Editoriale Una storia applicata per l’architettura civile
- Type de publication : Article de revue
- Revue : Ædificare Revue internationale d’histoire de la construction
2021 – 2, n° 10. varia - Auteur : Piccoli (Edoardo)
- Pages : 13 à 22
- Revue : Ædificare
Editoriale
Una storia applicata per l’architettura civile
La fondazione di un gruppo di ricerca di storia della costruzione1 in una delle tre università politecniche italiane ha portato alla luce questioni affini a quelle discusse in passato nelle pagine introduttive di Aedificare. Dato che alcune di queste questioni si sono declinate in modi peculiari, che riflettono le specificità del sistema accademico italiano e più particolarmente degli studi in architettura, non pare una ripetizione trattarne in questo editoriale. A poche settimane dalla seconda giornata di studi organizzata dal gruppo (la prima è servita per un giro di orizzonte, la seconda si è data un tema monografico)2 ci permettiamo alcune considerazioni a partire dall’esperienza fatta, che crediamo sia di interesse non soltanto locale.
14Come un ascensore in San Pietro
Tra i problemi rimasti all’ordine del giorno del Construction History Group del Politecnico di Torino a ormai due anni dalla fondazione vi sono la relazione tra il convergere di più discipline intorno a un unico campo di studi, e la difficile definizione di uno statuto, se non per la storia della costruzione tout court, almeno per chi se ne vuole occupare. In un contesto interdisciplinare come quello di un politecnico, infatti, lo spettro che si aggira in ogni collettivo che si proponga sconfinamenti non occasionali dagli ambiti disciplinari consolidati è ancora oggi il timore del mancato riconoscimento da parte della propria corporazione (e dei suoi avatars anonimi e virtuali, protagonisti dei processi di valutazione). Per la storia della costruzione in Italia, il problema riguarda sia chi si avvicina alle discipline storiche dalle scienze matematiche o dalle pratiche del progetto, sia gli storici dell’architettura che scelgono di lasciare i porti rassicuranti delle ricerche autoriali o di filologia del disegno. Il rischio di essere relegati in partibus infidelium è ancora reale, anche se distribuito in modo diseguale. Ironizzando si potrebbe osservare che in Italia la storia della costruzione è ormai legittima, purché rimanga entro certi limiti: interrogarsi sulla cupola di San Pietro e i suoi “infortuni” costituisce ormai un sofisticato genere letterario. Più rischioso - sarà vera storia? - è salire sullo sferragliante, impertinente ascensore che attraversa il pozzo centrale di una delle scale a chiocciola della gigantesca basilica.3 E così, se lo studio di palazzi e scaloni maltesi o palermitani si può riscattare con i contributi apportati alla storia cronologica del cantiere e la pubblicazione di disegni originali,4 è ancora difficile, per gli ingegneri minerari, accettare che un proprio confrère dedichi le sue energie allo studio dei marmi storici antichi e moderni. 15Né è scontato che filologie del ventilatore e del termosifone5 possano porsi, agli occhi degli studiosi dell’arte vitruviana, sullo stesso piano della foglia d’acanto e degli scamilli impares. Rischioso, in poche parole, non è l’approfondimento in senso costruttivo di ciò che già è stato consegnato alla storia, ma la definizione di nuovi oggetti, che mettono in discussione quelle gerarchie; ed è su questo punto, che la partita, anche in Italia, dev’essere giocata.
Per i periodi eroici del moderno, in cui la storiografia si è costruita fin dalle origini sul confronto con la tecnica, si può parlare di una maggiore integrazione tra storia dell’architettura e storia della costruzione. Eppure è straordinario quanto sia esteso, persino negli studi sul XX secolo, lo spazio ancora a disposizione di nuove ricerche: lo testimonia il lavoro eccezionale fatto dalla squadra guidata da Tullia Iori e Sergio Poretti (di cui all’editoriale del n. 2 di Aedificare) le cui ricerche, intrecciandosi con altre,6 hanno dato continuità e coerenza a un patrimonio collettivo che era conosciuto solo per parti e frammenti. Per il loro valore quasi ontologico, i cinque ricchissimi volumi del SIXXI7 stabiliscono un nuovo punto di riferimento, proprio in quanto impostati su premesse piuttosto distanti da quelle ormai classiche della History di Edoardo Benvenuto.
16Fabbricare la storia
della costruzione nelle aule
Nella storia della costruzione, il problema della legittimazione è stato spesso affrontato invocando la costituzione di uno statuto disciplinare specifico. Noi non siamo d’accordo che la storia della costruzione debba a tutti i costi configurarsi come una disciplina. “Le discipline soffrono talvolta del fatto di dimenticare di essere il frutto di una costruzione storica e di pensare di essere una cosa in sé”:8 sono parole di Vittorio Gregotti e in effetti, se le discipline come categorie organizzative della conoscenza e della pedagogia universitaria talora giustificano la loro esistenza nella pratica, le pratiche delle corporazioni a cui sono legate non possono essere viste come un obiettivo a cui tendere. Per questo, non ci è parso interessante iniziare una battaglia che avrebbe portato a date di nascita, istituzionalizzazioni, cattedre, ma anche, molto rapidamente, a meccanismi di esclusione, muri e trincee. Il carattere federativo delle società internazionali e le diverse professionalità rappresentate nei congressi di Construction History ci confortano per ora nel mantenere questa linea.
Un ulteriore elemento, specifico del panorama italiano, gioca a favore di un approccio federativo. In Italia, la didattica a corsi ed atelier pluri-disciplinari è parte integrante di molti programmi universitari di architettura e di ingegneria edile (e sono questi, i luoghi dove la storia della costruzione è più praticata, anche se in forme talvolta embrionali o dissimulate sotto altre titolazioni). Anche se non di rado questi raggruppamenti devono tenere conto di complicati equilibri di potere accademico, l’ars combinatoria di materie e crediti formativi consente ad alcuni di questi corsi di funzionare bene, e di affrontare problemi originali. Al Politecnico di Torino, dove la partecipazione della storia negli atelier di progetto è un fatto ormai consolidato,9 alcuni corsi integrati e laboratori multidisciplinari si sono costituiti come fabriques di una 17construction history destinata agli architetti di domani: la loro storia è, in effetti, parallela a quella del neonato centro di ricerca.10 La presenza di finalità pratiche e di esercitazioni sul campo porta gli studenti a recepire in modo piuttosto positivo questi esperimenti, anche se la prevalenza del carattere applicativo sulla speculazione teorica è insieme una forza e una debolezza.
Certo, l’interdisciplinarità non deve risolversi in un imitation game. Il patto tra i partecipanti al progetto torinese si basa su sconfinamenti reciproci, dai confini negoziabili in itinere. Per gli storici dell’architettura, la partecipazione a questi corsi porta innanzitutto a mettere in discussione i terreni rassicuranti della tipologia, cronologia, autorialità. In compenso, è dato di stabilire nuove gerarchie tra fonti e argomenti, restituendo alla storia una funzione critica ritagliata sull’oggetto di indagine, non solo affabulatoria o narrativa. Per gli studiosi di altre discipline, invece, lo sconfinamento sta nell’assumersi gli obiettivi, prima ancora dei metodi, del progetto storico. Scienziati delle costruzioni, restauratori, tecnologi abituati a recepire dalla storia informazioni puntuali o interpretazioni consolidate - il che è già un passo avanti, rispetto ai “cenni storici” acquisiti soltanto per legittimare operazioni tecniche o esercizi progettuali - devono scendere a patti con una ricerca storica ricorsiva, che non precede il progetto o il calcolo ma li accompagna, con un carico di incertezze e domande normalmente non contemplate dai loro scenari disciplinari. Ma è soprattutto il confronto con regimi di temporalità e statuti della prova mutevoli a rivelarsi spaesante, dentro una scuola politecnica.
Non si può tacere, del resto, che da questa storia recente emerge una contraddizione di fondo: se la storia della costruzione in un politecnico come quello di Torino appartiene genealogicamente alle ingegnerie, oggi il suo sviluppo si svolge quasi tutto all’interno dei corsi di architettura. In un contesto dove domina l’informatica e il digitale diventa linguaggio universale, una scuola che è nata sulla materialità sembra essere sul punto di dimenticarla.
18Oltre le magnifiche sorti, e progressive11
“Riconoscere una storia, al di là dello studio che implica, impone di riconoscere che la lunga stagione della stabilità dei sistemi tecnici e produttivi, istituzionali e sociali, su cui riposava la sicurezza di delegare ad altri lo studio e la decisione sugli effetti di scelte che non potevano che fondarsi sul primato dell’autoregolamentazione scientifica, si è conclusa”.12
Da tempo, lo storico della costruzione non è più il “fully qualified Whig historian” ironicamente ritratto da Heyman nel 2005.13 Negli studi italiani, del resto, la tentazione di avvicinarsi alla storia della costruzione guidati da forme più o meno esplicite di positivismo scientista non è mai stata una caratteristica dominante: già Edoardo Benvenuto osservava che la storia della meccanica «will not fit tidily into a narrative model based on the growth of empirical knowledge».14 Negli stessi anni, Anna Maria Zorgno - docente di tecnologia al Politecnico torinese, animatrice di una stagione di ricerche già fortemente interdisciplinari, a cui si vuole ispirare il nuovo gruppo di ricerca - affrontava il tema dell’innovazione costruttiva nel XIX secolo spogliandolo di ogni retorica, sottolineando i fenomeni di lunga durata, le resistenze delle culture tecniche, il «carattere di relatività proprio dell’architettura»15.
19Quello che si sta verificando oggi, e ciò che le iniziative del gruppo torinese intercettano, va al di là di quelle premesse. Dissesti, conflitti, incidenti di percorso sembrano polarizzare l’attenzione, rubando la scena a una storia ordinata, tassonomica e positiva.16 Uno storico non può che rallegrarsene, ma le ragioni non stanno soltanto in una migliore comprensione della scienza moderna e della sua progressiva affermazione nel mondo del cantiere. L’impressione è che, in una società ossessionata dalla sicurezza, preoccupata dal futuro, scettica rispetto alla capacità delle istituzioni di controllare le trasformazioni del territorio, lo studio storico del dissesto e dell’errore stia diventando una forma di legittimazione delle pratiche erudite; e forse, la radice di una nuova historia magistra.
Sta alla qualità delle ricerche non diventare un eco passivo di queste istanze, facili da strumentalizzare. Ma la ricerca è necessaria. In Italia l’invecchiamento del patrimonio moderno e contemporaneo, il rischio sismico, il dissesto idrogeologico sono fenomeni che si mostrano in tutta la loro complessità e urgenza, ponendo problemi specifici di merito e di metodo.17 Innanzitutto, le catastrofi: fenomeni dotati di temporalità dissonanti, che mettono in crisi le geografie e cronologie delle storiografie consolidate, artistiche o politiche. È emblematica in questo senso - ma non certo isolata, basta ricordare la Greenfell Tower e Nôtre-Dame, già discusse su Aedificare in queste stesse pagine introduttive - la vicenda del ponte Morandi sul Polcevera, incomprensibile se giudicata alla luce delle sole responsabilità giuridiche e del breve tempo compreso tra gli ultimi cicli di manutenzione e il crollo. Ma quella del ponte è una storia opaca anche se è osservata con il filtro prevalente di una storia autoriale: come ci spiega Tullia Iori, il “progetto” è esso stesso un processo, una nuvola di documenti dai confini incerti, e non si lascia veramente afferrare nella realtà.18
20Sono però i terremoti, in un territorio ormai interamente soggetto a normativa antisismica, a costituirsi come il vero rumore di sottofondo di questi ultimi decenni, e il più diffuso e straordinario banco di prova per le nostre inquietudini. Lasciando ad altri discutere della lezione morale di queste catastrofi (Pour le bonheur du monde on détruit vos asiles / D’autres mains vont bâtir vos palais embrasés?)19 alcune scuole, soprattutto di ingegneria, hanno promosso, fin dagli anni ‘90, un’osservazione storica da cui sono emerse, oltre che miriadi di fatti puntuali e di evoluzioni teoriche, le strategie di mitigazione del rischio messe in atto dalle culture costruttive del passato, tutt’altro che fatalisticamente rassegnate all’imprevedibilità dell’evento naturale. La resilienza, se non fosse un termine reso impronunciabile dal suo abuso mediatico, sarebbe un termine adatto a definire questo campo di studi. Queste interrogazioni, sullo sfondo di catastrofi recenti come quelle dell’Aquila o del centro Italia, hanno prodotto nuove curiosità per le trasformazioni graduali e incrementali del costruito, e sul peso che hanno, nella vita delle fabbriche, le azioni quotidiane (la manutenzione) o cicliche (tra cui quelle del il “moderno” restauro, la cui vicenda secolare ormai s’intreccia costantemente alle storie dei siti patrimoniali italiani, da Palermo all’arco alpino). È questa la ricerca storica operativa, di cui parlava con cognizione di causa e vero rispetto Antonino Giuffré.20 Questa forma di storia applicata21 non costituisce una diminuzione di valore ma un’opportunità: ha ricadute sulla conoscenza 21storica tradizionale e genera nuove possibilità di sintesi. Ce lo ricordano gli studi di Cairoli Fulvio Giuliani sul Pantheon o quelli di Vittorio Nascé sulla Mole Antonelliana,22 dove il mito dell’unità dell’opera è superato dalla considerazione dei suoi diversi stati. Ma altrettanto rilevanti sono gli esempi di costruzione ex novo dell’oggetto della ricerca, come per i già citati saggi della scuola milanese sugli impianti storici, o per gli studi di Nicoletta Marconi su dispositivi di cantiere e impalcature.23
Non riteniamo, perciò, illegittimo o anacronistico che chi fa storia della costruzione possa intrufolarsi nei processi di trasformazione o possa considerare, se ne ha le competenze, la “performatività” delle strutture, eventualmente misurandola rispetto ai sistemi di calcolo del passato.24 Del resto, quelle fatte sul terreno della pratica sono spesso considerazioni scomode, che comportano prese di posizione dure verso gli interventi, pubblici o privati, dove della storia si fa mercato, e dove si vorrebbe che il ciclo di vita degli edifici venisse ridotto a uno sfondo rassicurante, da cui non s’impara nulla. L’alternativa a questa forma di impegno è brutale: a chi non è capitato, in Italia, di assistere allo smantellamento di coperture, di impianti storici, di serramenti di irripetibile qualità, o snelle scale, in nome di diktat normativi neppure letti con attenzione? Per non parlare dello sconforto nell’entrare in edifici maltrattati dai ruggenti anni ‘80 e ‘90, quando la disponibilità di denaro e la corsa al “riuso per il riuso” hanno talvolta fatto danni irreparabili e, soprattutto, non necessari.25 Altre cancellazioni di materia storica si compiono in 22Italia mentre scriviamo, questa volta in nome di un risparmio energetico reso tossico da incentivi economici capaci di superare, almeno sulla carta, il costo stesso dell’intervento.26 Nell’attribuire la sostenibilità a un parametro e non a un processo, il tempo del cantiere – che dovrebbe comprendere anche il tempo necessario alla comprensione della costruzione su cui intervenire – è assimilato a una perdita secca. Ma quali ragioni, se non le ragioni radicate nel tempo, possono consentire all’architettura di incorporare più significati e funzioni, oltre che di conservare energia? In questo senso la storia della costruzione, all’interno di un Politecnico dove le curiosità per la materia dovrebbero ritornare al centro dell’attenzione, può schierarsi a favore di un progetto nuovo di architettura civile.
Edoardo Piccoli
Politecnico di Torino
1 Construction History Group (CHG), Politecnico di Torino, Dipartimento di architettura e design. Sono in debito con tutti i colleghi che hanno partecipato alla fase costituente del gruppo; nell’impossibilità di nominare tutti, rimando all’elenco dei soci in Edoardo Piccoli, Mauro Volpiano, Valentina Burgassi (a c. di), Storia della costruzione: percorsi politecnici, Torino, Politecnico di Torino, 2021, p. 19.
2 Per gli atti della prima giornata: Edoardo Piccoli, Mauro Volpiano, Valentina Burgassi, op. cit. Il secondo incontro (18-19 febbraio 2022), dedicato a Scale e risalite nella storia della costruzione in età moderna e contemporanea ha visto un’ampia partecipazione, che disegna una possibile geografia di studiosi e di scuole interessate alla construction history in Italia. Il panorama, pur parziale, è scarsamente sovrapponibile a quello delineato da Riccardo Gulli, «Construction History in Italy», in Antonio Becchi, Robert Carvais, Joel Sakarovitch, L’Histoire de la Construction. Relevé d’un chantier européen, Parigi, Classiques Garnier, 2018, vol. 1, p. 247-290. Questo scostamento è segno di dinamismo o frammentazione? Si tratta forse di entrambe le cose. Per altri sguardi sulla scena italiana: Alberto Grimoldi, «Storia della costruzione, storia materiale del costruito, tutela e conservazione del patrimonio architettonico», in Id. (a c. di), Ricerca/Restauro: conoscenza dell’edificio, metodo e contenuti, Roma, Quasar, 2017, p. 481-493; Antonio Becchi, “Histoire de la construction, un regard italien” (2010) oggi in: Antonio Becchi, Robert Carvais, Joel Sakarovitch, op. cit., vol. 2, p. 1013-1020.
3 Pascal Dubourg Glatigny, L’architecture morte ou vive. Les infortunes de la coupole de Saint-Pierre de Rome au xviiie siècle, Roma, Ècole Française de Rome, 2017. Il contrasto tra la cupola e l’ascensore è sollevato da una relazione di Valentina Florio alla giornata di studi CHG del 2022: La risalita all’Ottagono di Simon Mago nella Basilica di San Pietro in Vaticano: dalla chiocciola michelangiolesca all’ascensore degli anni Duemila.
4 Il riferimento è agli innovativi studi, che intrecciano storia dell’architettura e storia della costruzione sul filo delle tecniche di lavorazione della pietra, condotti dal gruppo di lavoro diretto da Marco Rosario Nobile, riunitosi nel 2013-2016 a Palermo intorno al progetto COSMED (http://www.cosmedweb.org/, consultato il 28 marzo 2022).
5 La ‘scuola’ milanese sembra essere oggi la sola in Italia in grado di esprimere e radunare una serie di contributi originali su impianti e dotazioni tecnologiche degli edifici civili sul finire dell’età moderna: Alberto Grimoldi e Angelo Giuseppe Landi (a c. di), Luce artificiale e vita collettiva. Pratiche di illuminazione nell’Italia del Nord tra Settecento e Ottocento, Milano, Mimesis, 2022; Carlo Manfredi (a c. di), Architettura e impianti termici. Soluzioni per il clima interno in Europa fra XVIII e XIX secolo, Allemandi, Torino, 2017. Per una lettura originale di questi argomenti nel XX secolo, si vedano i ben documentati lavori di Manfredo Nicolis di Robilant, tra cui l’atipico Ceiling, in Rem Koolhaas (a c. di), Elements of architecture, Köln, Taschen, 2014, p. 206-385.
6 Per citare alcuni lavori che hanno anche coinvolto l’ateneo torinese: Paolo Desideri, Alessandro De Magistris, Carlo Olmo, Marco Pogacnik, Stefano Sorace (a c. di), La concezione strutturale. Ingegneria e architettura negli anni cinquanta e sessanta, Torino, Allemandi, 2013; Carlo Olmo, Cristiana Chiorino (a c. di), Pier Luigi Nervi Architettura come sfida, Milano, Silvana Editoriale, 2010; Michela Comba (a c. di), Maire Tecnimont, I progetti Fiat Engineering (vol. 1: 1931-1979; vol. 2: 1980-2008), Milano, Silvana editoriale, 2018. E infine la ricerca, quasi una microstoria, sulla “Casa dell’Obelisco” e il suo impresario: Maria Luisa Barelli, Davide Rolfo, Il palazzo dell’Obelisco di Jaretti e Luzi, Progetto e costruzione, Roma, Gangemi, 2018.
7 Tullia Iori, Sergio Poretti (a c. di), SIXXI, Storia dell’ingegneria strutturale in Italia, Roma, Gangemi, 2014-2020, 5 vol.
8 Vittorio Gregotti, Contro la fine dell’architettura, Torino, Einaudi, 2008, p. 50.
9 Il tentativo di costituire atelier pluridisciplinari basati sul dialogo e non sulla pura e semplice subordinazione delle discipline tecniche e storiche a quelle progettuali è tratteggiato da Pierre-Alain Croset, «From Torino to Suzhou», Domus 987, 2015, p. 34-37.
10 Nell’anno in corso, la Storia dell’architettura è a fianco della Scienza delle costruzioni in un insegnamento opzionale; si affianca al Consolidamento e alla Tecnologia dell’architettura in altri due corsi, obbligatori per il Master in Architettura per il patrimonio. Circa 120 gli allievi coinvolti. Ma il numero di docenti è ancora troppo esiguo per dare all’esperienza un valore strutturale.
11 «(…) sur ces rives sont gravées les destinées progressives et magnifiques de l’humanité», Giacomo Leopardi, La Genêt ou la Fleur du Désert, in Id., Poésies et Œuvres morales, Paris, Alphonse Lemerre, 1880, vol. 2, p. 72.
12 Carlo Olmo, Francesco Profumo, «Una storia, non una tradizione? Un dibattito aperto dal centenario del Politecnico di Torino», in Antoine Picon, Tra utopia e ruggine. Paesaggi dell’ingegneria dal Settecento a oggi, Torino, Allemandi, 2006, p. 9-15, p. 14.
13 Jacques Heyman, «The History of the Theory of Structures», in Santiago Huerta (a c. di), Essays in the history of the theory of structures. In honour of Jacques Heyman, Madrid, Instituto Juan de Herrera, CEHOPU, 2005, p. 1-8, p. 3.
14 Edoardo Benvenuto, An Introduction to the History of Structural Mechanics, New York-Berlin, Springer-Verlag, 1991, vol. 1, p. 3 (ed. originale La scienza delle costruzioni e il suo sviluppo storico, Firenze, Sansoni, 1981). Non meno rilevante in quegli anni è l’opera di Pietro Redondi, fondatore di «History and Technology» (vedi ad es. «Foreword», History and Technology, vol. 4, 1987, p. 1-6) e autore di Galileo eretico, Torino, Einaudi, 1983, per la collana “microstorie”.
15 Anna Maria Zorgno, La materia e il costruito, Roma, Alinea, 1988, p. 247; Maria Luisa Barelli, Michela Comba, «Percorsi di storia della costruzione al Politecnico di Torino», in Edoardo Piccoli, Mauro Volpiano, Valentina Burgassi, op. cit., p. 35-48.
16 Tra i volumi e saggi recenti che si rifanno al valore euristico del dissesto e dell’incidente, cfr. Federica Ottoni, Delle cupole e del loro tranello: la lunga vicenda delle fabbriche cupolate tra dibattito e sperimentazione, Roma, Aracne, 2012. Ponti in pietra nel Mediterraneo in età moderna, numero monografico di «Lexicon», n. 20, 2015; e il recente convegno, «Sulla ruina di sì nobile edificio», crolli strutturali in architettura, Roma, 5-6 marzo 2020, a cura di Claudia Conforti, Maria Grazia D’Amelio, Marica Forni, Nicoletta Marconi, Francesco Moschini (atti in corso di edizione). Mi permetto infine di rimandare a Edoardo Piccoli, «Liti, incidenti e improvvisazioni. Le crisi del cantiere barocco», in Edoardo Piccoli, Mauro Volpiano, Valentina Burgassi, op. cit., p. 103-115.
17 Emanuela Guidoboni, «Terremoti e storia trenta anni dopo», Quaderni storici, N. 3, 2015, Storia applicata, p. 753-784.
18 Fondamentale è il contributo di Tullia Iori, «Questioni di ponti e di fonti», SIXXI, op. cit., vol. 5, 2020, p. 7-12.
19 Voltaire, Poème sur le Désastre de Lisbonne. Ou examen de cet axiome, tout est bien, in Id., Poèmes sur le désastre de Lisbonne, et sur la loi naturelle, avec des préfaces, des notes, etc.,, Genève, [Cramer], 1756, p. 10.
20 Antonino Giuffré, «L’intervento strutturale quale atto conclusivo di un approccio multidisciplinare», Quaderni ARCo, n.1, 1995, p. 5-16, oggi in Caterina Carocci, Cesare Tocci (a c. di), Antonino Giuffré. Leggendo il libro delle antiche architetture. Aspetti statici del restauro. Saggi 1985 - 1997 Roma, Gangemi, 2010, p. 18. Sulla scia del metodo definito da Giuffré si collocano saggi esemplari di storia operativa quali: Roberto Masiani, Cesare Tocci, «Ancient and Modern Restorations for the Column of Marcus Aurelius in Rome», International Journal of Architectural Heritage: Conservation, Analysis, and Restoration, 6/5, 2012, p. 542-561; Caterina Carocci, «Giuseppe Damiani Almeyda’s Architecture: Constructing the Modern Restoring the Ancient. The Cathedral of Marsala», in Karl-Eugen Kurrer, Werner Lorenz, Volker Wetzk (a c. di), Proceedings of the Third International Congress on Construction History, Cottbus, Brandenburg University of Technology, 2009, vol. 1, p. 305-312.
21 “È questo dunque il vero fine della storia applicata. La comunicazione della storia non si risolve nella divulgazione della storia tradizionale, ma nella costruzione di oggetti complessi che implichino il dialogo tra diversi universi scientifici disciplinari. Occorre in altri termini creare nuove forme di storia che mettano le competenze del nostro mestiere al servizio delle domande sociali che ci pongono oggi lo sviluppo scientifico e le condizioni sociali” (Angelo Torre, «Premessa», Quaderni storici, N. 3, 2015, Storia applicata, p. 621-628, p. 627).
22 Cairoli Fulvio Giuliani, «Problemi costruttivi del Pantheon e della Basilica Neptuni» (2015), oggi in Id., Metti che un muro… Scritti scelti, Roma, Quasar, 2020, p. 237-272. Vittorio Nascè et alii, «La mole antonelliana. Indagine numerica sulla struttura originaria», in Franco Rosso (a c. di), Alessandro Antonelli 1798-1888, Milano, Electa, 1989, p. 125-143.
23 Nicoletta Marconi, Edificando Roma barocca: macchine, apparati, maestranze e cantieri tra XVI e XVIII secolo, Città di Castello, Edimond, 2004 (per altri riferimenti più recenti allo stesso autore e su questo tema, Stefan Holzer, Gerüste und Hilfskonstruktionen im historischen Baubetrieb: Geheimnisse der Bautechnikgeschichte, Berlin, Ernst W. & Sohn Verlag, 2021).
24 Di diverso parere è Pascal Dubourg-Glatigny, op. cit., p. 16-17: nella sua contrapposizione tra le storie degli specialisti e la storia del savant, la sola in grado di cogliere tutte le «innombrables interdépendances du phénomène architectural» (p. 17) si perde il valore dialogico e costruttivo della migliore storia “applicata” (vedi sopra, note 20-22).
25 Una storia di questa stagione di cantieri di restauro, trainata da alcune grandi operazioni in cui società di ingegneria e general contractors negoziavano le proprie commesse ai piani alti della politica nazionale, è ancora da scrivere.
26 Agenzia delle Entrate (a c. di), «L’Agenzia informa», settembre 2021, Superbonus 110% (https://www.agenziaentrate.gov.it/; consultato il 28 marzo 2022).
- Thème CLIL : 3076 -- TECHNIQUES ET SCIENCES APPLIQUÉES -- Architecture, Urbanisme
- ISBN : 978-2-406-13544-9
- EAN : 9782406135449
- ISSN : 2649-177X
- DOI : 10.48611/isbn.978-2-406-13544-9.p.0013
- Éditeur : Classiques Garnier
- Mise en ligne : 31/08/2022
- Périodicité : Semestrielle
- Langue : Italien
- Mots-clés : histoire de la construction, statut, Italie, architecture civile, histoire appliquée, pluridisciplinarité, enseignement, accidents, catastrophes, conservation.