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Classiques Garnier

Educazione linguistica e livelli di scrittura femminile tra XV e XVI secolo Le lettere di Giulia Farnese e di Adriana Mila Orsini

  • Type de publication : Article de revue
  • Revue : Cahiers de recherches médiévales et humanistes / Journal of Medieval and Humanistic Studies
    2014 – 2, n° 28
    . varia
  • Auteur : Fresu (Rita)
  • Résumé : Cet article propose une première édition de lettres manuscrites écrites en 1494 par Giulia Farnese et sa belle-mère Adriana Orsini Mila et adressées au pape Alexandre VI (Rodrigo Borgia), ainsi ­qu’une analyse linguistique ­concernant les principaux aspects graphique, phonétique, morphologique et lexical. Prolongement idéal de ­l’étude menée par le même auteur en 2004 sur la langue de la correspondance adressée au pape par Lucrezia Borgia et sa mère Vannozza Cattanei, ­l’article vise principalement à fournir un nouvel élément utile à la reconstruction de la variété de la langue écrite utilisée par les femmes entre les xve et xvie siècles ; mais il représente également une occasion ­d’amorcer une réflexion plus ample sur ­l’acquisition des modèles de référence et sur la pratique de ­l’écriture par les membres féminins de la cour pontificale romaine à la fin du xve siècle.
  • Pages : 105 à 152
  • Revue : Cahiers de recherches médiévales et humanistes - Journal of Medieval and Humanistic Studies
  • Thème CLIL : 4027 -- SCIENCES HUMAINES ET SOCIALES, LETTRES -- Lettres et Sciences du langage -- Lettres -- Etudes littéraires générales et thématiques
  • EAN : 9782812445682
  • ISBN : 978-2-8124-4568-2
  • ISSN : 2273-0893
  • DOI : 10.15122/isbn.978-2-8124-4568-2.p.0105
  • Éditeur : Classiques Garnier
  • Mise en ligne : 29/04/2015
  • Périodicité : Semestrielle
  • Langue : Italien
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Educazione linguistica e livelli
di scrittura femminile
tra XV e XVI secolo

Le lettere di Giulia Farnese e di Adriana Mila Orsini1

La scrittura femminile (non letteraria)
nella prospettiva linguistica

La scrittura femminile, con particolare riferimento ai secoli passati, e con una netta preferenze per alcune specifiche tipologie testuali (tra cui spicca lattività epistolare), rappresenta senza dubbio una tematica che da tempo riscuote un notevole interesse scientifico. Su tale argomento, negli ultimi decenni, si sono moltiplicate iniziative editoriali e ricerche contraddistinte da una inevitabile interdisciplinarità che ha condotto la storia della scrittura (e della cultura scritta) a intersecarsi con quella delleducazione (femminile, ma non solo) e con la storia delle donne tout court2.

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Per convincersi della strada percorsa basta rinviare alla lucida e avvincente sintesi introduttiva di Luisa Miglio al suo volume in cui sono raccolti i contributi di un ventennio dedicati al rapporto tra donna e scrittura nel Medioevo3, e che testimonia appunto la fertilità degli studi degli ultimi due lustri, soprattutto di ambito storico (per lo più relativi alletà tardo-medievale e di area toscana). Studi che però, secondo la studiosa, sembrano aver inteso la scrittura «piuttosto come pratica

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intellettuale attentamente esplorata nelle sue più diverse espressioni», come produzione di «donne scrittrici, magari senza aspirazioni letterarie, più che donne scriventi» (p. 16), e ai quali dunque è mancato, secondo Miglio, un approccio integrato e complementare finalizzato a mettere in relazione la cultura grafica delle donne e i livelli di alfabetizzazione (p. 18)4.

Un rammarico condivisibile sul piano generale, per il quale tuttavia possono essere di conforto le indagini di taglio filologico e storico-linguistico che già da tempo, proprio beneficiando dei puntuali rilievi offerti in studi di impostazione paleografica, cercano di delineare il profilo socioculturale degli scriventi – indipendentemente dal genere – rapportandolo in primis alla competenza grafica.

Nella sua sintesi sullitaliano dei semicolti, Paolo DAchille mette esplicitamente in relazione i risultati provenienti dallosservazione (paleo)grafica con le competenze scrittorie5. Altri studi di taglio linguistico esaminano scritture prive di intenti artistico-letterari, di secoli e domini vari (e di ambo i sessi), muovendo proprio da una perizia basata sulla disamina di tratti come il ductus, ladozione di abbreviazioni (e di simboli tecnici indicanti monete o unità di misura), limpiego di punteggiatura, luso integrale o parziale della lingua latina: basti pensare, per rimanere nellepoca e nel dominio areale che si intende affrontare in questa sede, al volume del 1999 di Maurizio Trifone che, avvalendosi di tali parametri, traccia un quadro storico-linguistico della società romana nel secondo Quattrocento e nel primo Cinquecento attraverso documenti inediti prodotti tra il 1454 e il 1548 (con un addensamento di testimonianze tra il 1490 e il 1499) da circa 350 scriventi di diversa estrazione sociale originari per lo più di Roma6. E ancora si veda, nella medesima prospettiva (e con dichiarato debito, a p. 26, nei confronti delle indagini

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paleografiche di Armando Petrucci e della sua scuola), il bel saggio del 2003 di Pietro Trifone mirato a mettere in luce le connessioni tra storia della lingua, storia della scrittura e storia della società mediante lesame correlato di un tratto linguistico (diacronicamente significativo), la tipologia grafica e lo status sociale degli scriventi in un momento cruciale di trasformazione del volgare come quello registrato per la Roma rinascimentale7.

Altri indizi linguistici, oltre quelli meramente grafici, si rivelano utili per valutare la competenza scrittoria di chi si cimenta in un testo (non letterario): tra questi, solo per elencare quelli più determinanti, la capacità di dominare linterferenza diatopica e di distanziarsi dai demotismi più evidenti; una buona tenuta sintattico-testuale in grado di restituire un assetto strutturale stabile e coeso (e lontano dai modi delloralità); la volontà di aderire (più o meno consapevolmente) ai modelli normativi (e di prestigio) vigenti.

Per mettere a fuoco la coscienza linguistica di uno scrivente, e fare chiarezza sui processi che lo hanno condotto a impadronirsi della scrittura, lexpertise linguistica rappresenta, dunque, uno strumento prezioso, talvolta lunico per quei casi in cui è difficile, se non impossibile, ricostruire il percorso formativo di chi produce il testo.

La saldatura tra una minuziosa disamina del dato linguistico e identikit socioculturale si rivela assai funzionale per inquadrare la scrittura delle donne, per le quali, come è noto, non sempre i circuiti culturali sono stati accessibili, e non comunque in misura e modalità pari a quelle concesse agli uomini8.

Si direbbe ciò tanto più probante per scriventi di livello medio-alto, la cui facies linguistica appare meno segnata dalle aberrazioni proprie dei testi semicolti, che nel caso delle donne hanno spesso contribuito a confermare la lontananza di esse dalla cultura scritta9. Lassenza di devianze può res

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tituire limmagine di una lingua «normale» (conforme cioè alla norma), inducendo losservatore ad attribuire impressionisticamente a chi stila il testo un grado culturale che talvolta una disamina linguistica fine può non confermare. E daltra parte se la casistica dei tratti prototipicamente popolari risulta ormai ben individuata e ampiamente descritta dagli studi10, decisamente più sfuggente (a prescindere dal genere) è la «medietà» linguistica, e la gradualità di competenze scrittorie che possono contraddistinguerla, specialmente nelle produzioni delle donne per le quali, soprattutto in riferimento a determinate epoche, si è faticato a riconoscere livelli intermedi di scrittura11.

Si potrebbe ancora notare, inoltre, che per le donne (laiche) di ceto elevato si incontra forse, e paradossalmente, una maggiore difficoltà di messa a fuoco dei percorsi acculturanti. Le indagini sullistruzione degli strati medio-bassi restituiscono un panorama piuttosto definito delle modalità di apprendimento, specialmente di quelle realizzate mediante il canale «ufficiale» della scuola. Anche leducazione femminile impartita nei monasteri risulta tutto sommato ricostruibile, se si tiene conto del patrimonio librario posseduto dal convento, delle finalità precipuamente edificanti e spirituali degli itinerari formativi (e di conseguenza degli strumenti attraverso cui presumibilmente avveniva lesercizio), dellapplicazione pratica negli scriptoria. Viceversa, sembra più difficile precisare contenuti, materiali, tecniche didattiche – e relativi modelli linguistici di riferimento – impiegati per istruire una giovane di rango elevato (non destinata alla vita claustrale), per la quale, come è stato da più parti dimostrato, laddestramento alla lettura/scrittura avveniva per lo più (escludendo i brevi soggiorni in convento) tra le mura domestiche, affidata alle cure di educatrici

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e/o di precettori di cui peraltro non sempre si conoscono le effettive competenze12.

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Da tutto ciò si ricava limportanza di condurre indagini su produzioni di scriventi laiche di status elevato, sostanziando con lavallo linguistico le eventuali informazioni storiche di cui si dispone, e le intuizioni che possono provenire da una lettura non specialistica dei documenti, come si è cercato di fare nel sondaggio citato a p. 108 nota 3 sulle lettere indirizzate nel 1494 da Lucrezia Borgia e da sua madre Vannozza Cattanei ad Alessandro VI.

Al quadro allora emerso provo ad aggiungere un altro tassello, mirato innanzitutto a ricostruire le varietà di lingua scritta impiegata dalle donne tra XV e XVI, ma funzionale, anche, nella prospettiva sinora delineata, ad avviare una riflessione sullacquisizione dei modelli di riferimento e sulla pratica della scrittura (in volgare) da parte di esponenti della corte pontificia romana sul finire del Quattrocento.

Altre lettere dal fondo Borgia

Per perseguire lobiettivo torno sul fondo Borgia, cercando in tal modo, anche, di mantenere fede a un proposito espresso alcuni anni fa, in occasione del citato contributo sulla corrispondenza di Lucrezia e di sua madre. Come si ebbe modo di segnalare13, nel medesimo fascicolo conservato presso lArchivio Segreto Vaticano14 si rinvengono unaltra decina di lettere femminili, riferibili allincirca allo stesso lasso di tempo, stilate da tre dame corrispondenti del pontefice: Caterina Gonzaga, Giulia Farnese, Adriana Mila. Il fascicolo reca la denominazione Lettere di diverse Dame scritte a Papa Alessandro VI, ma in realtà solo la prima parte del volume contiene le missive autografe delle nobildonne, nello specifico 3 di Caterina Gonzaga (ff. 12r, 13rv, 14r), 1 autografa della stessa ma firmata da Lucrezia (f. 4r), 3 di Giulia

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Farnese (ff. 18rv e 19r, 20r), 4 di Adriana Mila (ff. 24r, 25r, 26r, 27r), oltre ovviamente alle 6 lettere di Lucrezia (ff. 1r, 2rv, 5r, 6r, 7r, 8r) e ai 3 biglietti di Vannozza (ff. 21r, 22r, 23r) già esaminati nel precedente studio. A proposito del fascicolo mi limito a ricordare che le lettere dei ff. 9rv e 11r vengono attribuite a Lucrezia ma sono state vergate da un cancelliere (in f. 9rv solo la firma è autografa, mentre in f. 11r neppure la firma è di Lucrezia), e che il fascicolo inoltre contiene due lettere scritte in varietà iberiche, una della sorella del pontefice, Beatrice Borgia (f. 15r), che scrive nel dicembre dello stesso anno dalla Spagna, laltra di Juana Moncada (f. 16rv). I ff. 3r, 10r, 17r, 20v e 23v sono bianchi, mentre i ff. 3v, 10v, 11v, 17v, 19v, 24v, 25v, 26v, 27v recano lindicazione abbreviata del destinatario. Nella seconda parte del volume si trovano note, liste e minute di lettere del papa, alcune delle quali (ff. 28rv, 29r, 35r, 36r, 42r) analizzate nel 1959 dallo studioso gesuita Giuliano Gasca Queirazza15, dirette a diversi destinatari (tra cui Lucrezia, Giulia, Adriana, il cardinale Alessandro Farnese, Francesco Gaçet, il cardinale Ascanio Sforza, Orsino Orsini), una lettera di Michele Cossa indirizzata a sua sorella Adriana Mila Orsini (ff. 38rv), 2 lettere di Francesco Gaçet al pontefice (ff. 34rv e 39r). Chiude il fascicolo una lettera del duca di Gandía al papa (ff. 43rv e 44rv), datata dicembre 1493 (non elencata nellindice iniziale).

Le lettere autografe delle nobildonne si riferiscono ai concitati episodi avvenuti negli ultimi sei mesi del 1494. Secondo le fonti16 Giulia Farnese (Capodimonte, 1474-Roma, 1524), figlia di Pier Luigi Farnese e di Giovan(n)ella di Onorato Caetani (appartenente allantica famiglia dei signori di Sermoneta), e sua suocera Adriana Mila Orsini lasciano Roma nella primavera inoltrata del 1494 per accompagnare Lucrezia Borgia, da pochi mesi sposa di Giovanni Sforza, nei suoi domini pesaresi. Lo spostamento era stato voluto dallo stesso pontefice per tutelare le

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donne a lui care dallepidemia che già da mesi attanagliava la città e dallimminente guerra che incombeva sullUrbe. Al seguito della giovanissima Borgia, allepoca appena quattordicenne, vi sono anche la spagnola Juana Moncada, nipote di Alessandro VI e addetta al servizio della giovane Farnese, e Lucrecia Lopez, figlia di un datario pontificio (e pochi giorni dopo, a Pesaro, sposa del medico degli Sforza, Gianfrancesco Ardizio). Partite da Roma il 31 maggio, le donne arrivano l8 giugno nella cittadina marchigiana, dove, nei giorni successivi, le raggiunge Caterina Gonzaga, sposa del conte Ottaviano di Montevecchio, i cui feudi si estendevano nelle Marche settentrionali. Intorno alla metà di luglio Giulia si allontana da Pesaro, in compagnia di Adriana, con lintento di raggiungere a Capodimonte il fratello Angelo Farnese moribondo, delle cui gravissime condizioni era stata avvisata dallaltro fratello, Alessandro Farnese (il futuro papa Paolo III). Dopo il trapasso del congiunto, benché reclamata sia a Roma dal papa sia a Bassanello (lodierna Vasanello, nel viterbese) da Orsino Orsini, suo consorte dal maggio del 1489, Giulia si trattiene invece per qualche tempo a Capodimonte presso la madre, con la sorella Girolama Farnese (accasata con la nobile famiglia fiorentina dei Pucci) e con il fratello Alessandro, allepoca cardinale, suscitando le ire del pontefice. Minacciate da questultimo di scomunica17, Giulia e Adriana ripartono sul finire di novembre per Roma. Poco prima di Viterbo le donne vengono catturate dalle truppe francesi di Carlo VIII, nel frattempo scese nel territorio italiano, imprigionate nel castello di Montefiascone e rilasciate in seguito al pagamento da parte del papa di un riscatto di circa 3000 ducati. Le dame giungono a Roma, infine, la sera del primo dicembre 1494.

Come era accaduto per le missive di Lucrezia e Vannozza, anche le lettere delle altre dame hanno suscitato linteresse degli storici che se ne sono serviti per delineare ambienti e avvenimenti coevi. La lettera del 10 giugno 1494 di Giulia (ff. 18rv), in particolare, è piuttosto nota per la descrizione dello sfarzo e dellatmosfera festosa con cui Pesaro accoglie

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la comitiva femminile, ma soprattutto perché evidenzia «lucidamente i termini dello scambio tra i favori suoi [di Giulia] al papa e quelli del papa al fratello [Alessandro Farnese]18». Le fonti, infatti, insistono molto sulla connessione tra la folgorante carriera ecclesiastica che porterà presto Alessandro alla porpora (poi al soglio pontificio) e lintensa passione che lallora sessantenne Borgia nutriva per la sorella del cardinale, la cui avvenenza era tale da farle guadagnare a Roma lappellativo di Giulia (la) Bella e, successivamente, in ragione del suo rapporto con il pontefice, quello di «Venere papale» e di «Sposa di Christo19». Il legame amoroso tra i due, iniziato, secondo le ricostruzioni storiche, già nel 1489, pochi mesi dopo le nozze tra Giulia, quindicenne, e Orsino (quando Rodrigo era ancora cardinale) – e più in generale la posizione privilegiata della giovane Farnese nella corte romana – hanno contribuito certamente a creare interesse intorno a questa figura femminile, per la quale quindi disponiamo di una buona messe di indicazioni20.

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Non altrettanto si può dire di Adriana del Mila (o Del Milà, secondo alcune fonti), sulla quale non disponiamo di molti dati. Figlia di un cugino di Rodrigo Borgia, Don Pedro de Mila (discedente da Juan de Mila e Catalina de Borja, e nipote di Callisto III), nasce (si pensa intorno al 1434) forse a Roma, come il suo nome classico (secondo Maria Bellonci) lascerebbe ipotizzare. Nel 1472 sposa, per volere del Borgia, di cui è fidatissima confidente, Cosimo Ludovico Orsini (figlio di Gentile Migliorati e Elena Orsini), signore del piccolo feudo di Bassanello, presso Viterbo. Rimasta presto vedova, si adopera affinché il figlio, Orsino Orsini, si unisca in matrimonio con Giulia Farnese. Ambiziosa e molto influente alla corte papale – quasi una sorta di eminenza grigia del Vaticano – Adriana viene ricordata dai biografi soprattutto per il suo ruolo di pronuba (appoggiando anche la relazione tra la nuora e il pontefice), e per quello di educatrice della piccola Lucrezia, che, sottratta alla madre Vannozza, le era stata affidata nel 1487 alletà di soli sette anni21.

Qualche informazione anche riguardo alla terza corrispondente, Caterina Gonzaga i cui feudi, annessi alla diocesi di Fano (la gentildonna scrive da Santo Laurenti CG12,12 e Santo Laurencio CG13,35, con ogni probabilità lodierno San Lorenzo in Campo, situato tra Fossombrone e Pergola), erano passati verso la fine del XIV secolo ai conti di Montevecchio che vi rimasero malgrado le occupazioni degli Sforza e dei Malatesta. Figlia naturale di Rodolfo Gonzaga (1452-1495), capostipite dei signori di

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Castiglione delle Stiviere, nel mantovano, Caterina va in sposa a Ottaviano di Montevecchio nel 1490; successivamente le fonti la indicano monaca (forse con il nome di Domitilla) del monastero dellAnnunziata al borgo di San Giorgio di Mantova. Della sua bellezza nordica (leggendaria tra i contemporanei, secondo Maria Bellonci) rimane una celebre descrizione inviata da Lucrezia nella lettera del 25 giugno 1494 ad Alessandro VI; abbiamo anche qualche sporadica notizia in merito al fatto che la giovane lombarda prendeva parte, insieme ad altri intellettuali del tempo, al cenacolo di artisti e intellettuali che si riunivano intorno alla Borgia nella villa Imperiale costruita da Alessandro Sforza nel 1464 sul monte Accio, poco fuori Pesaro22.

Le lettere, come si comprende anche dalle vicende biografiche delle tre dame, rappresentano un corpus piuttosto disomogeneo e meriterebbero accertamenti distinti, da ricondurre a parametri sociolinguistici specifici per ciascuna delle tre scriventi, non sempre, però, facilmente ricostruibili. A parte il caso di Giulia, allepoca della corrispondenza ventenne, nulla sappiamo con certezza delletà delle altre due donne23, né conosciamo nel dettaglio il loro percorso formativo. Ai fini di un adeguato inquadramento linguistico, inoltre, non andrebbe trascurata, come si preciserà meglio oltre, anche la differenziazione diatopica delle scriventi: alto Lazio per la giovane Farnese, i cui possedimenti familiari si estendevano lungo le rive del Lago di Bolsena (Capodimonte, luogo natio della ragazza, e Marta; una delle lettere, quella del 14 [agosto] 1494, è vergata anche da Gradoli) e poco più a sud, quasi alle porte di Roma, a Isola Farnese; dominio settentrionale per la Gonzaga che, di origine mantovana, abitava, come detto, le terre marchigiane tra il

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Metauro e la Valle del Cesano; provenienza romana, forse, ma con una potenziale componente iberica per la cugina del papa.

Rimane come dato certo il forte legame tra le donne (Giulia e sua suocera Adriana vivevano perfino insieme, con Lucrezia Borgia, nel palazzo romano di Santa Maria in Portico, del cardinale Battista Zeno, situato vicino alle mura vaticane)24 e, soprattutto, un comune destino – di genere e di censo – che doveva essere stato, probabilmente, alla base di un analogo percorso educativo, di là dalla diversa provenienza geografica.

Qualche differenza, poi, va enucleata anche sul piano diafasico. Per Giulia e Adriana il contesto situazionale appare tutto sommato piuttosto omogeneo a quello delineato per la figlia del Borgia e per sua madre: due giovanissime nobili, pressoché coetanee (Lucrezia e Giulia), e due dame di precedente generazione25, anchesse grosso modo della stessa età (Vannozza e Adriana), tutte gravitanti intorno alla corte romana – ma con percorsi formativi distinti (come si osserva anche oltre) – intrattengono una corrispondenza epistolare socioculturalmente asimmetrica con un destinatario con il quale hanno rapporti intimi e/o di parentela (e in cui la subordinazione di genere si potenzia in relazione al ruolo sociale e istituzionale dellinterlocutore). Leventuale condizionamento diatopico dovuto allorigine alto-laziale di Giulia – seppure più accentuato (si avrà modo di metterlo in luce) rispetto allaltra scrivente – tende ad attenuarsi in ragione del «protagonismo» di Roma, centro di irradiazione, già nel XVI secolo, di un modello «medio» in parte toscanizzato26. A

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sbiadire la coloritura locale contribuisce anche lincertezza registrata fino al tardo Medioevo per la zona della Tuscia sulla presenza di tratti specificatamente mediani, fortemente mescolati con quelli di tipo toscano (soprattutto senese per lorvietano) e sensibilmente influenzati appunto dalla varietà romana, specialmente nel viterbese27. Non si dimentichi inoltre che la Farnese, educata inizialmente in famiglia (e poi in un convento viterbese), si era trasferita a Roma, dove viveva, come si è

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detto, con la giovane Borgia e con la suocera. Per questultima è possibile rilevare una moderata interferenza con le varietà ispaniche, come del resto per Rodrigo Borgia28, e, anche qualche minima macchia localistica, dovuta forse ai soggiorni nella residenza coniugale di Bassanello (e a Capodimonte, dove aveva accompagnato la nuora), ma nella sostanza la sua appare, a prima vista, una lingua di koinè che, accanto al latino, ha come punto di riferimento la varietà «media» romana sostanzialmente avviata alla toscanizzazione.

Per Caterina Gonzaga ci si aspetterebbe una situazione diversa. Interlocutrice probabilmente meno intima del papa, la contessa di Montevecchio è originaria di un dominio padano che potrebbe trovare una parziale continuità nei tratti locali dellarea «gallo-picena» (così la definì Giovanni Crocioni), dove le nozze con Ottaviano lavevano condotta. Di tale patina settentrionale sembrano emergere rari ma inequivocabili indizi, come risulta da una primissima, cursoria ispezione delle lettere: ad esempio – solo per coglierne uno tra i più vistosi – lo sviluppo alveolare, rappresentato graficamente con z (assente nelle lettere di Caterina il grafema ç), da J e DJ iniziali e da G davanti a vocale palatale29 in forme come za già CG14,13; zovena giovane CG13,14; zorni giorni CG13,1; Zenuina zenuina CG12,4, anche in posizione interna in_zegno ingegno CG13,6 (di matrice settentrionale anche lesito a j da

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LJ in fiola30 CG13,5). A tali indizi sembrano affiancarsi numerosi elementi toscani, in sintonia con i processi di avvicinamento al canone unitario e sovramunicipale che si andava diffondendo nelle corti31. Anche in questo caso, tuttavia, la situazione appare molto più complessa e sfumata di quanto si presenti nella partizione areale moderna dal momento che i domini delle Marche settentrionali di Pesaro e Urbino (e di Ancona) esibiscono, ancora a questa altezza cronologica, caratteristiche «assai meno “alto-italiane” delle attuali32».

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Per tali motivi, dunque, conviene rimandare i rilievi sui documenti di Caterina Gonzaga a un approfondimento mirato (in occasione del quale fornirò la trascrizione delle lettere che la donna scrisse al pontefice), e concentrare in questa prima anticipazione lo sguardo sulle missive delle altre due scriventi che per censo, rapporto con il destinatario e sfondo diatopico (seppure con i dovuti distinguo cui si è fatto cenno) si presentano sociolinguisticamente congruenti sia tra loro sia, aggiungendo il parametro delletà, con la coppia Lucrezia/Vannozza, con le quali di fatto sembrano condividere quella «medietà» romana emersa dal precedente sondaggio più volte citato33.

Ancora una precisazione, prima di procedere allesposizione dei dati. Nella sua imponente, e già ricordata, ricostruzione sulle vicende dei pontefici, Ludwig von Pastor riproduce le lettere di Giulia e di Adriana34. Per quanto accurata, ledizione dello storico, concepita del resto per altre finalità, presenta alcune inesattezze non trascurabili ai fini di un accertamento linguistico35. Per tali motivi si è reso necessario approntare una nuova trascrizione (proposia qui nel paragrafo finale) sulla quale dunque è condotto lo spoglio che segue36, limitato in questa

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sede agli aspetti fono-morfologici e grafici maggiormente caratterizzanti (con cenni sul lessico)37.

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Analisi linguistica

Per quanto riguarda il vocalismo tonico è assente il dittongamento, spontaneo e condizionato, nella Mila che ha sempre pedi AM24,1; AM24,5; AM25,1; AM25,5; AM26,1; AM26,18; AM27,1 e passim (però insieme AM26,14); invece piedi GF18,1; GF18,34; GF18,37; GF18,47; GF18,54 (ma pedi GF19,1) nella Farnese, per la quale si registra anche la riduzione del dittongo al primo elemento in iri ieri GF18,2 (in Adriana heri AM26,8; AM26,15)38.

Manca, come prevedibile, il dittongo in ambedue le scriventi per la serie velare: cor GF18,32 e core GF18,53; locho39 GF18,23; bona GF18,16; GF18,41; GF20,9; AM26,11; AM26,13; AM26,16; nova s.f. GF19,2; novo GF18,43; po può GF18,44.

Diatopicamente caratterizzati sono il pronome personale nui40 GF18,27; GF20,14 (in Adriana noialtri AM27,13), metafonetico, e il tipo magur(e) comagur(e) maggiori con maggiore GF18,31, forma attestata nellarea alto-laziale e nel romanesco antico (e anche nei dialetti toscano-orientali)41, ma dubitosamente riconducibile, secondo diversi studi, a una spiegazione metafonetica42.

Isolati, nella Mila, un paio di casi della 4a pers. dellindicativo presente havimo AM24,3 (ma havemo AM26,17) e futuro starrimo43

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AM26,11, modellati analogicamente sulla desinenza di 5a pers., che presenta una i tonica di origine sicuramente metafonetica, oppure ascrivibile, forse, a confusione con il morfema della IV classe44 (per le forme di 3a pers. dellimperfetto in -iva nella Farnese vd. oltre a p. 133).

Manca lanafonesi in longo GF18,6; GF20,3 e longa GF18,48; GF18,53; GF19,16, molto resistente, come è noto, nel dominio centrale45 (indipendenti dal fenomeno i tipi come(n)sano GF18,14, e in posizione protonica come(n)samo GF18,32, con normale sviluppo Ĭ > e passato successivamente a i per influsso delle forme arizotoniche46).

Sostenuta dalletimo, e da una comune convergenza sul modello umanistico latino (la coincidenza con le varietà iberiche, laddove presente, avrà agito da rinforzo), la presenza di u in mu(n)do AM27,9 (ma mondo AM26,8); secundo GF18,25; GF19,10(2) e passim (ma secondo AM26,3; AM26,13) e nel tema del congiuntivo imperfetto in fuse47 GF18,8; GF20,7; GF20,12; fusero GF18,31 (per il passato remoto invece forono48 AM26,3,

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hapax); latinismo (e analogia con il paradigma verbale) anche per ditoli dettogli AM27,2; sopradicte49 GF18,27.

In sede atona è ben rappresentata la preferenza, in diversi casi, per la e protonica e intertonica (da Ĕ, Ē, Ĭ), specialmente in sillaba iniziale: mantenimento di de- in deletevole GF18,13; dependendo GF18,29; ma e anche da I in defusamente GF18,5; despiacere GF18,31; esito già labializzato, invece, nellhapax domane AM24,4 per effetto della consonante nasale labiale50. Tra i monosillabi costante è il mantenimento della vocale etimologica nella prep. de GF18,1; GF18,18; GF18,19; GF18,34; GF18,39 e passim; AM24,1; AM24,4; AM25,1; AM26,2 e passim, e nelle particelle pronominali me GF18,46; AM25,2; ce51 AM24,2; AM24,4; AM25,5; AM26,5; AM26,16; AM27,18; se GF18,10; GF18,15; GF18,18; GF18,27; GF18,39 e passim; AM25,3; 26,10 e passim; e ancora, se cong. ipotetica GF20,6, che tuttavia si chiude in si no(n) AM25,5; AM26,6 (ma se non AM27,7), per quanto in questo caso non si possa escludere linflusso ispanico. E a iberismo è più logico pensare per la prep. en AM27,8 impiegata nel sintagma en roptura52 (tra laltro sempre in AM24,1; AM26,2; AM26,4; AM26,7; AM26,12; AM26,10; AM26,12 e passim).

Pressoché sistematica (in accordo alla tendenza dei documenti coevi53) la conservazione di e nei prefissati con re-: reposata AM26,13; resolutio(n)e AM27,4 (a parte romase AM27,3, labializzato, anche in questo caso, per influsso delle consonante contigua); e ancora il tipo recoma(n)darm(e) GF18,53; recoma(n)dato GF20,12; recom(m)a(n)do AM26,14; AM26,18 diffuso nella lingua coeva e anche nelle varietà iberiche coeve54 (ma allato ricoma(n)damo AM25,5; AM27,18).

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Ai mantenimenti si affiancano le consuete chiusure, per assimilazione, come in disiderio GF18,44 e disiderati GF18,37 (ma desiderio GF18,49; GF19,16; AM26,5); filicita GF18,30 e filicissimo GF18,49; afitionati GF18,14; lespirientia GF19,52; nisuno55 GF18,30; passaggio ad i in sic(u)ndo AM24,3 (ma si vedano i già ricordati secundo GF18,25; GF19,10(2) e passim e secondo AM26,3; AM26,13), e, anche, in miss(er)56 AM24,1; AM27,14. Con esito diverso dal latino, invece, cevile GF18,13 (ma civile GF18,11) e retrebuischa GF18,48; mantenimento della vocale etimologica per fidelissima GF18,39; GF18,50.

Chiusura anche nella serie velare in guiello57 gioiello GF18,11, mentre diverge dalla base latina socederanno GF28,26.

Si conserva -ar- protonico nella desinenza del futuro della I classe in acaschara58 accadrà GF19,17 (per i verbi di II classe regolarmente secre_dera si crederà GF18,27; scrivero GF19,17) e nel condizionale ligustaria GF18,31; solo nella Farnese si ha oscillazione tra saria GF18,24 e letimologico seria59 GF19,16 (e sera(n)do saranno GF19,14, per cui vd. oltre a p. 127); GF20,10; in posizione postonica maschar(e) GF18,19.

Per il vocalismo finale si nota il mantenimento della -e nel già commentato domane60 AM24,4.

Pochi i rilievi per il consonantismo, per il quale mi limito a segnalare la conservazione (in alcuni casi forse solo grafica) di J in posizione iniziale in Junij AM26,21, ma giungno GF18,54, e soprattutto negli antroponimi Jeronimo AM25,1 (ma sangironimo GF20,12); Joanna GF20,8; Johan(n)i AM26,5; Julia AM27,18 (anche abbreviato: J. GF18,55; GF19,20; GF20,16; AM25,5) ma Giulia AM26,2061; evolve in posizione interna

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a <-g-> in ba|giano62 GF28,34; peggio AM26,13, ma si veda anche il già ricordato magur(e) comagur(e) GF18,31; per DJ- si ha giorni GF18,33.

Toscano anche lesito da W- germanico in guarde AM27,5.

Le sorde etimologiche si mantengono nel già citato locho GF18,23 e in matr(e) GF18,3; patr(e) GF19,1; patre AM24,1; AM25,1; AM27,1; lenita invece la dentale in sadisfation(e) GF18,6; GF18,30; sadisfacto GF18,7 (non trovo controesempi63), mentre a probabile influsso del castigliano bisogna pensare per lhapax algune64 AM25,1 (sempre sorda, infatti, la consonante in alcuno GF18,12; GF19,4 e cosalcuna GF18,4) e, forse con valenza non soltanto grafica, per la presenza di b in trobar AM24,4. Più difficile spiegare il tipo piagia piaccia AM27,6 (il contesto: cosa ch(e) ve piagia), a meno che non si pensi, assai dubitosamente, alla resa della affricata prepalatale depotenziata dellelemento occlusivo65 (ma nella stessa scrivente piacer(e) AM26,17; anche nella Farnese le forme sempre con la sorda).

Il dileguo di v intervocalica davanti a vocale velare nel participio passato auta GF19,1 e hauta AM26,8 (assenti le forme integre), presente in ambedue le scriventi, è fenomeno ben documentato tanto nella Tuscia quanto nella varietà romana coeva66.

Ben saldo il nesso -ND- (mondo AM26,8; grande AM26,9; grandissima AM26,2; grandissimo AM26,17; secundo GF18,25; GF19,10(2) e passim e secondo AM26,3; AM26,13), ma sono da rilevare in Giulia gli ipercorrettismi certificara(n)do certificheranno GF19,52 e sera(n)do saranno GF19,14 (sempre Giulia, poi, scrive E_daveno ed avendo GF19,8, in cui se è pur riscontrabile laplografia della seconda <d>, sarebbe anche legittimo pensare allassenza del titulus per la resa assimilata -n(n)-). In giuntura fonosintattica, ancora nella Farnese, si ha immostrare in mostrare GF20,6 e fim_mo fin mo; fino adesso GF19,6; assimilazione

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alla laterale seguente anche in nollo non lo GF18,49 (il passo: io nollo posso retrebuir(e); in Adriana ad esempio non lo poria scriver(e) AM27,5).

Sembra assente anche un altro tratto ben radicato nei domini centro-meridionali come laffricazione della sibilante dopo l, n, r: nelle lettere, infatti, si registra penso AM26,6; forse GF18,25; GF18,27; parso GF19,8 (mancano esempi con la laterale), ma si veda la falsa ricostruzione diligensia GF20,10 (allato a stantia AM26,12; lespirientia GF19,52: per gli aspetti grafici vd. oltre a p. 135; anche su senza GF18,4 vs sensa AM27,4 e come(n)samo GF18,32 e come(n)sano GF18,14 vd. di seguito).

Ancora nella Farnese si riscontrano poi i tipi supricamo GF18,35; supricarla GF19,9 in cui è possibile riconoscere un debito alla tradizione dotta (sempre suplico AM24,2; AM27,12; AM27,17 in Adriana), ma non si può escludere anche il passaggio di l postconsonantica a r come tratto delle parlate centrali67.

In ambedue le scriventi si ha invece riduzione sistematica di -SJ- a -s- in baso GF18,1; GF19,1; AM24,1; AM24,5; AM25,1; AM26,1; basa GF18,55; basar(e) GF18,36; basano AM26,20 e passim; da -SSJ- si mantiene lelemento semivocalico in presia fretta GF19,15, attestato anticamente68; -s- anche da -PSJ- nel già ricordato nisuno69 GF18,30; e ancora esito sibilante da -NTJ- in sensa70 AM27,4 (ma in Giulia senza GF18,4; GF18,12), come anche, da -N(I)TJ-, nei già visti come(n)samo GF18,32 e come(n)sano GF18,14). Non si rinvengono sviluppi da -RJ-.

Ancora in Giulia, infine, si registra un caso di conservazione dellantica d finale di QUĬD (con errata segmentazione) in ch(e) dera che era GF18,18 (forse anche ch(e) de mio debito GF20,2, se si interpreta quello che è mio debito)71.

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Tra i fenomeni generali va rilevata, innanzitutto, lapocope della sillaba finale nellinfinito in a_dese ad essere GF18,14, fenomeno documentato in area mediana tra il XV e il XVI secolo72. Si segnala poi il tipo epentetico tresoro GF18,31, attestato in italiano antico, dovuto evidentemente a tramite colto del francese (in una frase che, peraltro, riecheggia il vangelo: dove el tresoro | mio lie el cor mio [Matteo 6,21; Luca 12,34])73; inserimento di v epentetico per larcaismo continovo74 GF18,18, presente nella prosa letteraria del Trecento (ma de continu AM27,18). Difficilmente per hon(n)e (hauta | grande pena) AM26,8 si può parlare di -ne paragogico; si tratta più probabilmente (come la posizione della forma, dopo pausa, lascerebbe supporre) di enclisi del pronome atono in osservanza alla legge Tobler-Mussafia (il passo: Heri intesi ch(e) lo cancellieri mio haveva la peste; hon(n)e hauta | grande pena p(er)ch(e) era uno degnio s(er)vitor(e) AM26,8)75.

Sempre piena la prep. con GF18,15; GF18,19; GF18,32 e passim (anche in AM24,4; AM27,2; AM27,3 e passim), fatta eccezione per il già visto comagur(e) con maggiore GF18,31 e per co (nisuno) GF18,30 per cui, piuttosto che il troncamento della preposizione (fenomeno pure documentato nel romanesco, più tardi76), si può verosimilmente ipotizzare unassimilazione in fonosintassi con scempiamento (forse solo grafico). Anche la negazione no non in se no recoma(n)darm(e) GF18,53 (concreto in seno star(e) GF18,34) va forse ricondotta a dimenticanza del titulus, a meno che non si pensi a un iberismo77 (ma da notare anche nolgli GF18,17 per il quale vd. oltre a p. 134 n. 2).

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Il tipo groliossima gloriosissima GF18,3, metatetico (o per dissimilazione da groria), è largamente attestato nel romanesco e nei dialetti mediani, come è noto anche nei secoli successivi78.

Quanto alla morfologia nominale, si rinviene in Giulia il residuo della IV declinazione latina le mano GF18,1, assai diffuso nei documenti coevi (e vitale nel romanesco moderno)79; ancora nella Farnese magur(e) per maggiori GF18,31 potrebbe rappresentare unanticipazione del successivo comagur(e) con maggiore, ma non è da escludere che si tratti della resa (seppure abbreviata) del passaggio di -i finale a -e documentato, per i plurali maschili, nelle parlate della Tuscia, per influsso del perugino80; nella suocera registro il tipo cancellieri81 s.m. sing. AM26,8 e la forma femminile (tucta) di giorno AM26,12 documentata nellitaliano antico82.

Per larticolo maschile determinativo le lettere della Farnese esibiscono solo el GF18,3; GF18,21; GF18,31; GF18,32; GF18,34 e passim, da ritenere probabilmente una forma di koinè piuttosto che un fiorentinismo argenteo83, quelle della Mila il tipo lo AM24,3; AM26,4; AM26,5; AM26,8; AM27,2 e passim (ma anche lo spirito GF18,50); per il plurale si rinviene in ambedue le scriventi soltanto li GF18,24; GF18,32; GF18,33;

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GF18,55 e passim; AM24,1; AM24,5; AM25,1; AM26,1; AM26,18 e passim. Una sola occorrenza per lindeterminativo maschile, nel tipo uno (degnio s(er)vitor(e)) AM26,9.

In sintonia con quanto rilevato nella corrispondenza di Lucrezia (e in altri testi romaneschi coevi)84, risultano sistematicamente scempie le preposizioni articolate, per lo più davanti a consonante: ala S.ra GF18,15; ala qua|le GF19,14; alla S.te AM24,2; ala S. AM24,5; ala p(er)sona AM25,3 e passim (ma alla quale GF20,2; alla S.ta GF20,14); ali GF18,24; ali _pedi AM25,5; ali octo AM26,1 (unico caso in posizione antevocalica); ali pedi AM27,18); dela s(ignoria) AM27,5; dela quale AM27,18; deli AM26,19; dele qual GF18,42; dele | faccende AM26,16; dalo p(re)fato AM26,16.

Sono ancora da notare, poi, laggettivo possessivo soi 85 suoi AM26,19 e il numerale doi86 AM25,7 (uniche occorrenze nelle lettere delle due donne); ancora una volta, soltanto nella Farnese, lindefinito nisuno GF18,30, già ricordato87.

Adriana, invece, usa, una sola volta, il dimostrativo quessi 88 codesti AM26,10 riferito a p(er)icoli (nella stessa scrivente questo AM27,4 e questi AM27,11).

Tra le congiunzioni occorrono ancho89 GF19,12 e anchora GF20,8; AM25,6; ancora AM26,18, e la selezione sistematica di como GF18,5; GF18,52; GF19,7; GF19,16(2); GF20,7; AM27,13, forma ampiamente diffusa nella lingua coeva, e riscontrata anche nelle lettere di Lucrezia e Vannozza (nel nostro caso si può invocare anche la concordanza iberica)90.

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Ben rappresentata, ed equamente distribuita tra le due scriventi, lallotropia gli/li per il dativo di 3a pers., presente già nella lingua letteraria due-trecentesca, e perdurante per tutto il XV secolo: nella Farnese sempre gli GF18,6; GF18,51; GF19,6 e passim; dargli GF18,48 (anche nolgli GF18,17), mentre Adriana impiega soltanto li AM26,23; AM27,7 (anche dar(e)li AM25,3 e ditoli dettogli AM27,2), forma questultima che tende a prevalere nel secolo, specialmente nelle scritture di koinè91.

Come si è già potuto notare anche per le lettere di Lucrezia e Vannozza, meno compatto appare lavvicinamento al toscano nella morfologia verbale che risente maggiormente degli influssi locali e/o di quelli ispanici.

Per lindicativo presente accanto a fo92 fu GF20,3; AM26,1; AM26,2 (ma fu GF18,2) si registrano forme ampiamente attestate nei documenti coevi (non solo di area esclusivamente romana), come so93 sono 1a pers. GF19,16; AM27,10, il tipo geminato son(n)o94 sono 6a pers. AM26,4 e alcuni casi di desinenza etimologica della 4a pers. in -amo e -emo95: basamone AM26,17; certificamo GF18,28; come(n)samo GF18,32; ricoma(n)damo AM25,5; AM27,18; supricamo GF18,35; stamo AM24,2; AM26,4 (ma nella Mila possiamo AM26,19 e sentiamo

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AM26,11); havemo AM26,17 (ma il già visto havimo AM24,3) ma cabiamo chabbiamo GF18,33.

Isolato il futuro analogico con vibrante geminata, già ricordato, starrimo96 AM26,11; a parte il già visto sera(n)do saranno GF19,14.

Si registra la desinenza in -e per la 3a pers. del congiuntivo presente nei verbi di I classe97 in ce mande AM24,4 e dio me guarde AM27,5.

Nella Farnese si rinviene il conguaglio analogico tra le desinenze della II e della III classe per la 3a pers. dellimperfetto98: pariva GF18,23; sapiva GF18,43; nevoliva GF19,5; naviva; GF18,44 (ma aveva GF18,41; e haveva AM26,8, come visto, anche nella suocera).

Per il passato remoto segnalo i tipi crese credette GF18,9 e scripsimo99 scrivemmo AM24,3.

Il condizionale è espresso soltanto mediante le forme in -ia, proprie, come è noto, della lingua poetica e presenti già nel romanesco trecentesco (ma per i nostri documenti non sarà da escludere un influsso iberico)100: saria GF18,24; GF20,10 (e seria101 GF19,16); ligustaria GF18,31; inpieria riempirebbe AM27,9; poria AM27,5 (e poriano GF18,20); voria AM27,6; diria GF18,10.

Da segnalare, infine, il tema verbale etimologico per linfinito possere102 potere AM26,5 (per endo essendo GF18,28 vd. oltre a p. 136).

Lesame degli aspetti grafici mostra una casistica piuttosto congruente con il polimorfismo sistematico tipico delle scriptae centrali (tardo)quattocentesche anteriori alla stabilizzazione rinascimentale103. Il buon allineamento del ductus, il legamento sicuro dei grafemi (più spedito in

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Adriana) e un uso sostanzialmente corretto di abbreviazioni, soprattutto per titulus, lasciano intuire una discreta dimestichezza delle due donne con la scrittura.

Totale, come prevedibile a questa altezza cronologica, è la mancanza di accenti e apostrofi, con numerosi casi di scriptio continua, che non esemplifico.

Registro invece: uso del digramma ch per la resa della velare sorda anche davanti a vocali diverse da quelle palatali, soprattutto in Giulia (locho GF18,23; dicho GF18,17; GF18,18; ancho GF19,12; schordi GF18,39; Francescho GF18,5 e passim; domenicha GF18,2; maschar(e) GF18,19; retribuischa GF18,48 e passim; stracha AM27,2; anchora AM25,6)104; oscillazione nella selezione di m e n davanti a b e p (inportunitate AM27,11; impero GF18,11; impesaro GF18,53; membra GF18,51; lombra AM26,7); allotropie, distribuite con una certa coerenza tra le due scriventi, nella resa delle palatali per le quali, contrariamente a quanto ci si attenderebbe, la scrivente più giovane preferisce soluzioni arcaiche: <-lgl-> per la laterale: melglio GF18,20; pilgliato GF18,42; spolgliata GF18,24; volglia GF18,16 e passim, e anche nolgli105 non gli GF18,17 (ma gli GF18,6; GF18,51; GF19,6 e dargli GF18,48); e <-ngn-> per la nasale: dengne GF18,37; indengna GF18,54 (anche indeng(n)a GF19,19) rengn(e) GF18,50; ongne GF18,29(2); GF18,45 e passim; giungno GF18,54; Folingni GF18,12; Adriana invece presenta sempre <-gl-> per la laterale: pigliar AM24,2; pigliare AM26,12; pigliato AM26,17; pigliate AM27,14; voglia AM24,2; AM26,10; AM26,11; AM26,13 e passim (ma hapax per lispanismo cavallero106 AM26,19); e <-gn(i)-> per la nasale: degne AM25,3; degnar(e) AM26,19 e con i diacritica degnio AM26,9, come anche bisognia AM25,4 e vergognia AM27,7; e ancora signore AM27,13 per lunica occorrenza di questa forma non abbreviata107.

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Sostenute in gran parte dalla tradizione umanistica (e talvolta coincidenti con gli usi umanistici di matrice ispanica), si rinvengono numerose grafie latineggianti (o pseudo-latineggianti) tra cui, principalmente: h iniziale: honor(e) GF18,4; AM27,7; hora AM26,1; hore AM24,6; AM25,7, e impiego incerto di h- nelle forme del verbo avere: o ho GF18,9; AM25,2; AM27,2 ma hon(n)e AM26,8; ca ci ha GF18,3 ma ha AM27,11; AM27,14; abia AM27,4; AM27,15; labia GF20,11; cabiamo chabiamo GF18,33; aver(e) GF19,1; avessimo GF18,23 ma havemo AM26,17; havimo AM24,3; haveva AM26,8; havem(m)o AM26,15; hauta AM26,8 ma auta GF19,1; ti per la resa dellaffricata alveodentale108: letitia GF18,28; notitia AM27,15; afitionati GF18,14; consolation(e) GF19,43; esaltation(e) GF19,13; legation(e) GF18,42; sadisfation(e) GF18,6; GF18,30; stantia AM26,12; lespirientia GF19,52, anche Lucretia GF18,8; GF18,15; GF18,21; AM26,20; ct per la resa della dentale sorda intensa: facta AM26,16; facte GF18,3; AM26,3 (e sadisfacto GF18,7); efecto GF18,9; mecter(e) GF18,35; octo GF18,2; AM26,1 (anche octobr(e) AM24,6); nocte GF20,5; AM25,7; socto 26,7; tucto AM26,3; tucti GF18,2; GF18,15; GF18,24 e passim; tucte AM26,17 e passim (ma in Adriana anche tutto AM27,9; AM27,13; AM27,15; tutti AM13(2) concentrati in pochi righi ravvicinati della medesima lettera, oltre allisolato atutto_l AM25,4); anche pt nellhapax roptura AM27,8, già citato; sono pseudo-latineggianti i tipi contencto GF18,7; contencta GF18,46; contencte GF18,38; circostancti GF18,24; tancta GF18,25; tancte GF18,4; ed ancora, in Adriana, risalgono al latino (anche medievale) adposta AM26,20; adpresso AM26,6; advisando AM26,11; etimologica la grafia anche in som(n)iar AM27,6 (abbreviazione con titulus); ancora solo in Adriana bs, ps e x per la resa della sibilante sorda intensa: absente AM26,7; scripsimo AM24,3; conoxe AM27,9; dixe AM27,3; laxa AM27,7 (in questi ultimi casi sembra più evidente linflusso ispanico), oltre al lat. maxime AM27,16 (in Giulia massim(e) GF20,7).

Da interpretare come un cultismo grafico latineggiante (incoraggiato forse dalla coincidenza con il modello ispanico), stavolta nella Farnese, il mantenimento della e iniziale in espedita GF18,42 e espedite GF18,41.

Tralascio di commentare le consuete oscillazioni nella resa del grado di intensità delle consonanti, da ricondurre per lo più, caso per caso, ora

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alletimo latino, ora, e forse per gli scempiamenti anche, alla pressione iberica.

Mi limito invece a segnalare qualche défaillance, soprattutto di Giulia, come la perdita di d dopo nasale, o più probabilmente, come già osservato, -ND- > -nn- con caduta di titulus in E_daveno ed avendo GF19,8, laplografia nel già visto groliossima gloriosissima GF18,3 e forse anche in endo essendo GF18,28 (ma esendo GF18,1; GF20,7; nella Mila essendo AM26,7), per dimenticanza del segno tachigrafico, sempre che non si tratti di un lapsus calami per la forma aferetica sendo, attestata anche nella lingua letteraria109. Per il pleonasmo iniziale in cq(ui) AM26,7 è legittimo pensare alla resa grafica dellallungamento a sinistra110.

A livello lessicale è possibile constatare la compresenza di voci antiche e letterarie, come stantia111 permanenza (in un luogo) AM26,12 e prefato112 precedentemente nominato, predetto AM26,16, affiancate da forme in espansione nel periodo coevo, ad esempio sani e salvi113 illesi, incolumi GF18,3, talvolta retrodatabili, come la forma verbale accascare114 accadere, capitare per caso (acaschara GF19,17 e achascando el caso GF19,4), la locuzione preposizionale in pontificale115 sontuosamente GF18,23 (il passo

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eravamo vestiti in pontificale) e quella, notevole per laltezza cronologica delle lettere, di ba|giano116 sciocco, semplicione GF28,34. Di rilievo anche limpiego, nella Farnese, del participio assoluto latino atencto considerato, tenuto conto di GF19,5, il cui uso appare documentato grosso modo dalla metà del XV secolo117. Si rinvengono inoltre termini antichi ma vitali a Roma, e in alcuni casi diatopicamente marcati, come stracha118 stanca, spossata AM27,2, i già visti presia119 fretta GF19,15, e mo120 avv. in fim_mo fino a mo GF,19,5 (laddove in Adriana adesso121 AM25,2, di matrice settentrionale). Piuttosto interessante, in Giulia, luso di spantati sbigottiti, stupefatti GF18,25, voce di probabile ascendenza ispanica, le cui pochissime attestazioni si concentrano tra XV e XVI secolo122.

Oltre alle corrispondenze già sparsamente osservate, gli iberismi sembrano ridursi nella Mila alluso di y vi AM27,17, attestato nel

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castigliano antico e nellaragonese123, e a qualche spia lessicale come asentar124 sistemare AM27,16, oltre ai già visti cavallero125 cavaliere AM26,19 e (en) roptura126 AM27,8; nei tipi di127 giorno AM 26,12; fe128 fede GF18,50 e ire129 andare AM27,4 e irialo andrebbe(lo) AM27,10 (ma andar(e) AM26,12), frequenti nellitaliano antico e letterario, la coincidenza con le rispettive forme ispaniche avrà esercitato unazione di rinforzo.

Pur senza addentrarci nei dettagli di un commento sintattico-testuale, da rinviare a una futura disamina, è possibile tuttavia constatare, anche a un primo sguardo, altri due elementi significativi sul piano testuale ai fini di una valutazione delle competenze acquisite dalle due scriventi. Si tratta, da una parte, del pieno dominio della formularità tipica del genere lettera che non lascia adito a dubbi riguardo alla familiarità delle due donne con la pratica epistolare: basterebbe osservare la compattezza dei moduli di apertura (Patr(e) s(an)to baso umilme(n)te lipedi de v(ost)ra B. GF19,1; Beamo p(atr)e baso li pedi ala Sta v. AM26,1; Beamo patre baso li pedi de v(ost)ra S.te AM24,1; Beamo patre S.to baso li pedi de v(ost)ra S.te AM25,1; Beamo patre dapoi basati li pedi de v(ost)ra s.te AM27,1); S. mio umilme(n)te baso le mano (et) piedi de V. S. GF18,1) di chiusura (Don(n)a Lucretia et Giulia co(n)tinuame(n)te basano li pedi ala Sta v. AM26,20; no(n) saro | piu longa se no recoma(n)darm(e) ad quella con tuctol core GF18,52-53; No(n) altro | baso li pedi ala S. v(ost)ra AM24,4-5 e passim) e di chiusura assoluta (immediatamente precedenti la firma, come schiaua AM24,7; serva

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AM25,8; humile servitrice AM27,21; D.V.S. indeng(n)a schiaua GF19,19; schiaua et serua ch(e) li basa | li pedi AM26,23-24; D. V. S. indengna s(er)va (et) schiava | ch(e) li piedi ve basa. GF18,54-55). Ma a parte tali costrutti più o meno rigidi, una certa stereotipia formulare doveva essere diffusa anche per comunicazioni meno scontate, se nuora e suocera, nella lettera che ciascuna invia al pontefice per riferire dellarrivo in Pesaro, si servono di una struttura pressoché analoga, persino nel materiale lessicale: el S. ca [ci ha] facte | tancte careze (et) honor(e) qua(n)to dir_se_potesse senza ma(n)charce cosalcuna GF18,3-4 e lo s(ign)or Johan(n)i ce fa tante careze q(ua)nto sia possibile possere fare AM26,5130.

Spicca poi – ed ecco il secondo elemento – una evidente stabilità strutturale che restituisce una sintassi coesa (basterebbe osservare luso della coniunctio relativa realizzata secondo le modalità coeve131 mediante il modulo art + quale), pressoché esente dalle consuete disartrie dovute a scarsa pianificazione, e moderatamente alterata da rare aperture verso i modi delloralità (qualche ridondanza sintattica, ad esempio, come delch(e) [riferito alla risoluzione di alcune faccende] tucte ne havemo pigliato grandissimo piacer(e) AM26,17), tratti comunque normali, come è risaputo, nelle scritture private coeve (e non solo)132.

Qualche riflessione conclusiva

Un campione di testi così circoscritto, sia per laspetto diacronico sia per i destinatari, come quello qui esaminato, rende ovviamente difficile qualunque tipo di generalizzazione. Pur nella esiguità del corpus, tuttavia, si può tentare un primo bilancio dei dati emersi, nellintento di

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aggiungere ulteriori elementi funzionali alla ricostruzione del quadro delle varietà scritte femminili tra XV e XVI secolo.

Nelle lettere di Giulia e Adriana sono innanzitutto ben rappresentati quei fenomeni, noti e ampiamente descritti dagli studi, documentati nel romanesco «medio» coevo (ma anche genericamente mediani, comuni cioè alle varietà centro-meridionali), resistenti al processo di toscanizzazione: assenza di dittongamento spontaneo, specialmente nella serie velare; tipo non anafonetico longo; conservazione della e protonica e di -ar- atono nei futuri e condizionali dei verbi di I classe; mantenimento delle occlusive sorde in posizione intervocalica o tra vocale e r; articolo determinativo plur. li; uso di li pronome dativo di 3a pers. per ogni genere e numero; sembrano avere una incidenza minore, però, due municipalismi di resistenza a lungo termine come laffricazione di s dopo l, n, r, e lassimilazione progressiva ND > nn133, presenti, come si è visto, sotto forma di iperdistanziamenti, e soltanto in Giulia.

Le lettere poi esibiscono alcuni tratti del volgare più antico, per lo più a livello fonetico (ad esempio gli esiti SJ > s e, anche, la conservazione di J- iniziale) e lessicale (come stracca e mo), ma anche morfologico (ad esempio la costanza dellarticolo determinativo lo), soprattutto nel sottosistema verbale. In questultimo ambito, anzi, coerentemente con il quadro tracciato da altri studi su documenti coevi, si concentrano gran parte delle forme devianti dalla lingua letteraria, in cui agiscono maggiormente i sostrati areali: le desinenze etimologiche di 4a pers. dellindicativo presente, quelle analogiche in -iva per la 3 pers. dellimperfetto, i futuri con vibrante geminata, i condizionali in -ia, il tema verbale in poss-, fino ad arrivare, come visto, a localismi arcaici, ma ancora resistenti allepoca, come so e sonno sono.

A proposito dei localismi, non sarà sfuggito che i tratti più marcati (non solo di ambito verbale) ricorrono nelle lettere di Giulia: nui metafonetico, il tipo magur(e), gli ipercorrettismi diligensia e certificaran(d)o e sera(n)do, il relitto le mano, lindefinito nisuno; e ancora spie lessicali come mo, e così via. Alla loro vitalità avrà concorso

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lappartenenza, tranne in qualche caso (ad esempio gli imperfetti analogici pariva, sapiva, voliva), tanto al dominio alto-laziale (di cui la giovane era originaria) quanto al romanesco. In questa scrivente però si rinvengono anche elementi che contraggono debiti con la tradizione colta: si pensi al boccaccismo continovo e a tresoro, e ancora a supricamo (casi per i quali, tuttavia, non si può escludere, come si è osservato, anche una matrice localistica). Nella Farnese, in altre parole, si nota unoscillazione di usi tra piani alti della scrittura e polo basso che non si riscontra invece in Adriana, le cui scelte appaiono internamente più uniformi e orientate verso soluzioni già moderne: si pensi agli esiti toscani di W- in guarde e di DJ in giorni; alle forme verbali di 4a pers. dellindicativo presente in -iamo; i pochi casi presenti nella Mila che potremmo considerare demotici, per quanto comunque attestati nella lingua coeva, sono romaneschismi «medi» (ad esempio quessi, havimo, starrimo).

È difficile stabilire se tale differenza tra le due scriventi sia effettivamente connessa ai diversi percorsi formativi delle due donne – Adriana a Roma, e Giulia in provincia – e se, come è probabile, vada messa anche in relazione con la giovane età della Farnese, al tempo delle lettere poco più che ventenne (unetà matura poteva significare anni in più di esercizio e soprattutto molte più occasioni di scrittura).

Quel che pare certo è che le missive di Giulia presentano caratteristiche linguistiche più marcate e, anche, orientate verso soluzioni superate (basterebbe ricordare la grafia che questa scrivente adotta per la resa delle laterali e nasali palatali), circostanza da ricondurre, probabilmente, alla sua condizione “periferica” (Viterbo vs Roma) e soprattutto alla sua educazione, avvenuta (seppure per brevi periodi) in convento, ambiente meno permeabile alle innovazioni, come diversi studi hanno dimostrato, dove la giovane era stata probabilmente esposta a modelli antiquati (circolanti negli strumenti didattici, come la trattatistica devozionale) che potevano favorire il mantenimento di tratti arcaizzanti e/o municipali134 (non a caso anche le grafie

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paraetimologiche del tipo contencto e tancta si rinvengono soltanto in questa scrivente).

Si tratta quindi di un risultato che, quanto a parametro diagenerazionale, capovolge quello emerso dallanalisi delle lettere di Lucrezia e di sua madre, in cui la seconda, anagraficamente più anziana, risulta meno esperta nella scrittura della prima135. Ciò non stupisce dal momento che Adriana, a differenza di Vannozza, vive e si forma in pieno clima umanistico, mentre Giulia, sebbene (quasi) coetanea di Lucrezia, riceve rispetto alla giovane Borgia uneducazione più dimessa136.

Risulta invece confermato il potere modellizzante (e acculturante) degli ambienti a cui le donne erano esposte, in primis quello umanistico-cortigiano, al quale comunque anche Giulia, seppure più tardi e con maggior fatica, approda. Di là dai tratti individuali, infatti, si può ammettere lesistenza per le due donne di ampie zone di sovrapposizione in cui confluiscono fenomeni comuni che costituiscono la base di una koinè media, solidali, come visto, di volta in volta, con il toscano o con latino (umanistico), o con ambedue, e talvolta sostenuti anche dalla pressione delle scriptae ispaniche. Tratti peraltro coincidenti, in buona parte, con i fenomeni accolti dagli esponenti della teoria cortigiana, sul modello delle koinài sorte intorno alle corti tardo-quattrocentesche137. A tale proposito basterebbe soltanto rilevare le numerose corrispondenze di soluzioni linguistiche rinvenute nelle lettere delle due donne con quelle propugnate da Mario Equicola

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(Alvito 1470-Mantova 1525), ciociaro dorigine ma vissuto sufficientemente a lungo negli ambienti curiali di Roma da restituire, nel suo Libro de natura de amore (e in particolare nella nota Dedicatoria ad Isabella dEste, databile nella sua prima stesura al 1508-1509 circa), unimmagine abbastanza attendibile di quella che doveva essere la lingua usata alla corte romana138.

Ma di là da simili confronti, che andrebbero condotti anche rispetto alle posizioni di altri intellettuali gravitanti intorno alla Curia, interessava qui sottolineare, innanzitutto, come lappartenenza di Giulia e Adriana alla cosmopolita corte pontificia renda le lettere vergate dalle due nobildonne un osservatorio privilegiato per misurare gli stadi di penetrazione del modello toscofiorentino e/o di quello cortigiano allinterno di una prassi linguistica che aspirava a imporsi per gli usi colti e, anche, come varietà comune139; poi, in prospettiva più ampia, evidenziare, ancora una volta (già vi si era fatto cenno nel caso di Lucrezia e Vannozza), come le scelte linguistiche adottate e accolte da queste scriventi consentano di mettere a fuoco modalità di ricezione, appropriazione e riuso di modelli di prestigio (o ritenuti tali) anche da una categoria socioculturalmente “periferica”, come quella femminile, estranea alle teorizzazioni e ai dibattiti sullo strumento comunicativo che andavano accendendosi

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nella Roma del tempo, ma che certamente di quello strumento doveva servirsi, contribuendo in tal modo ai processi di formazione della lingua unitaria140 forse in maniera meno marginale di quanto si è in genere abituati a credere.

Rita Fresu

Università di Cagliari

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Edizione delle lettere

Nota al testo

Sebbene le lettere si situino a unaltezza cronologica in cui alcuni fenomeni grafici non sono ancora stabilizzati, e dunque la loro presenza o assenza non si configura come particolarmente significativa, si è ritenuto opportuno tuttavia restituire loriginale con la massima fedeltà. Pertanto si sono adottati criteri di trascrizione, per quanto possibile, rigorosamente conservativi anche per quei tratti solitamente ricondotti alluso moderno141, come la divisione delle parole e lintroduzione degli accenti e degli apostrofi, su cui dunque non intervengo. Adeguo invece alla norma attuale lalternanza delle maiuscole/minuscole e linterpunzione; distinguo tra u e v; conservo j soltanto per lultima unità dei numeri romani e per le iniziali dei nomi propri (Jeronimo AM25,1; Joanna GF20,8; Johan(n)i AM26,5; Julia AM27,18, anche puntato J. GF18,55; GF19,20; GF20,16; AM25,5; anche Junij AM26,21).

I limitatissimi interventi editoriali dunque si riducono a: impiego del trattino basso per grafie continue incerte; parentesi quadre per integrazioni di parti omesse; parentesi aguzze per parti depennate o cancellate; asterischi in corrispondenza di lacune e/o di grafemi incerti o illeggibili; in apice le aggiunte in interlinea. Riproduco le parole spezzate in fine di rigo come nelloriginale e separo i righi con trattini verticali (doppi in corrispondenza dellinizio dei righi 5, 10, 15, ecc.; il capoverso, corrispondente nelledizione con quelli del manoscritto, fa le veci di un trattino verticale scempio o doppio); rendo con doppia barra obliqua il cambio carte (recto/verso). Raddoppiamenti e scempiamenti, anche se meramente grafici, sono stati conservati. In nota sono segnalate eventuali caratteristiche del testo, le anomalie che non è stato possibile riprodurre o i casi dubbi nellinterpretazione dei singoli grafemi.

Circa le abbreviazioni di tipo tachigrafico si reintegra il grafema o i grafemi mancanti tra parentesi tonde: nei casi di p con lasta tagliata da un tratto orizzontale il luogo di p(er) GF18,5; AM24,3 e passim; nei casi di pp con ricciolo della seconda p prolungato a tagliare trasversalmente le due aste e con a sovrapposta per p(ro)p(ri)a GF19,20; GF20,16; nei casi di h con lasta tagliata da un tratto orizzontale in luogo di ch(e) GF18,2; AM24,2 e passim (anche in

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forme come sich(e) AM24,2); nei casi di s tagliata trasversalmente come s(er)uitio GF10,14; s(er)uitor(e) AM26,9; nei casi di M con segno di troncamento per m(e)s(ser) GF18,5; GF20,8. Anche la n o m abbreviate per titulus sono state reintegrate tra parentesi tonde: no(n) GF18,18; AM16,6 e passim; umilme(n)te GF18,1; recom(m)a(n)do AM26,14 e passim; analogamente si è proceduto per e in fine di parola (come honor(e) GF18,4; matr(e) GF18,4; da(n)zar(e) GF18,21; mandar(e) AM26,19; piacer(e) AM26,17 e passim). Lo stesso dicasi per forme sormontate da un archetto rivolto verso il basso come gr(ati)a GF18,2; n(ost)re GF19,13; v(ost)ra GF19,1; AM24,1 e passim.

Le abbreviazioni per contrazione sono mantenute, quando usuali, nella forma grafica fedele alloriginale (Beamo beatissimo AM24,1; AM25,1; beane beatitudine AM24,7; Rmo reverendissimo GF18,40; Sra signora GF18,8; GF18,15; Sta santità AM26,1; Ste santitate AM24,1 e passim), sciolte tra parentesi tonde nei casi meno trasparenti (ad esempio s(ignoria) AM27,5).

Per lo scioglimento di abbreviazioni che possono avere più di un valore (ad esempio d con lasta tagliata da un tratto orizzontale che può valere de o di, come nel caso di d(e) GF18,24, oppure il titulus in luogo della nasale prima di bilabiale che può valere n o m, come nove(m)bre AM25,7) ci si è uniformati, dove possibile, allusus della singola scrivente nelle rispettive forme intere (così anche r(e)coma(n)do GF19,15 ricostruito su recoma(n)darm(e) GF18,53 e recoma(n)dato GF20,12).

Per il medesimo motivo sciolgo la nota tironiana (una piccola <z>) con (et).In caso di mancanza di forme piene di riscontro, si è seguito luso prevalente della scrivente; nello spoglio non si è tenuto conto di tali forme.

Le lettere

[GF f. 18rv] Giulia Farnese ad Alessandro VI (Pesaro, 9 o 10142 giugno 1494)

S. mio umilme(n)te baso le mano (et) piedi de V. S. p(er) la_presente aviso quella | iri ch(e) fu domenicha (et) octo del_presente ariva(m)mo qui in_Pesaro tucti p(er) gr(ati)a | de dio (et) de_la sua groliossima143 matr(e) sani (et) salvi dove el S. ca144 facte | tancte careze (et) honor(e) qua(n)to dir_se_potesse senza

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ma(n)charce cosalcuna || como p(er) M(e)s(ser) Francescho145 quella defusamente intendera et p(er) questo no(n) me | curo a longo scrivern(e) ad V. S. ma p(er) sua sadisfation(e) gli dicho que|lla poser(e) star(e) molto contencto (et) sadisfacto daver(e) cosi bene coloca|ta la Sra donna Lucretia ben ch(e) in vero no(n) nne fuse mai i(n) du|bio ma_verame(n)te mai necrese tancto qua(n)to in_efecto o veduto (et) || trovato et so_certa se V. S. se trovase qua diria questo medesimo | impero ch(e) questa cita e un_guiello tancto e bella (et) civile (et) p(er) ch(e) | molti la equiparavano a_Folingni senza dubio alcuno e_piu bela | questa (et) molto piu cevile et deletevele tancto qua(n)to dir_se_potese | (et) questi vassalli molto afitionati a_lor S. et cosi come(n)sano a_dese || ala Sra donna Lucretia la quale se porta benissimo con tucti | si ch(e) V. S. stia de_bona volglia (et) colanimo reposato (et) quella | sia certissima nolgli dicho una cosa perunaltra p(er) ch(e) de_tucto | e piu ch(e) io no(n) dicho qua continovo se fa feste de balar(e) de can|tar(e) de far(e) maschar(e) con recitar(e) egloghe in latino (et) in volgar(e) le || quale no(n) se poriano quasi melglio in Roma (et) nel mezo de la | feste el S. (et) la Sra donna Lucretia (et) io andammo a da(n)zar(e) | ch(e) cera tancta gente ch(e) dera una cosa stupenda in simillo | locho (et) tucti tre eravamo vestiti in pontificale ch(e) pariva avessi|mo spolgliata Fiorenza d(e) brocati (et) tucti li circostancti stavano || spantati p(er) noneser(e) forse soliti vedern(e) tancta copia secundo | socederanno le cose p(er) lavenir(e) cosi quella sera avisata et p(er) che | forse V. S. secre_dera legendo le sopradicte cose nui star(e) in_gaudio // [f. 18v] (et) letitia esendo cosi certificamo quella eser(e) in_gra(n)de eror(e) p(er) ch(e) endo | asente da v(ost)ra S. (et) dependendo da quella ongn(e) mio bene (et) ongne mia || filicita no(n) posso co nisuno mio piacer(e) (et) sadisfation(e) gustar(e) tali piaceri (et) | qua(n)do fusero magur(e) comagur(e)146 despiacer(e) ligustaria p(er) ch(e) dove el tresoro | mio lie el cor mio (et) quella sia certissima con tucti li piaceri come(n)samo | Madamma (et) io a contar(e) li giorni cabiamo a_star(e) p(er) ch(e) in fine tucte147 | burla seno star(e) ali_piedi de V. S. (et) chi ne dicese el contrario saria ben ba|| giano sich(e) supricamo quella no(n) ce_volgla mecter(e) inoblio inaverce | confinate qua ch(e) se volglia recordar(e) farce tornar(e) presto a_basar(e) | li disiderati piedi (et) in questo mezo farce dengn(e) de qualch(e) sua | l(ette)ra p(er) ch(e) saranno causa farce star(e) alqua(n)to piu contencte p(er) presu|mer(e) quella no(n) se schordi de la mia fidelissima s(er)vitu. Preterea M.|| Rmo mio fratello148 ma_scrita una l(ette)ra ne la quale mavisa le face(n)de | aveva da_far(e) con V. S. eser(e) im_bon_porto (et) quasi espedite inpetialita | la legation(e) ch(e)

148

de_quasi espedita dele qual cose o_pilgliato tancto piacer(e) et | consolation(e) qua(n)to se quella denovo lavesse facto cardinale, p(er) ch(e) sapiva | qua(n)to disiderio naviva sua Rma S. (et) p(er) ch(e) V. S. po_eser(e) certissima apresso || de saper(e) quella star(e) ben(e), ch(e) questo supera ongn(e) mio piacer(e) no(n) posso intender(e) | cosa me sia piu grata ch(e) intender(e) sua S. stia contencta; del ch(e) baso umi|lmente lipiedi de V. S. acomula(n)do questi coli_altri infiniti benifitii re|ceputi da quella prega(n)do dio la retrebuischa p(er) me in_dargli vita longa (et) | con filicissimo stato secu(n)do el suo desiderio p(er) ch(e) io nollo posso retrebuir(e) || daltro ch(e) duna sincera (et) fidelissima fe la quale finch(e) lo spirito rengn(e)|ra in queste miser(e) membra sempr(e) stara vigila(n)te in far cosa gli sia | grata como lespirientia del tucto lo certificara(n)do149 (et) p(er) no(n) tediarlo no(n) saro | piu longa se no recoma(n)darm(e) ad quella con tuctol core. scrita impesaro (et)

de mia propri150 manu a_di x d(e) giungno 1494. D. V. S. indengna s(er)va (et) schiava

ch(e) li piedi ve basa. J.

[sul verso]: Al mio unicho signore

[GF ff. 19r e 20r151] Giulia Farnese ad Alessandro VI (Gradoli, 14 [agosto152] 1494)

Patr(e) s(an)to baso umilme(n)te lipedi de v(ost)ra B. p(er) aver(e) auta | Mo mio Revmo nova ch(e) elveschovo darimine e_stato amaza|to153 et recordandom(e) io quella p(er) sua umanita piu (et) piu | volte capromesso154 acaschando el caso dalcuno veschovato || nevoliva investir(e) el cardinal(e) mio atencto la sua est|rema necesita ch(e) fim_mo155 gli_e_piu presto debito ch(e) altra|mencte156

149

el capello como la s(anti)ta v(ost)ra e_piname(n)te inform|ata. E_daveno io alpresente inteso questo me parso p(er) que|sta mia recordarlo a_la s(anti)ta v(ost)ra (et) supricarla volglia || far(e) secundo le sue promesse (et) secundo e_mia ferma spe|ranza ne la v(ost)ra B. ch(e) a_vendoce quella facto el piu | delevarce da la terra ancho usque in_fine volglia | p(er)severar(e) in_esaltarce, certifica(n)dola tucte le n(ost)re esa|ltation(e) sera(n)do colocati a_li schiavi de v(ost)ra B. ala qua|| le umilme(n)te me_r(e)coma(n)do (et) p(er) la presia del portator(e) no(n) | so piu longa como seria stato mio desiderio ma como | me_acaschara scrivero ad quella. Graduli die xiiij | (et) ador(e) 3 de nocte 1494

D. V. S. indeng(n)a schiava

J. m. p(ro)p(r)ia

[f. 20r] poscrita. P(er) ch(e) la S. v(ost)ra me_scrive esorta(n)dom(e) molto a far(e) | quello ch(e) de mio debito de_atender(e) alonesta alla quale no(n) | fo resposta alongo p(er) ch(e) de talcose volglio lefecto sia quello | ch(e) responda; si ch(e) sia certissima la s. v(ost)ra ch(e) io si p(er)_lonor || mio (et) si peramor(e) de quella la nocte el di nono157 da pensar(e) | in_al_tro ch(e) immostrar(e) deser(e) una santa caterina_se | fuse posibile. Et massim(e) esendo <e> in_efecto como | ma Joanna158 (et) anchora M(e)s(ser) Francescho159 ne_pora render(e) | bona testimonianza, el_quale se porta tancto bene (et) con || tancta diligensia ch(e) invero no(n) saria posibile a_dirne | tancto qua(n)to inefecto ne si ch(e) la S. v(ost)ra labia p(er) | recoma(n)dato ch(e) sangironimo no(n) credo fuse melglio de lui | donesta (et) quello a_da_far(e) p(er) lui sesforzi farlo presto p(er) ch(e) | ne_fara ad nui gr(ati)a (et) alla Sta v(ost)ra sera s(er)vitio ch(e) in || vero el merita.

s(er)va J. m. p(ro)p(r)ia

[sul verso]: S.D. N. PP.

[AM f. 24r160] Adriana Mila ad Alessandro VI (Capodimonte, 19 ottobre 1494)

Beamo patre baso li pedi de v(ost)ra S.te miss(er) Fran(ces)co161 scrive largame(n)te in_q(ue)llo | ch(e) stamo ala Ste v(ost)ra, sich(e) suplico quella ce voglia pigliar

150

lo | indrio sicu(n)do p(er) lo arcedino162 scripsimo p(er) ch(e) non havimo piu | scusa de trobar \con orsino/ (et) quella ce mande angelo domane. No(n) altro || baso li pedi ala S. v(ost)ra. De Capo de Mo(n)te domi.ca adi xviiij de

octobr(e) a hore xvij

De v(ost)ra beane schiava

A. Milana

[sul verso]: S.mo D. N. pape

[AM f. 25r163] Adriana Mila ad Alessandro VI (Capodimonte, 7 novembre [1494])

Beamo patre S.to baso li pedi de v(ost)ra S.te Io scrivo a Jeronimo algune cose | che adesso ultimame(n)te o sentito (et) me fanno star(e) de mala voglia. Supli-|co la Ste v(ost)ra se degne dar(e)li fede q(ua)nto ala p(er)sona mia p(ro)pria (et) quella | p(er) amor dedio proveda atutto_l bisognia opportuname(n)te (et) presto. No(n) altro || si_no(n) ch(e) J164. et io ce ricoma(n)damo continuame(n)te ali_pedi de v(ost)ra Ste | et Angelo anchora (et) informato de molte cose, che a_boca dira a_quella | de Capo de Mo(n)te a di vij de nove(m)bro a doi hore de nocte vel circa

De v. Bea.ne

serva

A. milana

[sul verso]: S.mo d:no n:o pp.

[AM f. 26r] Adriana Mila ad Alessandro VI (Pesaro, 10 giugno 1494)

Beamo p(atr)e baso li pedi ala Sta v. Domenica ch(e) fo ali octo del p(rese)nte ad hora tarda arrivam(m)o | in Pesaro co(n) grandissima copia de acqua, laq(ua)le cosa fo causa de disturbo de molta festa; | pure co(n) tucto cio ne forono facte assai. La terra e molto bella, le don(n)e secondo | la terra son(n)o assai be(n) in ordine, lo palazo dove stamo e assai bello et capace, || lo s(ign)or Johan(n)i ce fa tante careze q(ua)nto sia possibile possere fare; pure lo desiderio | mio e co(n)tinuame(n)te et no(n) penso in altro si no(n) esser(e) adpresso ala S.ta v. et viver(e) | socto lombra deq(ue)lla et essendo cq(ui) absente da la v. Bea.ne me par(e) star(e) in | capo del mondo. Heri intesi ch(e) lo cancellieri mio haveva

151

la peste; hon(n)e hauta | grande pena p(er)ch(e) era uno degnio s(er)vitor(e). Io supp(li)co la Sta v. tanto q(ua)nto posso || ch(e) quella se voglia partire da Roma et non voglia p(er) niente star(e) in quessi | p(er)icoli, advisando q(ue)lla ch(e) mai starrimo de bona voglia q(ua)n(do) sentiamo la v. Beane | co(n)tinuar(e) la stantia de Roma p(er)ch(e) intendo le cose tucta di165 andar(e) de male in | peggio. Deq(ue)ste don(n)e la Sta v. stia de_bona voglia et reposata p(er)ch(e) stan(n)o secondo | lordine dato p(er) la v. Beane et co(n)tinuame(n)te stan(n)o insieme. Reco(m)mando tanto q(ua)nto || posso ala Sta v. le faccende del Car(dina)le et del s(ign)or Ang(e)lo166. Havem(m)o heri una l(ette)ra | dalo p(re)fato Car(dina)le dove ce scrive la bona co(n)clusione facta cola v. Beane dele | faccende sue, delch(e) tucte ne havemo pigliato grandissimo piacer(e) et basamone | li pedi ala Sta v. Orsino ancora reco(m)mando ala S.ta v. quale supp(li)co | se voglia degnar(e) mandar(e) qualch(e) cavallero deli soi ad_cio possiamo scrivere || adposta. Don(n)a Lucretia et Giulia co(n)tinuame(n)te basano li pedi ala Sta v. Pisauri

x Junij Mcccc Lxxxxiiij167

De_la. v. Sta.

schiava et serva ch(e) li basa

li pedi Adriana Mila

[sul verso]: Sant.mo d(omi)no n(ostr)o pape

[AM f. 27r] Adriana Mila ad Alessandro VI (Capodimonte, 15 ottobre 1494)

Beamo patre dapoi basati li pedi de v(ost)ra s.te. Sera arivai et dio sa q(ua)nto | stracha. Io o parlato con mo(n). s(ign)or lo Car(dina)le168 (et) ditoli apieno q(ua)nto v(ost)ra | B.ne me_dixe e romase tanto mal conte(n)to ch(e) io sia tornata con_q(ue)sta | resolution(e) (et) sensa altra conclusion(e) ma ch(e) questo partito abia ire so-|| pra le spalle dela s(ignoria)169 sua ch(e) non lo poria scriver(e) et si dio me guarde | la s. v(ost)ra ch(e) la s. sua voria som(n)iar de far(e) cosa ch(e) ve piagia et | ch(e) no(n) lo laxa se non p(er) vergognia del honor(e), ch(e) par li sia grandiss(im)o | ma(n)came(n)to venir(e) en roptura con Orsino p(er) simile cosa cosi scupertame(n)te | p(er) ch(e) dice conoxe lo cervello de Orsino ch(e) tutto lo mu(n)do ne in-|| pieria (et) irialo difama(n)do, avisando la ste v(ost)ra

152

ch(e) mentre so stata | in Roma, questi pochi di, ha usata tanta inportunitate Orsino che | gia no(n) sanno ch(e) scusa piu se pigliar(e), sich(e) suplico la Bene v(ost)ra p(er) con- || solation(e) sua et de tutti noialtri como signore de tutti, (et) ch(e) tutto potete, | ce pigliate qualch(e) partito (et) presto. Miss(er) Fran(ces)co170 ha inteso piu a pieno || el parlar(e) de mo(n). s(ign)or e credo de tutto abia data notitia ala S v(ost)ra | et maxime de far(e) venir Orsino ala s.te v(ost)ra (et) con Virgi(ni)o171 asentar | q(ue)sta cosa; suplico la ste v(ost)ra y voglia dar(e) bona (et) p(re)sta conclusion(e), | ali pedi dela quale lo Car(dina)le, Julia (et) io de co(n)tinu172 ce ricoma(n)damo.

de Capo de Monte a di xv de octobr(e)

De v(ost)ra Beane humile servitrice

A. Milan(a)

[sul verso]: S.mo D. N. pp:e

1 A Ugo Vignuzzi, che ha riletto larticolo, va il mio pensiero sempre grato per gli insegnamenti ricevuti.

2 Vd. per brevità il quadro teorico e bibliografico in R. Fresu, «Il gender nella storia linguistica italiana (1988-2008)», Bollettino di italianistica, n.s., V/1, 2008, p. 86-111 [ora in Ead., Lingua italiana del Novecento. Scritture private, nuovi linguaggi, gender, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008, p. 173-200], in partic. a p. 101-107 in cui si evidenzia come proprio il Rinascimento (insieme allOttocento) costituisca uno dei periodi maggiormente rappresentati negli interventi linguistici sulle scritture femminili, e non a caso, dal momento che in esso si riconosce una delle principali fasi di codificazione nella nostra storia linguistica, durante la quale si registrano avanzamenti culturali anche dagli strati bassi. Unanaloga prospettiva è già presente nei saggi raccolti in P. Trifone, Rinascimento dal basso: il nuovo spazio del volgare tra Quattrocento e Cinquecento, Roma, Bulzoni, 2006 (con simile angolazione, seppure da presupposti diversi, già A. Petrucci, «Scritture marginali e scriventi subalterni», Ai limiti del linguaggio. Vaghezza, significato e storia, a cura di F. Albano Leoni et alii, Roma-Bari, Laterza, 1998 [1997], p. 311-319, in partic. p. 313-314 per la situazione in Italia tra XV e XVI secolo). A proposito della specificità femminile dellattività epistolare dobbligo il rinvio a Per lettera. La scrittura epistolare femminile tra archivio e tipografia secoli XV-XVII, a cura di G. Zarri, Roma, Viella, 1999 (ma la questione riemerge anche nellexcursus tracciato in A. Petrucci, Scrivere lettere. Una storia plurimillenaria, Roma, Laterza, 2008); sulla scrittura epistolare femminile vd. anche la bibliografia indicata in Fresu, «Il gender nella storia linguistica italiana (1988-2008)», p. 102 n. 57, di cui, per lepoca che si affronterà in questa sede, almeno M. L. Doglio, Lettera e donna. Scrittura epistolare al femminile tra Quattro e Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1993 (e, anche, Ead., Larte della lettera. Idea e pratica della scrittura epistolare tra Quattro e Seicento, Bologna, il Mulino, 2000). Per gli argomenti che qui si tratteranno è particolarmente pertinente la monografia di M. G. Nico Ottaviani, «Me son missa a scriver questa letera…». Lettere e altre scritture femminili tra Umbria, Toscana e Marche nei secoli XV-XVI, Napoli, Liguori, 2006, dedicata alla scrittura (non solo epistolare) delle donne di ceto medio-alto, di area centrale e mediana (mentre per un quadro della scrittura femminile nel Regno di Napoli in età moderna si rinvia a E. Novi Chavarria, Sacro pubblico e privato. Donne dei secoli XV-XVIII, Napoli, Guida, 2009). Esula dal nostro discorso la scrittura letteraria, sulla quale pure si dispone ora di una buona messe di studi: vd. almeno V. Cox, Womens Writing in Italy (1400-1650), Baltimore MD (US), Johns Hopkins University Press, 2008, e, della stessa autrice, con partic. riferimento allepoca della Controriforma, Prodigious Muse: Womens Writing in Counter-Reformation Italy, Baltimore MD (US), Johns Hopkins University Press, 2011; con taglio anche linguistico vd. inoltre gli articoli contenuti nella III sezione (Donne e scrittura), nel volume Scrivere il volgare fra Medioevo e Rinascimento, Atti del Convegno di Studi, Siena, 14-15 maggio 2008, a cura di N. Cannata e M. A. Grignani, Pisa, Pacini, 2009, p. 123-181 (con approfondimenti specifici su Isabella Morra e Vittoria Colonna); e, ancora, panoramiche generali, come ad es. quella di M. Farnetti, «Il canto del tordo. Uno sguardo dinsieme sulla lirica femminile del Rinascimento», contenuto in Voci e figure di donne. Forme della rappresentazione del sé tra passato e presente, a cura di L. Fortini e M. Sarnelli, Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 2012, p. 113-130. Ulteriore bibliografia è citata a. p. 110, n. 1.

3 Cf. L. Miglio, Governare lalfabeto. Donne, scrittura e libri nel Medioevo, Roma, Viella, 2008, in partic. p. 11-18. Scorci teorici e dati bibliografici sul binomio donna/scrittura nel Medioevo si ricavano, seppure indirettamente, in R. Fresu, «La rappresentazione della donna attraverso la lingua degli scritti di s. Caterina da Siena e il problema del gender nei testi antichi», La donna negli scritti cateriniani. Dagli stereotipi del tempo allinfaticabile cura della vita, a cura di D. Giunta, Firenze, Nerbini, 2011 [Quaderni cateriniani 3], p. 93-132 (sulla figura della Benincasa, con specifico riferimento alla pratica epistolare, vd. anche Jane Tylus, Reclaiming Catherine of Siena: Literacy, Literature, and the Signs of Others, Chicago-London, The University of Chicago Press, 2009).

4 Considerazioni ribadite dalla studiosa anche nel suo «In corso di stampa. Governare lalfabeto. Donne, scrittura e libri nel Medioevo», Scrivere il volgare fra Medioevo e Rinascimento, p. 125-135, in partic. a p. 128.

5 Cf. P. DAchille, «Litaliano dei semicolti», Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni e P. Trifone [vol. I I luoghi della codificazione; vol. II Scritto e parlato; vol. III Le altre lingue], Torino, Einaudi, 1993-1994, vol. II, p. 41-79, in partic. a p. 66.

6 Vd. M. Trifone, Lingua e società nella Roma rinascimentale, I. Testi e scriventi, Firenze, Franco Cesati Editore, 1999. Dello stesso studioso, in analoga prospettiva, Le carte di Battista Frangipane (1471-1500), nobile romano e “mercante di campagna”, Heidelberg, Universitätsverlag C. Winter, 1998 [= Studia Romanica, 93], in partic. p. 43-48.

7 Vd. P. Trifone, «Storia della lingua e storia sociale: il nodo dellalfabetismo», Storia della lingua e storia, Atti del II Convegno ASLI, Catania, 26-28 ottobre 1999, a cura di G. Alfieri, Firenze, Franco Cesati Editore, 2003, p. 25-41 [ora con il titolo Lalfabeto di classe. Professione, grafia e lingua, in Trifone, Rinascimento dal basso, p. 143-163].

8 Un primissimo panorama bibliografico sui processi di acculturazione delle donne, con specifico riferimento alla divergenza tra sessi, è disponibile in Fresu, «Il gender nella storia linguistica italiana (1988-2008)», p. 101 n. 54.

9 La questione è affrontata preliminarmente in R. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie” della scrittura femminile tra XV e XVI secolo: lettere private di Lucrezia Borgia e di Vannozza Cattanei», Contributi di Filologia dellItalia Mediana, 18, 2004, p. 41-82 [ora in Ead., Laltra Roma. Percorsi di italianizzazione tra dame, sante, popolani nella storia della città (e della sua regione), Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2008, p. 9-39], in partic. p. 46, e ripresa in R. Fresu, «Scritture dei semicolti», Storia dellitaliano scritto, a cura di G. Antonelli, M. Motolese e L. Tomasin, Roma, Carocci, 2014, 3 vol., vol. III, Italiano delluso, p. 195-223, in partic. § 2, p. 208-209.

10 Per lelenco dei principali tratti distintivi si rinvia a Fresu, «Scritture dei semicolti», § 3, p. 209-217.

11 Riflessioni e bibliografia circa la difficoltà di inquadrare la gradualità della scrittura femminile sono disponibili in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 41 (e poi anche in Ead., «Il gender nella storia linguistica italiana (1988-2008)», p. 103-104).

12 Sui percorsi educativi femminili tardo-medievali e rinascimentali e sulla condizione sociale e il ruolo della donna tra XV e XVI secolo si rinvia per brevità alla bibliografia indicata in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 47 n. 23, integrata con la puntuale sintesi relativa alle dinamiche di acculturazione femminile, specificatamente per la Toscana, dei secoli XV-XVI offerta in Nico Ottaviani, «Me son missa a scriver questa letera…», p. 3-16, e per il dominio centro-meridionale con le indicazioni reperibili in Novi Chavarria, Sacro pubblico e privato, che si sofferma diffusamente sulle modalità di alfabetizzazione femminile, anche in ambito conventuale (come precisa la recensione al volume di G. Frosini, «Scrittura epistolare al femminile. In margine al libro di Elisa Novi Chavarria», Sacro pubblico e privato. Donne dei secoli XV-XVIII, Napoli, Guida, 2009 », Giornale storico della letteratura italiana, CLXXXIX, 2012, p. 269-275, in partic. a p. 270 n. 4). Per leducazione femminile nei monasteri diversi rilievi sono rinvenibili in Miglio, Governare lalfabeto, in cui molte delle scriventi esaminate sono religiose (e in una prospettiva generale anche fuori dai confini nazionali, vd. la bibliografia indicata in S. Evangelisti, Storia delle monache: 1450-1700, traduzione di Monica Borg, Bologna, il Mulino, 2012 [ediz. orig. 2007, Nuns. A History of Convent Life 1450-1700, Oxford-New York, Oxford University Press, 2007], p. 229 n. 6). Utile poi la monografia di H. Sanson, Donne, precettistica e lingua nellItalia del Cinquecento. Un contributo alla storia del pensiero linguistico, Firenze, Accademia della Crusca, 2007, dedicata al rapporto tra le donne e la lingua nel Cinquecento, che offre a p. 146-154 e p. 166-169, ragguagli relativi allistruzione femminile rinascimentale (della stessa studiosa vd. anche Women, Language and Grammar in Italy, 1500-1900, Oxford, Oxford University Press, 2011, in partic. la prima parte del volume a p. 21-125). E ancora, T. Plebani, Il «genere» dei libri. Storie e rappresentazioni della lettura al femminile e al maschile tra Medioevo ed età moderna, Milano, Franco Angeli, 2001 propone un affascinante excursus sulla storia del libro tra tardo Medioevo ed età moderna, che, pur non essendo di taglio storico-linguistico stricto sensu, offre tuttavia numerosi spunti per inquadrare il conflittuale rapporto delle donne con le attività di lettura e scrittura (in partic. a p. 186-213 per la pratica quotidiana, con specifico riferimento alla dimensione epistolare). Sul sistema scolastico rinascimentale impossibile non richiamare P. F. Grendler, La scuola nel Rinascimento italiano, Roma-Bari, Laterza, 1991 [ed. orig.: Schooling in Renaissance Italy: Literacy and Learning 1300-1600, The Johns Hopkins University Press, 1989], per la dimensione femminile in partic. p. 97-120, di cui le p. 107-111 dedicate alla situazione nei monasteri e, con diversa prospettiva, i contributi di Robert Black, di cui cf. almeno «Le scuole e la circolazione del sapere», Umanesimo ed educazione, a cura di G. Belloni e R. Drusi, Treviso, Fondazione Cassamarca, Costabissara (Vicenza), Angelo Colla Editore, 2007, vol. 2, p. 287-307 [fa parte di Il Rinascimento italiano e lEuropa, diretto da G. L. Fontana e L. Molà] e, anche, «Education and Society in Tuscany from the 13th to the 15th Century», Saperi a confronto nellEuropa dei secoli XIII-XIX, a cura di M. P. Paoli, Pisa, Edizioni della Normale, 2009, p. 3-26 (sullalfabetizzazione in Italia vd. anche N. Riverso, Alfabetizzazione e umanesimo nellItalia dei secoli XIV e XV, Gaeta, Bibliotheca, 1997; ulteriori riferimenti bibliografici si ricavano inoltre dalla recente rassegna offerta in M. Ferrari e F. Piseri, «Scolarizzazione e alfabetizzazione nel Medioevo italiano», Reti Medievali Rivista, 14, 1, 2013, p. 315-350 <http://rivista.retimedievali.it>); per il tipo di varietà insegnata e per le tecniche di apprendimento della lettura e della scrittura, anche relativamente a una didattica in ambito familiare, si rinvia rispettivamente a N. De Blasi, «Litaliano nella scuola», Storia della lingua italiana, vol. I., p. 383-423, in partic. p. 385-397, e a T. Matarrese, «Alle soglie della grammatica: imparare a leggere (e a scrivere) tra Medioevo e Rinascimento», Studi di Grammatica Italiana, 18, 1999, p. 233-256.

13 Cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 42-43.

14 ASV, Archivum Arcis, Arm. I-XVIII 5027. Ringrazio lintero staff dellArchivio Segreto Vaticano e in modo particolare il prof. Giovanni Castaldo e il dott. Alfredo Tuzi.

15 Vd. G. Gasca Queirazza, Gli scritti autografi di Alessandro VI nel fondo Vaticano «Archivum Arcis». Studio intorno alla lingua, Torino, Rosenberg & Sellier, 1959 [n. 3 dei Quaderni di filologia romanza].

16 Tra le molte disponibili vd. almeno M. Bellonci, Lucrezia Borgia, Milano, Mondadori, 1939 [si cita dalledizione del 1989], p. 73-93 (e relative note documentarie a p. 575-578); G. Chastenet, Lucrezia Borgia. La perfida innocente, Milano, Mondadori, 1995 [ed. orig. Lucrèce Borgia, Paris, Éditions Jean-Claude Lattès, 1993], p. 79-90; R. Zapperi, «Farnese, Giulia», Dizionario Biografico degli Italiani (DBI), Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani, vol. 45, 1995, p. 99-102, a p. 100; A. Spinosa, La saga dei Borgia. Delitti e santità, Milano, Mondadori, 1999, p. 149-150.

17 Notissima, e frequentemente citata dalle fonti, la missiva autografa di Alessandro VI, datata 22 ottobre 1494, destinata a Julia ingrata et perfida, come recita il tuonante incipit, ma indirettamente rivolta anche contro la ingratissima madama Adriana (la trascrizione della lettera è già in L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, Supplemento ai Volumi I e III secondo lultima edizione tedesca, a cura di A. Mercati, Roma, Desclée & C.i editori pontifici, 1931, p. 495 [Arm. 15, C. 12, n. 8, p. 28].

18 La citazione è tratta da Zapperi, «Farnese, Giulia», p. 100. Oltre alledizione Pastor, Storia dei papi, p. 472-473 (vd. oltre p. 121, n. 2), la lettera, come detto notissima, è parzialmente trascritta in F. V. Garín Llombart, «Alessandro VI a Roma: cultura e committenza artistica», I Borgia, Catalogo della Mostra (Roma, Fondazione Memmo, 3 ottobre 2002-23 febbraio 2003), Milano, Electa, 2002, p. 119-179, a p. 137; brevissimi stralci anche in Bellonci, Lucrezia Borgia, p. 76-77 e Chastenet, Lucrezia Borgia, p. 82. Grossolano scambio di persone, invece, in S. Bradford, Lucrezia Borgia. La storia vera, Milano, Mondadori, 2006, secondo la quale a scrivere la famosa missiva del 10 giugno sarebbe stata una certa Giulia dAragona della numerosa famiglia reale di Napoli, appartenente al seguito della Borgia (a p. 42, e così anche nelledizione originale: S. Bradford, Lucrezia Borgia: Life, Love and Death in Renaissance Italy, London, Penguin, 2004, p. 374), e di conseguenza il fratello prelato di cui si parla nella lettera sarebbe il cardinale Luigi dAragona (si tratta invece di Alessandro Farnese); ancora erroneamente, a p. 43, la storica attribuisce ad Adriana la richiesta di concedere il vescovato di Rimini al “fratello” (si tratta in realtà della lettera del 14 agosto 1494 vergata da Giulia Farnese da Gradoli, ff. 19r e 20r). A fugare ogni dubbio basti pensare che, secondo le fonti, Giulia DAragona, figlia del re di Napoli Federico I e di Isabella del Balzo, e nipote di Carlo V (sempre che a lei Bradford si sia riferita), nellanno in cui è stata vergata la lettera aveva allincirca due anni.

19 Vd. A. La Bella e R. Mecarolo, La Venere papale, Valentano, Scipioni, 1995; Zapperi, «Farnese, Giulia», p. 100; Garín Llombart, «Alessandro VI a Roma», p. 137.

20 Molto nutrita (e non sempre di taglio strettamente scientifico) la letteratura di riferimento relativa alla figura della giovane Farnese: mi limito qui a segnalare almeno C. Fornari, Giulia Farnese. Una donna schiava della propria bellezza, [Parma], Fondazione Monte di Parma; Parma Silva editore, 1995; La Bella e Mecarolo, La Venere papale; Zapperi, «Farnese, Giulia»; N. Ruspoli, Giulia Bella Farnese. La viaggiatrice del tempo, Milano, Lampi di stampa; [Roma], Libuk, 2003; M. Addis Saba, La Farnesina: Giulia Farnese e papa Borgia, Ancona, Affinità elettive, 2010 (qualche ragguaglio anche in Bellonci, Lucrezia Borgia, p. 37-39; Spinosa, La saga dei Borgia, p. 133; Garín Llombart, «Alessandro VI a Roma », p. 137). Sulla famiglia Farnese, inoltre, vd. E. Del Vecchio, I Farnese, Roma, Istituto di studi romani, 1972 ed E. Nasalli Rocca, I Farnese, Milano, Tea, 1997 [Milano, DallOglio, 19691; Milano, Corbaccio, 19952], in partic. p. 24-32 per gli eventi che qui interessano. Utili spunti sono reperibili anche in P. Rosini, Viaggio nel Rinascimento tra i Farnese e i Caetani, Roma, 2005-2006 [volume consultabile on line allindirizzo www.superzeko.net/doc_patriziarosini/PatriziaRosiniViaggioNelRinascimentoTraIFarneseEdICaetani.html], in partic. p. 36-41, cui si rinvia soprattutto per il rapporto tra Giulia e gli ambienti artistici rinascimentali. Sul fenomeno del concubinato rinascimentale, e sui complessi legami familiari del clan Borgia, fa il punto il volume di K. Lawe, Vannozza de Cattanei och påven Alexander VI. En renässanspåvefamilj i relation till samtidens och eftervärldens syn på celibat, prästäktenskap/konkubinat och prästbarns rättsliga och sociala ställning, Stockholm, Almquist & Wiksell International, 1997 [Bibliotheca Theologiae Practicae, Kyrkovetenskaplige studier, 58], precipuamente dedicato a Vannozza, ma con molte notizie anche sulle altre relazioni (quella con la giovane Farnese in partic. a p. 111) e con una ricca bibliografia sui Borgia e sulla loro epoca.

21 Notizie indirette sulla figura di Adriana si recuperano in Bellonci, Lucrezia Borgia, p. 36-37; Chastenet, Lucrezia Borgia, p. 25-26 e p. 37; Zapperi, «Farnese, Giulia», p. 99; Spinosa, La saga dei Borgia, p. 120-121 e p. 133.

22 Cf. Bellonci, Lucrezia Borgia, p. 75-77 (a p. 75 il riferimento alla bellezza); Chastenet, Lucrezia Borgia, p. 81-82 e p. 87; Bradford, Lucrezia Borgia, p. 42-44 (ledizione integrale del f. 2rv vergato da Lucrezia, contenente la descrizione di Caterina, è ora in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 69-70). Sulla casata dei Gonzaga, in generale, vd. almeno G. Coniglio, I Gonzaga, Milano, DallOglio, 1967, in partic. p. 152-173 per gli eventi grosso modo coevi alle lettere e per i rapporti con i Borgia e p. 482-485 per notizie sul ramo minore di Castiglione delle Stiviere; vd. anche A. Murgia, I Gonzaga, Milano, Mondadori, 1972; nello specifico, inoltre, vd. M. Marocchi, I Gonzaga di Castiglione delle Stiviere. Vicende pubbliche e private del casato di San Luigi, Verona, 1990, e ancora i saggi contenuti in Castiglione delle Stiviere: un principato imperiale nellItalia padana (secc. 16-18), a cura di M. Marocchi, Roma, Bulzoni, 1996.

23 Che Adriana in quellestate del 1494 fosse sessantenne sembra verosimile, ma non può essere considerato un dato sicuro, vista lincertezza sullanno della sua nascita. In ogni caso però si tratta di uninformazione sufficientemente indicativa per collocare la cugina del papa in una fascia detà avanzata.

24 Cf. Bellonci, Lucrezia Borgia, p. 72-73; Zapperi, «Farnese, Giulia», p. 99; Rosini, Viaggio nel Rinascimento, p. 9.

25 Anche se è legittimo ritenere (in base alla bibliografia citata a p. 110, n. 1) che a questaltezza cronologica i canali di alfabetizzazione, e dunque le competenze scrittorie, per una donna (e non solo) fossero condizionati dal censo (e quindi dagli ambienti) piuttosto che da una variazione diagenerazionale. Nel caso specifico di Adriana, infatti, non è possibile prescindere dal clima culturale dellUmanesimo volgare allinterno del quale la nobildonna si era probabilmente formata.

26 Cf. P. Trifone, Roma e il Lazio, Torino, Utet, 1992, p. 6 che parla di una «tendenziale koinè romaneggiante già nel tardo Medioevo», accentuatasi sempre più nel periodo rinascimentale. Sulle complesse vicende storiche del romanesco rinascimentale conviene rimandare a U. Vignuzzi, «Italienisch: Areallinguistik VII. Marche, Umbrien, Lazio / Aree linguistiche VII. Marche, Umbria, Lazio», Lexikon der Romanistischen Linguistik (LRL), vol. IV, Italienisch, Korsisch, Sardisch (Italiano, Corso, Sardo), Hrsgg. G. Holtus, M. Metzeltin, Ch. Schmitt, Tübingen, Niemeyer, 1988, p. 606-642, a p. 633-634; Id., «Il volgare nellItalia mediana», Storia della lingua italiana, vol. III, p. 329-372, in partic. p. 362-364, e Id., «Marche, Umbrien, Lazio», Lexikon der Romanistischen Linguistik (LRL), vol. II, 2, Die einzelnen romanischen Sprachen und Sprachgebiete vom Mittelalter bis zur Renaissance, Hrsgg. G. Holtus, M. Metzeltin, Ch. Schmitt, Tübingen, Niemeyer, 1995, p. 151-169, in partic. a p. 161-162, e, ora, le sintesi aggiornate offerte in P. DAchille, «Il Lazio», I dialetti italiani: storia, struttura, uso, a cura di M. Cortelazzo, C. Marcato, N. De Blasi e G. P. Clivio, Torino, Utet, 2002, p. 515-567, in partic. p. 516-520 e p. 524-530, e P. Trifone, Storia linguistica di Roma, Roma, Carocci, 2008, p. 35-59. È impossibile tuttavia non ricordare alcuni fondamentali interventi come quello di M. Mancini, «Aspetti sociolinguistici del romanesco nel Quattrocento», RR. Roma nel Rinascimento, 1987, p. 38-75, con successive puntualizzazioni in Id., «Nuove prospettive sulla storia del romanesco», “Effetto Roma”. Romababilonia, Roma, Istituto Nazionale di Studi romani - Bulzoni, 1993, p. 9-40; P. Trifone, «La svolta del romanesco tra Quattro e Cinquecento», Studi in memoria di Ernesto Giammarco, Pisa, Giardini, 1990, p. 425-452; M. Palermo, «Fenomeni di standardizzazione a Roma nel primo Cinquecento», Contributi di Filologia dellItalia Mediana, 5, 1991, p. 23-52 (altri importanti contributi relativi al dibattito sulle varietà in uso nella Roma rinascimentale sono citati in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 45 n. 13). A un romanesco “di tipo medio” già accenna U. Vignuzzi, Il Glossario latino-sabino di Ser Iacopo Ursello da Roccantina, Università per Stranieri, Perugia 1984, p. 23-25 con unapplicazione posteriore ai trattati di S. Francesca Romana.

27 Cf. Vignuzzi, «Il volgare nellItalia mediana», p. 367-368 (e Id., «Marche, Umbrien, Lazio», p. 163-164), cui si rinvia per la situazione dei volgari medievali dellarea; rimane comunque fondamentale il contributo sullorvietano e il viterbese di S. Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», Studi Linguistici Italiani, 3, 1962, p. 3-175; vd. anche Testi viterbesi dei secoli XIV, XV e XVI secolo, a cura di P. Sgrilli, postfazione di A. Stussi, Viterbo, Sette città, 2003. Specifici riscontri, grosso modo omogenei alle nostre lettere sia arealmente sia per genere testuale, sebbene posteriori di qualche decennio, sono rintracciabili nel contributo di M. Palermo, Il carteggio Vaianese (1537-39). Un contributo allo studio della lingua duso nel Cinquecento, Firenze, Accademia della Crusca, 1994, che esamina la corrispondenza ricevuta dallorvietano Alessandro Vaianese (alle dipendenze, peraltro, dei Farnese) durante il suo soggiorno romano. Un inventario dei principali tratti delle parlate laziali è in DAchille, «Il Lazio», p. 520-524. Utili riscontri (anche con la situazione attuale), inoltre, si possono ricavare dal profilo tracciato nelle pagine iniziali di L. Cimarra e F. Petroselli, Contributo alla conoscenza del dialetto di Canepina. Con un saggio introduttivo sulle parlate della Tuscia viterbese, Amministrazione Comunale di Canepina, Amministrazione Provinciale di Viterbo, Civita Castellana, Tipografia Punto Stampa, 2008, in partic. p. 27-110 (e in parte anche dalla sintesi introduttiva in La regione invisibile. Poesia e dialetto nel Lazio: Tuscia meridionale e campagna romana nord-occidentale, a cura di S. Graziotti e V. Luciani, presentazione di U. Vignuzzi, Roma, Edizioni Cofine, 2005, p. 7-19).

28 Linterferenza iberica nelle minute di Alessandro VI, anche in relazione alla questione delle origini della teoria cortigiana, è discussa in Gasca Queirazza, Gli scritti autografi di Alessandro VI, p. 35-41, e ripresa, con puntualizzazioni che ne correggono in parte rilievi e risultati, da Lore Terracini nella sua recensione al contributo di Gasca Queirazza, apparsa su Archivio Glottologico Italiano, XLIV/2, 1959, p. 186-191 (ma sulle lettere del Borgia vd. anche R. Drusi, La lingua cortigiana romana. Note su un aspetto della questione cinquecentesca della lingua, Venezia, Il Cardo, 1995, p. 146-147). Alla presenza del catalano nella corte romana è dedicato M. Batllori, «El català, llengua de cort a Roma durant els pontificats de Calixt III i Alexandre VI», Actes del sisè col.loqui internacional de llengua i literatura catalanes (Roma 28 setembre - 2 octubre 1982), a cura di G. Tavani e J. Pinell, Montserrat, Publicacions de Abadia de Monteserrat, 1983, p. 509-521. Per i contatti con le varietà iberiche, e in partic. con il catalano, nel periodo preso in esame in questa sede, inoltre, vd. A. DAgostino, «Lapporto spagnolo, portoghese e catalano», Storia della lingua italiana, vol. III, p. 791-824, a p. 801-803 e nello specifico la bibliografia citata a p. 801 n. 39.

29 Cf. G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti.Fonetica. II Morfologia. III Sintassi e formazione delle parole, Torino, Einaudi, 1966-1969 [si citano i paragrafi; ed. orig. Historische Grammatik der Italienischen Sprache und ihrer Mundarten, I. Lautlehre. II. Formenlehre und Syntax. III. Syntax und Wortbildung, Bern, A Francke AG, 1949-1954], rispettivamente §§ 158, 182 e 156; S. Balducci, «Le Marche», I dialetti italiani: storia, struttura, uso, p. 452-484, a p. 455.

30 Cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 280.

31 Riguardo al graduale passaggio da una lingua padana due-trecentesca alla stabilizzazione di un modello sovraregionale che confluisce verso il toscano rimangono fondamentali le ricognizioni sui testi lombardi condotte da Ghino Ghinassi, ora raccolte nel volume sul volgare mantovano curato da P. Bongrani, Dal Belcalzer al Castiglione. Studi sullantico volgare di Mantova e sul Cortigiano, Firenze, Olschki, 2006 (ma vd. anche P. Bongrani e S. Morgana, «La Lombardia», Litaliano nelle regioni. Lingua nazionale e identità regionali, a cura di F. Bruni, Torino, Utet, 1992, p. 84-142, in partic. p. 99-105; sulla koinè cancelleresca e civile nella Mantova dei Gonzaga importanti anche i rilievi di A. Stella, «La Lombardia», Storia nella lingua italiana, vol. III, p. 153-212, a p. 184-190). Considerata la permanenza della Gonzaga nei territori “metauro-pisaurini” sarà opportuno tenere presente almeno le panoramiche storico-linguistiche di Vignuzzi, «Italienisch: Areallinguistik VII. Marche, Umbrien, Lazio / Aree linguistiche VII. Marche, Umbria, Lazio», in partic. p. 608-609 e p. 628-630, e Id., «Marche, Umbrien, Lazio», p. 153-154 e p. 162-163); G. Breschi, «Le Marche», Litaliano nelle regioni, p. 462-506 (con testi analizzati in Id., «Le Marche», Litaliano nelle regioni. Testi e documenti, a cura di F. Bruni, Torino, Utet, 1994, p. 471-515); e ancora i contributi di Sanzio Balducci, tra cui almeno S. Balducci, «Le Marche», p. 452-484. Volendo individuare una corrispondente produzione femminile coeva e diatopicamente (quasi) coerente, ci si potrà utilmente servire dei riscontri offerti da A. Dejure, «Scrittura agiografica e umanesimo femminile: Il felice transito del beato Pietro da Mogliano di Camilla Battista Varano (1458-1522)», Contributi di Filologia dellItalia Mediana, 19, 2005, p. 69-128 [prima parte]; 20, 2006, p. 51-80 [seconda parte], dedicato alla lingua della Varano, alla cui formazione culturale umanistico-rinascimentale, derivatale dai nobili natali (e dalla sua frequentazione con la corte di Camerino, di cui era originaria, e con la vicina corte urbinate), si intreccia, rafforzandola, quella religiosa. Un ibridismo linguistico analogo a quello rintracciabile nelle lettere di Caterina Gonzaga viene registrato da T. Matarrese, «Ferrarese e napoletano nelle lettere di Eleonora dAragona», Lingue e culture dellItalia meridionale (1200-1600), a cura di P. Trovato, Roma, Bonacci, 1993, p. 203-208 negli autografi inviati nel 1477 da Eleonora dAragona al marito, sebbene in questo caso la divaricazione tra le varietà cortigiane (ferrarese e napoletano) appaia più accentuata per la maggiore distanza (ovviamente non solo geografica) dei due domini areali.

32 Cf. Vignuzzi, «Marche, Umbrien, Lazio», p. 152. Si ricordi, inoltre, con Breschi, «Le Marche», p. 479-484 che nel XV secolo si assiste in questarea allaffermarsi di un modello linguistico normativo orientato sul toscano colto (e sostenuto dal latino umanistico) sottoposto a sollecitazioni settentrionali ma con resistenze indigene molto modeste proprio a causa della mancanza di una effettiva identità culturale locale.

33 Sul concetto di varietà «media» nella Roma (pre)rinascimentale in rapporto agli scritti della Borgia e della Cattanei si rinvia alla discussione e alla bibliografia in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 44-47 (e in partic. p. 44 n. 11 e p. 46 n. 20). Vd. inoltre qui la bibliografia indicata a p. 117, n. 3.

34 Nello specifico Pastor, Storia dei papi trascrive le lettere (con la collocazione Arm. 15, C. 12, n. 8 seguita dal numero di pagina corrispondente a quello delle carte nelloriginale) come segue: lettere di Giulia Farnese ff. 18rv (Pesaro 10 giugno 1494) a p. 472-473 e ff. 19r-20r (Gradoli 14 [agosto] 1494) a p. 483-484, quelle di Adriana Mila Orsini f. 24r (Capodimonte 19 ottobre 1494) a p. 494, f. 25r (Capodimonte 7 novembre 1494) a p. 498, f. 26r (Pesaro 10 giugno 1494) a p. 474-475, f. 27r (Capodimonte 15 ottobre 1494) a p. 491. Lo studioso inoltre cita, a p. 475 n. 2, anche le tre lettere autografe di Caterina Gonzaga (ff. 12r, 13rv, 14r).

35 Tralasciando le difformità dovute ai diversi criteri editoriali adottati, e limitandoci ai soli aspetti interpretativi e/o di rilevanza linguistica, nelle lettere della Mila lo storico legge scrivo invece di stamo AM24,2; sensa invece di scusa AM27,12; molte feste invece di molta festa AM26,2; normalizza i invece di li (pedi) AM26,1; un invece di uno (degnio servitore) AM26,9; questi invece di quessi AM26,10; ipercaratterizza suplicho invece di suplico AM24,2; lipedi invece di li pedi AM26,18; tuti invece di tutti AM27,13 (la seconda occorrenza del rigo) e tuto invece di tutto AM27,15; e ancora, nelle lettere della Farnese, corregge felicita invece di filicita GF18,30; felicissimo invece di filicissimo GF18,49; retribuischa invece di retrebuischa GF18,48; San Geronimo per sangironimo GF20,12; nissuno invece di nisuno GF18,30; possibile invece di posibile GF20,7; possa invece di posso GF18,30; sadisfactione invece di sadisfation(e) GF18,30; fin a mo invece di fim_mo GF19,6 e passim.

36 Nelledizione e negli esempi le carte sono citate con il loro numero dordine originale (anche se ciò, nel caso delle lettere di Adriana Mila, infrange la successione cronologica dei documenti); la prima cifra (preceduta dalle sigle GF e AM rispettivamente per Giulia Farnese e Adriana Mila) si riferisce al documento, la seconda al rigo (per semplicità a quello superiore nel caso di forme segmentate); la cifra tra parentesi tonde dopo il riferimento del rigo (senza spazio) indica il numero di occorrenze della forma nello stesso rigo; si omette lindicazione del recto/verso deducibile dalla numerazione dei righi.

37 Il commento linguistico che segue si avvale principalmente dei contributi ricordati a p. 117, n. 3 e, per larea viterbese a. p. 118, n. 1, integrati con il già citato Rohlfs, Grammatica storica, e con A. Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, vol. I. Introduzione, Bologna, il Mulino, 2000. Per congruenza areale e cronologica costituisce un significativo termine di riscontro lanalisi condotta in Trifone, Le carte di Battista Frangipane (oltre a Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 48-66). Per alcuni tratti specifici si è rivelato utile il confronto con i dati emersi da altri studi, tra cui in partic. E. Mattesini, «Scrittura femminile e riscrittura notarile nella Perugia del Quattrocento: le due redazioni del testamento di Maddalena Narducci (1476)», Contributi di Filologia dellItalia Mediana, 10, 1996, p. 81-167, e, anche, con M. Prada, La lingua dellepistolario volgare di Pietro Bembo, I. Grafia e ortografia. Note di fonetica e morfosintassi, Genova, Name, 2000. Di seguito lo scioglimento delle sigle utilizzate per citare i repertori lessicografici: DELIn: M. Cortelazzo e P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, 5 vol., Bologna, Zanichelli, 1979-1988; seconda edizione a cura di M. Cortelazzo e M. A. Cortelazzo, Il nuovo etimologico. DELI – Dizionario etimologico della lingua italiana, volume unico, con cd-rom, Bologna, Zanichelli, 1999 [da cui si cita]; GAVI: Glossario degli antichi volgari italiani, a cura di G. Colussi, Helsinki, [s.n.]; [poi] Foligno, Editoriale Umbra, 1983-2006, 32 vol.; GDLI: Grande Dizionario della Lingua Italiana, fondato da S. Battaglia, diretto da G. Barberi Squarotti, Torino, Utet, 1961-2002, 21 vol.; Supplemento, diretto da E. Sanguineti, ibid., 2004; 2009; Indice degli autori citati, a cura di G. Ronco, ibid., 2004; LEI: M. Pfister, Lessico etimologico italiano, Wiesbaden, Reichert, 1979- [e Germanismi, a cura di E. Morlicchio, ibid., 2000]; OVI: Banca dati dellitaliano antico dellOpera del Vocabolario Italiano, consultabile on line allindirizzo http://ovi.cnr.it (tra parentesi quadre lindicazione della stringa ricercata); TLIO: Tesoro della lingua italiana delle origini, consultabile on line allindirizzo http://tlio.ovi.cnr.it/TLIO/; per il romanesco Chiappini: F. Chiappini, Vocabolario romanesco, ed. postuma a cura di Bruno Migliorini, Roma, Leonardo da Vinci, 19331; con aggiunte e postille di Ulderico Rolandi, Roma, 19452; Chiappini, Roma 19673 [da cui si cita]; Ravaro: F. Ravaro, Dizionario Romanesco, Roma, Newton Compton, 1994; per le varietà iberiche: DEEH: V. García de Diego, Diccionario etimologico español e hispanico, Madrid, S.A.E.T.A., 1954 [Madrid, Espasa-Calpe, 19852]; DCEC: J. Corominas, Diccionario crítico etimológico de la lengua castellana, Bern, A. Francke AG., 1954-1957, 4 vol. [ora DCECH]; DCECH: J. Corominas e J. A. Pascual, Diccionario crítico etimológico castellano e hispánico, Madrid, Gredos, 1980-1991, 6 vol.; DCVB: A. M. Alcover e F. de B. Moll, Diccionari català-valencià-balear. Inventari lexical y etimològich de la llengua que parlen Catalunya espanyola y Catalunya francesa, el regne de València, les illes Balears y la ciutat dAlguer de Sardenya, en totes ses formes literarîes y dialectals, antigues y modernes, Palma de Mallorca, Moll, 1951-1968, 10 vol. [consultabile anche in edizione elettronica del 2001-2002 allindirizzo http://dcvb.iec.cat/]; DELCat: J. Corominas, Diccionari etimològic i complementari de la llengua catalana, amb la col.laboració de J. Gulsoy & M. Cahner, Barcelona, Curial Edicions Catalanes, Caixa de Pensions “La Caixa”, 1980-1991, 9 vol.; vol. X Suplement – Índex, ibid., 2001. Nella citazione dai dizionari la cifra che può seguire la sigla indica a quale accezione si fa riferimento, il numero in esponente segnala tra gli omografi quello di cui si tratta (ad es. GDLI2 3); quando non è stato possibile individuare la data precisa della fonte si indica lanno di morte dellautore preceduto da a. ante.

38 Qui anche la riduzione (fuori di accento) del dittongo, ovviamente di origine diversa in pinamente GF19,7 (nella Mila pieno AM27,2; AM27,14 e inpieria riempirebbe AM27,9).

39 Con influsso delletimo anche nel mantenimento consonantico della sorda.

40 Largamente attestato nei documenti medievali spogliati da Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 86.

41 Cf. almeno Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 86; Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 51; Mattesini, «Scrittura femminile e riscrittura notarile nella Perugia del Quattrocento», p. 100 n. 67 e bibliografia ivi indicata; Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, p. 375.

42 Cf. Trifone, Roma e il Lazio, p. 126, e Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 85, cui si rinvia per ulteriori riscontri e per la bibliografia relativa alla discussione sulla natura della forma (tra cui, nello specifico, T. Reinhard, «Umbrische Studien. I. Zum Vokalismus der Tonsilben», Zeitschrift für Romanische Philologie, LXXI, 1955, p. 171-235 [prima parte]; LXXII, 1956, p. 1-53 [seconda parte], in partic. parte I, p. 230-231).

43 Per il quale vd. anche oltre p. 133, n. 1.

44 Allipotesi dellestensione analogica dalla desinenza di 5a pers. ricorre Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 54, accogliendo la supposizione di Clemente Merlo secondo il quale la u della desinenza -ĒMUS di 4a pers. dellindicativo presente non produce metafonesi per effetto della sostituzione già nel latino volgare della desinenza -ĪMOS della IV classe alla II e III (per cui –ĒMUS > *MOS): cf. C. Merlo, «Gli italiani “amano”, “dicono” e gli odierni dialetti umbro-romaneschi», Studi Romanzi, 6, 1909, p. 69-83, a p. 81 (ripreso anche in C. Merlo, Fonologia del dialetto di Sora, Pisa, Mariotti, 1920, p. 128 [cito dalla rist. anast. Bologna, Forni, 1978]). Sullestensione delle forme di 5a pers. con i tonica cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 7 e § 531. Lipotesi dello scambio di morfema con la IV classe (con riferimento a simili forme in altro dominio geolinguistico) è in U. Vignuzzi, «Il volgare degli Statuti di Ascoli Piceno del 1377-1496 », LItalia dialettale, XXXVIII, 1975, p. 90-189 [prima parte]; XXXIX, 1976, p. 93-228 [seconda parte], I, a p. 145. Un paio di forme con i si riscontra anche nel testamento della perugina Maddalena Narducci (cf. Mattesini, «Scrittura femminile e riscrittura notarile nella Perugia del Quattrocento», p. 100).

45 Riscontri diacronicamente e arealmente pertinenti in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 51 n. 40; diversi esempi anche nellepistolario volgare di Bembo (cf. Prada, La lingua dellepistolario volgare di Pietro Bembo, p. 146).

46 Cf. A. Castellani, Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1946-1976), Roma, Salerno, 3 vol., vol. I, p. 79; Mattesini, «Scrittura femminile e riscrittura notarile nella Perugia del Quattrocento», p. 99 n. 62; Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 86 e glossario s.v. comensa [p. 326].

47 Per la forma nel romanesco coevo e nelle varietà toscane occidentali e di transizione vd. le indicazioni bibliografiche in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 52 n. 45; cf. inoltre Prada, La lingua dellepistolario volgare di Pietro Bembo, p. 211.

48 Cf. Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 175 (e almeno Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, p. 52 per riscontri toscani e umbri).

49 Forme come secundo, ditti/dicti anche nelle minute di Rodrigo (cf. Tavoni, Il Quattrocento, Bologna, il Mulino, 1992, p. 309) e nella corrispondenza di Lucrezia e di Vannozza (cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 53).

50 Cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 135. Per la e finale vd. oltre p. 126, n. 6.

51 Anche quando enclitico: farce GF18,36; GF18,37; GF18,38; ma(n)charce GF18,4; esaltarce GF19,13; delevarce GF19,12 e passim.

52 Per quanto loscillazione en/in, come indizio di preferenza per la e atona, sia comunque attestata nellaretino, e en è costante nel perugino (vd. la bibliografia indicata in Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 55 n. 45). Per roptura vd. oltre p. 138, n. 4.

53 Cf. Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 94.

54 Vd. i riscontri in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 52 e n. 47 (in partic. per il cast. recomendar cf. DCECH s.v. mandar e per il cat. recomanar cf. DCVB IX s.v. recomanar e DELCat V, 408b,33 e 408b53-409a9 s.v. manar).

55 Cf. Trifone, Roma e il Lazio, p. 67; Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 53; vd. p. 128, n. 3.

56 Così anche nei biglietti di Vannozza (cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 73). Per riscontri nei testi antichi e grosso modo coevi si rinvia a Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 94 e glossario s.v. missere e misser [p. 384].

57 Su cui vd. oltre n. 7.

58 Sulla forma vd. p. 136, n. 6.

59 Presente in vari dialetti toscani e rinvenuto anche nelle lettere dei corrispondenti orvietani di Alessandro Vaianese esaminati in Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 58 e relativa bibliografia.

60 La sostituzione con i si registra, come è noto, a partire dal XV secolo, su analogia di ieri (cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 142; B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 1960, p. 285).

61 Qui anche guiello gioiello GF18,11, già ricordato, se si accoglie lipotesi del tramite del fr. antico < jo(i)el (1175), poi joyau, dal lat. par. *IOCĀLE proprio del gioco (da IŎCUM), accostato a joie gioia (cf. DELIn s.v. gioiello).

62 Sulla forma vd. oltre p. 137, n. 1.

63 Nelle lettere di Lucrezia, invece, la sorda è sempre mantenuta: satisfata; satisfatti (cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 53).

64 Cf. DEEH s.v. algo e 411 alĭquod; DCECH s.v. alguno, algún; DCVB I s.v. algú, algun; DELCat I s.v. algú, algun, -una (secondo il quale dal lat. volg. *alĭcūnus).

65 Tratto però attestato più tardi nel romanesco (cf. Trifone, Roma e il Lazio, p. 66).

66 Cf. Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 63; Mattesini, «Scrittura femminile e riscrittura notarile nella Perugia del Quattrocento», p. 112; Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 107 e i riscontri del fenomeno in area laziale indicati nel glossario s.v. (à) uto [p. 452].

67 Cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 252; Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, p. 26; P. Larson, «Fonologia», Grammatica dellitaliano antico, a cura di G. Salvi e L. Renzi, Bologna, il Mulino, 2010, 2 vol., vol. II, cap. 42, p. 1515-1546, a p. 1542-1543.

68 Cf. la documentazione riportata in GDLI s.v. prescia (vd. anche oltre p. 137, n. 4).

69 Circa lo sviluppo e levoluzione di NE ĬPS(E) ŪNUS cf. almeno C. Merlo, «Degli esiti di S- iniziale, -S+S-, -P+S-, -X- intervocalici nei dialetti dellItalia centro-meridionale», Rendiconti dellIstituto Lombardo di Scienze e Lettere, classe di Lettere e Scienze Morali e Storiche, s. II, vol. XLVIII, 1915, p. 91-105, a p. 97; e ancora cf. Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 75 e bibliografia ivi indicata.

70 Quantitativamente dominante il tipo sensa anche nelle lettere di Alessandro VI (cf. Gasca Queirazza, Gli scritti autografi di Alessandro VI, p. 43).

71 Cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 301 attesta il tipo ched è nel dominio centro-meridionale, e in partic. nel napoletano e nel romanesco (cf. anche DAchille, «Il Lazio», p. 527 per il fenomeno nel modulo interrogativo del romanesco moderno).

72 Cf. Trifone, Roma e il Lazio, p. 31 e la bibliografia in Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 142 n. 435.

73 Cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 333; vd. inoltre le numerose occorrenze del tipo epentetico nel corpus dellOVI [tresor*] a partire dal 1282-1299, Leggenda di messer Gianni di Procida.

74 Cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 339. La forma continovo si rinviene anche nellepistolario bembiano (cf. Prada, La lingua dellepistolario volgare di Pietro Bembo, p. 184); sulla sua estraneità alla lingua della lirica cf. L. Serianni, Introduzione alla lingua poetica italiana, Roma, Carocci, 2001, p. 16.

75 Sulla difficoltà di interpretazione di simili forme si sofferma Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 144 (e per il quadro delle occorrenze in relazione alla legge Tobler-Mussafia p. 210 e relativa bibliografia, di cui vd. almeno U. Vignuzzi, Legge Tobler-Mussafia, in Enciclopedia dantesca, vol. VI, Appendice, Roma, Istituto dellEnciclopedia Italiana, 1978, p. 195-198).

76 Cf. DAchille e C. Giovanardi, Dal Belli ar Cipolla. Conservazione e innovazione nel romanesco contemporaneo, Roma, Carocci, 2001, in partic. p. 21-22.

77 Il fenomeno comunque si riscontra anche in Lucrezia (cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 54 n. 55).

78 Cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 325 (e anche § 184); R. Bruschi, «Concordanze lessicali fra i dialetti umbri sudorientali e il romanesco del 600», Contributi di Filologia dellItalia mediana, 2, 1988, p. 183-224, s.v. grolioso [p. 213]; nel romanesco la forma è assai vitale nei poeti eroicomici (G. C. Peresio, G. Berneri, B. Micheli) e oltre (G. G. Belli, L. Zanazzo): cf. Chiappini s.v. gròria, grolia (nelle aggiunte e postille di U. Rolandi anche grolióso s.v., con partic. riferimento allassociazione con laggettivo ttrionfante) e Ravaro s.v. grolia.

79 Cf. i riscontri in Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 147 e glossario s.v. mano [p. 376]; la forma ricorre anche nella Borgia (cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 54); e, ancora, cf. Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 97, e Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 77.

80 Cf. Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 90-91; Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 58-60; Mattesini, «Scrittura femminile e riscrittura notarile nella Perugia del Quattrocento», p. 107-110; DAchille, «Il Lazio», p. 524 (sulla forma inoltre vd. la bibliografia citata a p. 123, n. 4 e 5).

81 Anchesso presente in Lucrezia: cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 54 n. 58 cui rinvio per i riscontri grosso modo coevi.

82 Cf. almeno la documentazione della forma al femminile registrate in GDLI s.v. ; vd. anche oltre p. 138, n. 5.

83 In effetti la situazione è analoga tanto nelle minute di Alessandro VI (cf. Tavoni, Il Quattrocento, p. 310), quanto nelle carte di Lucrezia e Vannozza (cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 54). Più mossa, invece, la distribuzione dellarticolo determinativo maschile nei documenti medievali alto-laziali per cui cf. Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 99-102.

84 Cf. Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 152 n. 469; Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 49 n. 32.

85 Cf. i rimandi in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 54 n. 63.

86 Ben documentato, come è noto, allepoca (e non solo): cf. almeno Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 108; Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 160 e glossario s.v. doi [p. 341]; Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 55 e relativi riscontri in n. 64.

87 Vd. p. 126, n. 1 e p. 128, n. 3.

88 Sulla presenza del sistema tripartito dei dimostrativi nel dominio mediano cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 494; Vignuzzi, «Italienisch: Areallinguistik VII. Marche, Umbrien, Lazio / Aree linguistiche VII. Marche, Umbria, Lazio», p. 616; DAchille, «Il Lazio», p. 523; nel romanesco di prima fase Trifone, Roma e il Lazio, p. 6 e p. 140-141.

89 Contrariamente a quanto emerge dallo spoglio dei documenti medievali orvietani e viterbesi condotto in Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 105 che rinviene costantemente anque.

90 Il tipo como, in effetti, ricorre sempre anche nel Borgia (cf. Gasca Queirazza, Gli scritti autografi di Alessandro VI, p. 45; Tavoni, Il Quattrocento, p. 309). Per i riscontri dai repertori romaneschi si rinvia a Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 55 n. 67. La forma con finale etimologica (da quomodo) è largamente presente nei documenti esaminati da Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 106 e domina anche in quelli spogliati da Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 83.

91 Solo li, infatti, anche in Lucrezia, un caso di gli in Vannozza: cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 55 cui si rinvia alla n. 70 per i rimandi bibliografici relativi alla diffusione di li (se ne noti ad es. lalta frequenza nelle lettere del Bembo per cui cf. Prada, La lingua dellepistolario volgare di Pietro Bembo, p. 191).

92 Per i riscontri nei documenti antichi e nel romanesco coevo si rimanda alla bibliografia in Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 174 e glossario s.v. fo [p. 349]; cf. anche Mattesini, «Scrittura femminile e riscrittura notarile nella Perugia del Quattrocento», p. 130.

93 Cf. Trifone, Roma e il Lazio, p. 22; Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 55 n. 71.

94 Cf. Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 174 e glossario s.v. sonno [p. 439]. Le forme so e sonno risultano attestate anche nei dialetti toscani orientali e nella zona umbro-marchigiana (vd. la bibliografia indicata in Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 86 n. 126).

95 Sulle desinenze in -amo, -emo, -imo cf. i riscontri bibliografici condensati in Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 168 n. 533; diversi casi in Lucrezia, allato alle forme toscane esibite da Vannozza (cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 56). Per la situazione nei documenti antichi alto-laziali cf. Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 110.

96 Cf. Trifone, Roma e il Lazio, p. 22; più numerosi i casi rinvenuti in Lucrezia e Vannozza (cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 56).

97 Cf. Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 90; Mattesini, «Scrittura femminile e riscrittura notarile nella Perugia del Quattrocento», p. 107-108 e relativa bibliografia.

98 Si tratta di un fenomeno ben attestato nellorvietano antico (cf. Bianconi, «Ricerche sui dialetti dOrvieto e Viterbo nel Medioevo», p. 112-113) e presente nei domini toscani orientali e in alcune zone dellUmbria e nelle Marche (vd. la bibliografia indicata in Palermo, Il carteggio Vaianese, p. 87 n. 132), vitale ancora oggi nelle parlate della Tuscia (cf. Cimarra e Petroselli, Contributo alla conoscenza, p. 78).

99 Cf. Trifone, Roma e il Lazio, p. 67 per il tratto nel romanesco belliano.

100 Vd. la bibliografia in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 56 n. 73.

101 Su cui vd. p. 126, n. 5.

102 Cf. Rohlfs, Grammatica storica, § 617.

103 Vd. la bibliografia indicata in Trifone, Le carte di Battista Frangipane, p. 47 n. 145, e in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 48.

104 Ma la stessa Farnese si serve del medesimo grafema, in scriptio continua, per indicare tanto una velare quanto una prepalatale: ca ci ha GF18,3 (e capromesso ci ha promesso GF19,4) ma cabiamo chabiamo GF18,33.

105 Sembra da escludere che si tratti invece di nol gli, per quanto il tipo nol non lo sia attestato, come noto, nellitaliano antico. Sul valore dativale del pronome non sembrano esserci dubbi (il passo: sia certissima nolgli dicho una cosa perunaltra); si ricordi inoltre io nollo posso retrebuir(e) GF18,49.

106 Per i suoni palatali anche il Borgia si serve delle grafie ll e nn, effettivamente diffuse in testi meridionali coevi e riconducibili a influsso iberico (cf. Gasca Queirazza, Gli scritti autografi di Alessandro VI, p. 41; Tavoni, Il Quattrocento, p. 309 e relativa bibliografia); sulla forma vd. anche oltre p. 138, n. 3.

107 Sul retro della lettera Al mio unicho signore anche in GF19.

108 Anche se in questo caso la questione coinvolge in maniera più complessa la diversa pronuncia già nel latino (vd. in proposito la bibliografia in Dejure, «Scrittura agiografica e umanesimo femminile», p. 85 n. 64).

109 Vd. la cospicua documentazione antica nel corpus dellOVI [sendo], a partire dal 1252/58 nelle Storie de Troia e de Roma.

110 Cf. A. Camilli, Pronuncia e grafia dellitaliano, terza edizione riveduta a cura di P. Fiorelli, Firenze, Sansoni, 19653, p. 149 che sottolinea come a Roma la forma qui presenti sempre liniziale rafforzata.

111 Nel significato di atto dello stare in luogo già in Dante secondo DELIn s.v. stanza; GDLI s.v. stanza1 registra la forma dal 1348, G. Villani, con poche altre attestazioni sparse lungo i secoli (fino a P. Fanfani).

112 Vd. le numerose occorrenze nel corpus dellOVI [prefat*] a partire dallinizio del XIV secolo (nella Cronica degli imperadori romani, 1301); anche in GDLI s.v. prefato1 agg. con documentazione concentrata soprattutto tra XV e XVI secolo.

113 Lespressione, usata anche da Lucrezia nella lettera del 10 giugno 1494 (come nella Farnese, in associazione al verbo arrivare), risulta moderatamente impiegata nel secolo antecedente e sempre più diffusa nel periodo coevo alle lettere, come dimostra lo spoglio dei repertori per i quali cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 58 n. 93.

114 Cf. GDLI s.v. accascare, composto di cascare, documentato da a. 1561, M. Bandello, cui fanno seguito pochi altri esempi letterari, tutti tra il XVI e il XVII secolo (in P. Aretino, A Piccolomini, G. Galilei).

115 Cf. GDLI 2 s.v. pontificale e DELIn s.v. pontefice che attestano la locuz. prep. in pontificale con la tenuta di gala dei dignitari della corte papale a. 1574, G. Vasari e per estens. con abiti e ornamenti sontuosi; in gran pompa a. 1556, P. Aretino (con valore generico aggettivale del pontefice già da G. Boccaccio).

116 Da a. 1650, S. Rosa, secondo LEI IV, 447-448 s.v. bāiānus cui si rinvia per la distribuzione areale della voce e per il suo sviluppo in area romanza; cf. anche GDLI s.v. baggiano per la documentazione concentrata tra XVIII e XX secolo.

117 Cf. LEI III,2 2071-2077, 41 s.v. attentus che registra nellit.a. atento proprio dal 1494, M. M. Boiardo (e attento che seguito da indicativo dato che, tenuto conto che dal 1432, R. Albizzi, ibid., 38-39 e relativi riscontri lessicografici).

118 Diverse attestazioni nel corpus dellOVI [stracc*] a partire dal 1336-1338 nel Filocolo di G. Boccaccio (secondo GDLI s.v. stracco1 da a. 1367, Fazio degli Uberti; per DELIn s.v. stracco a. 1374, F. Petrarca); per la voce nel romanesco cf. Ravaro s.v. stràcco (ma un riscontro diacronicamente coerente è straccho in F. A. Ugolini, «Un poemetto sulla Biblioteca Vaticana di Sisto IV», Scritti minori di Storia e Filologia Italiana, Perugia, Università degli Studi, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1985, p. 461-536, a p. 523).

119 Cf. Chiappini s.v. prèscia; Ravaro s.v. prèscia (oltre ai riscontri indicati a p. 128, n. 2).

120 Cf. Chiappini s.v. , ; Ravaro s.v. mo.

121 Vd. il commento alla voce di Max Pfister in LEI, I, 692-693 s.v. ad ipsum (tempus), ad ipsam (horam). Circa lalternanza delle due forme vd. il recente e documentato P. DAchille e D. Proietti, «Ora, adesso e mo nella storia dellitaliano», Studi di Grammatica Italiana, 29-30, 2010-2011, p. 247-279.

122 Cf. GDLI s.v. spantato agg. (come part. pass. di spantare) dal sec. XV, Amabile di Continentia, con altre tre attestazioni (una delle quali in L. Salviati); e ancora vd. la documentazione s.v. spantare n. 3 v. intr. dal 1320 ca., Girone il cortese volgar., con pochi altri esempi (fino al XVII secolo), da integrare con spantare 1468, Lupo de Spechio (e spanto paura 1492, G. Maio) segnalati in DAgostino, «Lapporto spagnolo, portoghese e catalano», p. 802 n. 58 e con un paio di occorrenze registrate in GAVI vol. 16, parte VI (segmento spaccare-sradicare) [1996] s.v. spantàre: quella tardo-quattrocentesco rinvenuta nella Cronaca del Ferraiolo (s.v. spanticare nel glossario delledizione critica curata da R. Coluccia [Firenze, Accademia della Crusca, 1987]) e unaltra di Paolo Giovio (oltre quella riprodotta in GDLI 3 s.v.) in una lettera del 1527 (attinta da Lettere del Cinquecento, a cura di G. G. Ferrero, Torino, Utet, 1977, p. 190). Secondo GDLI s.v. spantare la voce deriva dal provenz. espantar con probabile sovrapposizione, a partire dal XVI secolo, dello spagnolo espantar; cf. REW 3035 *expavĕntāre.

123 Cf. DEEH s.v. 3318 ĭbī che registra il cast. e arag. y; DCECH s.v. y avv. cui si rinvia anche per la discussione etimologica sulla forma (nella quale si sono probabilmente confuse, secondo gli studiosi, tanto ĭbī quanto hīc). Il passo: suplico la ste v(ost)ra y voglia dar(e) bona (et) p(re)sta conclusion(e) AM27,17.

124 Cf. DEEH s.v. asentar e 6021 *sedĕntāre sentar; DCECH s.v. sentar (partendo dal lat. volg. *adsĕdĕntāre < sĕdēre); DCVB II,6 s.v. assentar o sentar; DELCat VII,893a1-b s.v. seure.

125 Cf. DEEH s.v. caballero e 1210 caballārius in cui il cast. caballero señor; DCECH s.v. caballo.

126 Cf. DEEH s.v. ruptura e 5783 rŭptūra; DCECH s.v. romper; DCVB IX s.v. rotura; DELCat VII,435a29 s.v. rompre.

127 Vd. p. 130, n. 5. Sullimpiego di di/giorno nei testi antichi cf. anche Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, p. 104-105; e ancora, per il cast. e cat. cf. DEEH s.v. día e 2259 dies; DCECH s.v. día; DCVB IV s.v. dia; DELCat III s.v. dia.

128 Cf. TLIO s.v. fede (e anche le numerose occorrenze nel corpus dellOVI [fe*]); e ancora DEEH s.v. fe e 270 fĭdes; DCECH s.v. fe; DCVB V s.v. fe1; DELCat III s.v. fe.

129 Cf. TLIO s.v. ire; per il cast. e cat. cf. DEEH s.v. ir e 3567 īre; DCECH s.v. ir; DCVB VI s.v. ir2.

130 Sulla manualistica per la corrispondenza epistolare nel Rinascimento, intesa anche come strumento di (auto)apprendimento della scrittura, cf. Plebani, Il «genere» dei libri, p. 196-198 e p. 200, oltre alla bibliografia ricordata in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 59 n. 98.

131 Per brevità si rinvia alla trattazione (anche bibliografica) del fenomeno in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 59-61.

132 Imprescindibile il rimando a P. DAchille, Sintassi del parlato e tradizione scritta della lingua italiana. Analisi dei testi dalle origini al secolo XVIII, Roma, Bonacci, 1990, in partic. p. 91-203 per le frasi di sintassi marcata.

133 Tratto in cui avrà agito, più che in altri, la spinta combinata di latino e precoce influsso toscano (cf. DAchille, «Il Lazio», p. 529).

134 A proposito della «formazione e trasmissione di una “norma claustrale”» e dellipotesi di un «umanesimo volgare monasteriale al femminile», cf. almeno P. Bertini Malgarini, U. Vignuzzi, M. Caria, «Pietas e Umanesimo al femminile: le clarisse umbre dellOsservanza», Voci e figure di donne, p. 65-111, in partic. p. 102-103 e la bibliografia ivi indicata in n. 139. Sulle modalità di acculturazione conventuale in prospettiva generale, inoltre, si ricordi la bibliografia citata a p. 110, n. 1.

135 Cf. Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 47.

136 Sulleducazione di Lucrezia vd. la bibliografia indicata in Fresu, «Alla ricerca delle varietà “intermedie”», p. 47 n. 23.

137 Sulla questione in prospettiva generale vd. soprattutto C. Giovanardi, La teoria cortigiana e il dibattito linguistico nel primo Cinquecento, Roma, Bulzoni, 1998 che evidenzia, in partic. a p. 29-74 e a p. 111-137, la connessione (specialmente per alcuni risvolti morfologici) tra il modello antifiorentino propugnato dalla teoria cortigiana e gli sviluppi del volgare romanesco “medio” coevo (ma si ricordi anche il già citato R. Drusi, La lingua cortigiana romana). Sulla costituzione delle koinai e sui rapporti tra quelle settentrionali e centro-meridionali vd. i saggi raccolti in Koinè in Italia dalle Origini al Cinquecento, Atti del Convegno di Milano e Pavia, 25-26 settembre 1987, a cura di G. Sanga, Bergamo, Lubrina, 1990. Un sintetico ma efficace inventario dei tratti fono-morfologici della lingua cortigiana è già in M. Durante, Dal latino allitaliano moderno. Saggio di storia linguistica e culturale, Bologna, Zanichelli, 1981, a p. 154-156.

138 Vd. La redazione manoscritta del Libro de natura de amore di Mario Equicola, a cura di L. Ricci, Roma, Bulzoni, 1999 (la dedicatoria è a p. 209-215; stralci antologici e commento linguistico anche in Trifone, Roma e il Lazio, p. 168-170, e P. Trovato, Il primo Cinquecento, Bologna, il Mulino, 1994, p. 100-104). NellEquicola, come nelle lettere di Giulia e Adriana, si ritrovano, fra laltro, rifiuto del dittongamento toscano; conservazione di e protonica e di ar atono nei futuri e condizionali; rara sonorizzazione delle consonanti intervocaliche e tra vocale e vibrante; articolo determinativo pl. li (non alternato a gli); il tipo le mano; il tipo cavalieri m. sing.; il numerale doi; la congiunzione como; le desinenze etimologiche per la 4a pers. dellindicativo presente; le desinenze in -e per la 3a pers. del congiuntivo presente nei verbi della I classe; condizionali in -ia; futuri con vibrante geminata; una maggiore frequenza di fo fu e forono furono; i tipi verbali so e sonno; perfetti sintagmatici e forti come cresero; vitalità del tema verbale poss- (traggo lelenco dallaccurata analisi fono-morfologica condotta da Laura Ricci in La redazione manoscritta del Libro de natura de amore di Mario Equicola, p. 117-169; si vedano anche i rilievi conclusivi della studiosa, a p. 168-169, la quale insiste sui «fenomeni di convergenza tra luso delle koinè regionali e il latino (in opposizione alla lingua letteraria)»).

139 Del Libro di Equicola, ad es., è ben noto il significativo passaggio, nella successiva edizione a stampa, da cortesiana romana a commune italica lingua (cf. Trifone, Roma e il Lazio, p. 168).

140 Le cui basi sono da rintracciare proprio nel XV secolo, secondo G. Folena, «Espansione e crisi dellitaliano quattocentesco», Id., Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinascimentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1991, p. 3-17 [già «Premessa» ai Testi non toscani del Quattrocento, a cura di B. Migliorini e G. Folena, Modena, Società tipografica modenese, 1953, p. V-XXIV], p. 13.

141 Cf. Nuovi testi fiorentini del Dugento, con introduzione, trattazione linguistica e glossario a cura di A. Castellani, Firenze, Sansoni, 2 vol., 1952, p. 12-13 e p. 16, e Id., Saggi di linguistica, vol. II, p. 145-146.

142 Si registra una contraddizione nella data apposta in calce alla missiva (chiaramente x d(e) giungno 1494) e la frase con cui si apre la comunicazione di Giulia la quale afferma che iri ieri era domenica otto, dato peraltro confermato dalla lettera AM26,1 con cui anche Adriana informa il pontefice dellarrivo della comitiva nella cittadina marchigiana. In considerazione anche della lunghezza delle lettera, sembra legittimo ipotizzare che la giovane Farnese abbia iniziato a scrivere il giorno successivo allarrivo in Pesaro, ossia il 9 giugno, per poi interrompersi e riprendere la stesura del documento effettivamente il 10.

143 Si intenda gloriosissima.

144 Si intenda ci ha.

145 Si tratta di Francesco Gaçet, familiare e confidente del papa.

146 Si intenda maggiori con maggiore.

147 Da intendere tuttè.

148 Si riferisce al cardinale Alessandro Farnese.

149 Sic.

150 Sic.

151 Il f. 19v riporta soltanto lintestazione del destinatario; il f. 20v è albo.

152 È verosimile ipotizzare che si tratti del mese di agosto; luglio è da escludere dal momento che il 12 di tale mese Giulia e Adriana si erano messe in viaggio da Pesaro per raggiungere Angelo morente a Capodimonte (cf. Chastenet, Lucrezia Borgia, p. 84); pare dunque improbabile che appena due giorni dopo Giulia potesse scrivere al pontefice una lettera da Gradoli con tali contenuti. Del medesimo parere sembra anche Pastor, Storia dei papi, p. 483.

153 Si riferisce a Monsignor Giacopo Passarella, vescovo di Rimini, che però morì nellagosto 1496 (così anche Pastor, Storia dei papi, p. 483 n. 2).

154 Si intenda ci ha promesso.

155 Si intenda fino a mo fino a ora.

156 Sic.

157 Da intendere non ho.

158 Si tratta di Juana Moncada (per la quale vd. il primo paragrafo).

159 Si tratta di Francesco Gaçet.

160 Il f. 24 si presenta in un formato più piccolo rispetto alle altre lettere (stessa larghezza ma circa la metà di altezza rispetto agli altri fogli).

161 Ancora Francesco Gaçet.

162 Forse per arcidiacono.

163 Anche il f. 25 si presenta in un formato più piccolo rispetto alle altre lettere.

164 Si riferisce a Giulia Farnese.

165 Da intendere .

166 Allude ad Angelo Farnese, fratello di Giulia.

167 Un punto sopra a M.

168 Si intende il cardinale Alessandro Farnese, fratello maggiore di Angelo e di Giulia.

169 Anche Pastor, Storia dei papi, p. 491 propone il medesimo scioglimento.

170 Ancora Francesco Gaçet.

171 Così propone di sciogliere Pastor, Storia dei papi, p. 491.

172 Sic.