DOI : 10.48611/isbn.978-2-406-11996-8.p.0379
- Éditeur : Classiques Garnier
- Mise en ligne : 07/07/2021
- Périodicité : Semestrielle
- Langue : Italien
- Mots-clés : hero, chanson de geste, hagiography, myth, ritual