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Classiques Garnier

Napoli nelle Turbolenze di Europa Riflessioni sulla rivolta del 1647-48 e sul “tradimento” dell’arcivescovo

  • Publication type: Article from a collective work
  • Collective work: Séditions et Révoltes dans la réflexion politique de l’Europe moderne
  • Author: Mrozek Eliszezynski (Giuseppe)
  • Abstract: Tout au long du xviie siècle, la révolte napolitaine de 1647-1648 a été la source d’une vaste littérature d’historiographie et de mémoires. Ce travail analyse les réflexions des auteurs qui ont mis en rapport la révolte napolitaine avec les révolutions qui touchaient d’autres régions d’Europe à la même époque. Certains thèmes reviennent également dans les mémoires qui conformaient la longue bataille politique entre le cardinal et archevêque de Naples, Ascanio Filomarino, et les vice-rois espagnols.
  • Pages: 137 to 147
  • Collection: Constitution of Modernity, n° 32
  • CLIL theme: 4127 -- SCIENCES HUMAINES ET SOCIALES, LETTRES -- Philosophie -- Philosophie éthique et politique
  • EAN: 9782406127932
  • ISBN: 978-2-406-12793-2
  • ISSN: 2494-7407
  • DOI: 10.48611/isbn.978-2-406-12793-2.p.0137
  • Publisher: Classiques Garnier
  • Online publication: 07-06-2022
  • Language: Italian
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Napoli nelle Turbolenze di Europa

Riflessioni sulla rivolta del 1647-1648
e sul “tradimento” dellarcivescovo

La rivolta napoletana del 1647-1648 fu allorigine di una vasta letteratura politica, storiografica e memorialistica lungo tutto il XVII secolo. Se risultano già note le diverse interpretazioni della rivolta da parte di cronisti di diverse tendenze politiche, come i filopopolari Fuidoro1, Tutini e Verde2, laristocratico e filospagnolo Capecelatro3, o da parte di testimoni diretti di quei fatti, come il duca di Guisa e le sue Memoires4, non altrettanta attenzione è stata riservata ad un altro genere di opere. Scopo di queste pagine sarà, infatti, quello di analizzare le riflessioni che i fatti napoletani suscitarono negli autori che si interrogarono su quelle che la storiografia novecentesca avrebbe poi chiamato le six contemporaneous revolutions5. Tali riflessioni verranno poi messe in relazione con un concreto caso di conflitto politico-diplomatico, allinterno del più generale dibattito sulle responsabilità della rivolta napoletana.

Nella sua Historia intorno alle cose universalmente occorse dallanno 1645 allanno 1649, edita nel 1651, lo storico e prolifico scrittore vicentino Galeazzo Gualdo Priorato6 parla di “turbolenze” dEuropa e riserva grande spazio alle vicende inglesi e catalane. Della rivolta di Palermo si comincia a parlare a pagina 179 del Libro Quarto, mentre della “sollevatione di Napoli” si 138tratta a partire da pagina 237 del Libro Quinto, anche se in precedenza trova spazio una significativa decrizione del regno e delle sue istituzioni. Tra le cause della rivolta, Gualdo Priorato sottolinea in particolare il ruolo svolto dallesempio delle contemporanee vicende palermitane, oltre alleccessiva pressione fiscale che la popolazione partenopea era chiamata a sopportare, gravata da “esorbitanti” gabelle. La narrazione degli eventi giunge fino alla morte di Masaniello (16 luglio 1647) nel quinto libro, per poi arrivare al dicembre 1647 nel sesto e, infine, alla conclusione della rivolta, con il rientro degli Spagnoli in città il 6 aprile 1648, nel settimo libro. Lautore si limita a riportare gli eventi e le gesta dei principali protagonisti, senza aggiungere commenti personali o proporre interpretazioni dei fatti. Oltre allelogio, più volte ripetuto, della fedeltà dei cavalieri napoletani7, degna di nota è anche la rappresentazione che lautore propone di un mondo alla rovescia, in cui la rivolta ha avuto leffetto di scardinare tutti i punti di riferimento politici e sociali:

Quivi in un momento si può dir dhaversi veduto, & amirato fanciulli inermi sbarragliare corpi desperte, & armate soldatesche: la superbia delli più ostinati debellata da Pescatori: la Nobiltà abbassata, la Plebe agrandita; Patroni dominati da servi. I sudditi far del Prencipe, i Prencipi divenuti obbedienti a Vassali: limpositioni annullate: la seditione non solo tollerata; ma con publiche dimostrationi approvata dal Prencipe; Un Popolo imbelle in momento trasformarsi in unArmata di ben ordinate schierre di bellicosi guerrieri: gleffetti della Divina Giustitia chiaramente additati nel castigo dellempi. Non deve però ad alcuno parer impossibile, che cose in se tanto contrarie possino star insieme unite, perche lhumana prudenza, resta abbagliata nella riflessione della Divina Providenza, quando col compasso di questi humani discorsi si pretende misurar i secreti del Cielo8.

Gualdo Priorato propone, dunque, una cronaca standard dei fatti, scritta daltra parte da un autore che non aveva assistito di persona agli 139eventi e che, quindi, dovette inevitabilmente basarsi sulle testimonianze di altri cronisti. Assolutamente centrale è comunque linfluenza reciproca che le diverse “turbolenze” dEuropa esercitarono luna sullaltra, in particolare la rivolta palermitana su quella napoletana. Daltro canto, Gualdo Priorato non si azzarda ad avanzare ipotesi, né a presentare ed individuare cause più generali dellintera stagione rivoluzionaria europea di quegli anni, cioè elementi in grado di accomunare e di spiegare eventi accaduti contemporaneamente ma in diverse parti del continente.

Due anni dopo, nel 1653, venne pubblicata la Historia delle guerre civili di questi ultimi tempi del ferrarese Maiolino Bisaccioni9. Già dal titolo si intravede la differenza rispetto a Gualdo Priorato: non più Historia intorno alle cose universalmente occorse, bensì unattenzione specifica rivolta alle guerre civili di questi ultimi tempi, in un elenco in cui trovano spazio, oltre ai fatti di Inghilterra, Catalogna, Palermo e Napoli, anche quelli di Portogallo, Fermo10, Polonia, Turchia e la Fronda in Francia. La rivoluzione inglese è quella che occupa il maggior numero di pagine (217) allinterno dellopera, ma Napoli è al secondo posto (112), in netto vantaggio rispetto alle vicende francesi (97) e portoghesi (46). Anche in questo caso, manca un discorso generale dellautore sulle rivolte degli anni Quaranta del Seicento, nel loro complesso, finalizzato ad individuarne possibili cause comuni. Tuttavia, nelle prime pagine dellopera, Bisaccioni esprime una riflessione generale sul perché nascano le rivolte, individuando nei ministri del re coloro che, nella maggior parte dei casi, ne sono i veri responsabili:

Le revolutioni de popoli, sono per lo più figlie de mali governi de ministri. Quindi è dunque, che io mi sono posto a scrivere molte rivolte de popoli accadute a miei giorni, che ragionevolmente si possono chiamare i Terremoti di Stato. Haverei potuto incominciare da quella che tolse di vita Osmanno Imperador de Turchi, ma la tralascio, perché fù commotione non del popolo, ma della militia Gianizzera; pensai dincominciar da quella di Bohemia, che hebbe principio da una strana esecutione di gettar li ministri Cesarei, e di quel Regno dalle finestre, e ne successe una dura tragedia alla Germania; molte però sono le cagioni, che me ne hanno fatta allontanar la penna in questo luogo, ma in particolare per haverla di già trattata in altro volume, che allhora stimai più proprio, come spero, che a suo tempo si vederà. Qui 140dunque ho voluto cominciare dallInghilterra, come dalla più tragica, havendo condottone il Rè sotto la scure del Carnefice11.

È chiaro lintento pedagogico che muove lautore, intenzionato ad avvertire i principi riguardo sia gli errori da non commettere sia leccessivo potere da non conferire ai propri ministri. Se, sulla rivoluzione inglese, Bisaccioni sottolinea che il governo di Cromwell si mostrò invero “tirannico, e peggiore di gran longa del Monarchico”12, per quanto concerne invece le vicende catalane pone al centro dellattenzione laccanita difesa dei propri privilegi da parte di Barcellona e dellintera regione. Ma anche il ruolo di Olivares, più volte nominato, non passa sotto silenzio:

Non è già, che mi sia ignoto, chaltri stimò (e forsi con animo malignante) chessendo molti, e grandi li privilegij di quella Provincia, & particolarmente di Barcellona, de quali sono tenacissimi conservatori quei popoli, fosse pensiero di qualche gran Ministro del Rè Catholico landarli a poco a poco diminuendo, & annichilando, perche come laltre cose materiali si consumano con luso, così le immateriali si distruggono con il non uso, ò abuso. Hà in vero questa (se fù immaginatione) del facile a credersi, perché la eminenza dei Privilegij, può quasi dirsi una concorrenza di authorità col Prencipe in quella parte privilegiata, & à nostri tempi, che si possono chiamare del Plenilunio delle Monarchie, poco sono gradite queste preeminenze, che furono concesse quando più si potevano dire i Rè primi cittadini, che Dominanti, & più padri, che padroni; sono poco gradite, dicono, non dalli Prencipi, che ben conoscono, che tanto più sono in istima li superiori, quanto più riguardevoli sono li sudditi, ma dalli Ministri Supremi, che stimano più riguardevoli se medesimi quanto più possono, non so sio mi dica, conculcare, vilipendere, ò temer quelli, che stimano propri sudditi, & sono del solo Prencipe13.

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Sul Portogallo, Bisaccioni si interroga se realmente si possa parlare di “sollevatione” piuttosto che di una vera e propria “guerra di successione”14, ma comunque non si sofferma più di tanto sulle vicende lusitane, anche perché “hanno più Auttori diffusamente scrittone”15. Dopo una breve parentesi sugli “Accidenti di Palermo”16, lautore dedica invece molto più spazio alle “Guerre Civili di Napoli”17, ripercorrendo inizialmente tutte le tappe solitamente elencate come premesse fondamentali per comprendere la rivolta: la difesa dei privilegi della città e del regno, leccessivo carico fiscale e la crescente insoddisfazione popolare. E tuttavia, Bisaccioni non nasconde come anche lelemento politico sia una componente fondamentale per comprendere quei fatti: non a caso, per spiegare le origini della rivolta, lautore parte dai disordini registratisi durante il turbolento viceregno del duca di Osuna (1616-1620), in cui le divisioni fazionali, che caratterizzavano il conflitto politico nella corte madrilena di Filippo III, ebbero delle ripercussioni anche nel già complesso contesto napoletano18. Attraverso unefficace metafora, Bisaccioni esprime il ruolo e limportanza della politica e, di conseguenza, dei suoi principali interpreti, vale a dire i ministri dei sovrani:

La Politica, in quanto alla voce, hà molta corrispondenza con la Politia, e se ne serve danima, e strumento a cavare da questa, chè debole, assai gravi regole per quella. La Politica della casa ricerca, che li servi tengano rimossa ogni immonditia da qualunque angolo, accioche non serva a generare animali immondi, come ragni, sorci, e simili, perche la natura cava sempre dalle putredini la vita di materie, & animali nocivi allhuomo [] la Politica, dico, hà bisogno ancor essa della sua Politia, con la quale il Ministro conserva lo Stato mondo al suo Signore, espugnandolo da gli animali, che nascono dalla putredine de vitij, e delli medesimi si nutriscono. Se questa Politia Politica sia stata benesercitata da chi ha havuta la cura di quel Regno, ne lo diranno gli effetti, che siamo per raccontare19.

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Lattenzione focalizzata sui ministri dei sovrani è centrale anche nelle pagine che Bisaccioni dedica alla Fronda, in cui è il cardinal Mazzarino lautentico protagonista della situazione di crisi venutasi a creare nel 164820. Dunque, in sintesi, nella ricostruzione di Bisaccioni i responsabili “delle guerre civili di questi ultimi tempi” sono chiaramente i ministri del re: i favoriti come Mazzarino e Olivares, che mettono in dubbio diritti e privilegi consolidati, che privano i grandi nobili del loro tradizionale potere, ma anche i viceré che, come nel caso di Napoli, per accontentare i loro patroni a corte riducono il regno allo stremo delle forze.

Nel 1654 venne pubblicata a Venezia lopera del genovese Giambattista Birago Avogadro21, Turbolenze di Europa dallanno 1640 fino al 1650. Nel testo, dedicato al marchese del Vasto Ferdinando Francesco dAvalos, le “Turbolenze di Napoli” sono quelle cui viene dedicato il maggior numero di pagine, molto più delle “Turbolenze” di Francia, di Sicilia e di Catalogna, considerando anche che Birago Avogadro dedicò invece opere specifiche ai casi inglese e portoghese22. Anche se manca un discorso generale sulle rivolte e sulle loro cause, pure qui lattenzione è chiaramente rivolta ai ministri del re. Nel caso francese, ad esempio, benché non manchino riferimenti ai “Prencipi del Sangue Regio”, rivoltatisi contro un re “giovinetto inocente” e colpevoli di aver così lacerato il regno23. sono comunque sottolineati con puntualità i sospetti e le accuse nei confronti di Mazzarino. Nel caso napoletano, il fattore scatenante viene individuato nelleccessivo peso fiscale, vera origine di una “commotione popolare tanto grande, tanto fiera, e tanto sanguinosa quanto quella, che avenne lanno 1647 nella Città, e Regno di Napoli”, in cui vennero “distrutti quella popolatissima Città, & opulentissimo Regno”24. La violenza delle rivolte e quella che rimaneva la colpa più grave dei ribelli, ovvero il mancato rispetto della fedeltà dovuta al proprio sovrano, sono espresse dallautore in più punti, ad esempio a proposito delle vicende siciliane:

Pericolosi accidenti nacquero per questi tempi nella Città di Palermo in Sicilia: dove si vidde la plebe correre infuriata ad affogare nel sangue dei Ministri Regij, ed altre persone innocenti, lautorità del suo Prencipe, e procurare 143distruggere con glincendij, e con lusurpatione del dominio quella soggetione, che dovuta alla Maestà del suo Sovrano, in ogni caso ha da essere mantenuto mai sempre, veneranda, inviolabile, & intiera25.

Tra tutte, la “sollevatione di Catalogna” fu certamente quella che, secondo Birago Avogadro, esercitò la maggiore influenza sulle altre, poiché, seguendone lesempio, “vengono non solamente sollecitati, ma spinti, e spronati gluni a far ciò, che vedono fare i compagni: massimamente quando scorgano riuscire loro le cose facile, e felicemente”26. La tradizione di autonomia del popolo catalano, viva sin dai tempi del Medioevo, finì inevitabilmente per scontrarsi con la politica del conte-duca di Olivares.

Al di là delle situazioni iniziali e della storia dei singoli regni protagonisti delle differenti “Turbolenze di Europa”, quello che variò molto, da caso a caso, fu ciò che si verificò in seguito alla parentesi rivoluzionaria. Nel caso napoletano, Birago Avogadro scrive:

Così restava il Regno di Napoli doppo si gran turbolenze per la buona condotta di Don Giovanni, e del Conte dOgnate, ridotto non solamente allubbidienza del suo Rè, ma di maniera mortificato: che non solamente non potrà per un pezzo alzar la cresta contro il suo Padrone: ma lascierà essempio a sudditi di non la pigliar mai con quelli, che dalla Giustitia, e da Dio sono stati loro imposti per Signori, e Soprani27.

La situazione del regno di Napoli dopo la fine della rivolta era, in effetti, di grande difficoltà. Con una popolazione stremata, oltre che da nove mesi di rivolta, anche dalla lunga crisi economica che laffliggeva già da molti anni, e con una capitale spopolata e in buona parte distrutta, far ripartire il corretto funzionamento della macchina burocratico-amministrativa non fu certo compito facile per il nuovo viceré Íñigo Vélez de Guevara, conte di Oñate28. Il nobile castigliano affrontò i difficili anni del dopo-rivolta con grande decisione, dimostrando di non temere lo scontro con quei gruppi di potere che avevano dominato la scena partenopea durante i governi dei due viceré più legati ad Olivares, vale a dire il conte di Monterrey (1631-1637) e il duca di Medina de las Torres (1637-1644)29. 144Oltre alla concreta attività di governo e alla contrapposizione con buona parte dellaristocrazia e dellélite finanziaria del regno (causa non ultima, nel 1653, della sua rimozione dallincarico), Oñate si dedicò con altrettanta energia a perseguire e punire tutti coloro che venivano ritenuti, da parte spagnola, capi o figure di spicco del fronte ribelle sconfitto30.

Quindi, negli anni successivi alla rivolta, il dibattito sulle responsabilità della stessa fu apertissimo. Tutti coloro che erano stati, alternativamente, alla guida del movimento ribelle, avevano conosciuto il proprio destino: la morte, come nel caso di Masaniello (ucciso il 16 luglio 1647) e di Gennaro Annese (giustiziato per ordine di Oñate il 22 giugno 1648), o il carcere, come toccò a Giulio Genoino (arrestato il 4 settembre 1647 ma morto prima di arrivare nel luogo di prigionia cui era stato assegnato, in Spagna) e al duca di Guisa (catturato nellaprile 1648 dopo aver perso il controllo della capitale). Per altri ancora, quali Vincenzo DAndrea e Gennaro Pinto, arrivò invece la ricompensa del Re Cattolico per aver aperto la porta del dialogo con gli Spagnoli e averne favorito il rientro a Napoli e la riconquista del regno31.

Ferma convinzione del viceré Oñate era che vi fosse però un altro capo dei ribelli che non aveva ancora ricevuto la giusta punizione per le sue gravi colpe. Al cardinale e arcivescovo Ascanio Filomarino si rimproverava un atteggiamento ambiguo e, secondo alcuni, chiaramente sbilanciato dalla parte dei ribelli e favorevole allintervento francese nel regno. Tre, in particolare, erano i momenti sotto accusa: il rapporto stretto e privilegiato che il prelato si era costruito con Masaniello (7-16 luglio 1647), il rifiuto alla richiesta del viceré duca dArcos di scomunicare i ribelli (primi di ottobre 1647) e la benedizione dello stocco del duca di Guisa (19 novembre 1647)32.

Durante il viceregno di Oñate (1648-1653) e in particolare nel biennio 1651-1653, si consumò una vera e propria guerra di carte e memoriali, in cui viceré e arcivescovo fornirono la loro ricostruzione della rivolta e dei conflitti politici e giurisdizionali degli anni successivi, per difendere il proprio operato e accusare quello dellavversario agli occhi dei rispettivi referenti: Filippo IV a Madrid e Innocenzo X a Roma33.

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Fino allultimo, Oñate riservò a Filomarino giudizi molto duri, definendolo “por su naturaleza [] maligno y enemigo de la Corona de su Mg.d, [] loco agudo y ambiçioso34 e attribuendogli svariati tentativi di reintrodurre caos e rivolta in città. Il viceré non si accontentava di chiedere il ritorno a Roma del cardinale arcivescovo, ma ne pretendeva lesilio in luoghi dai quali non avrebbe più potuto creare problemi, come la Sardegna o le Baleari. Arrivò inoltre a sostenere che gli Spagnoli avrebbero potuto scommettere più sulla fedeltà di Mazzarino alla loro causa, che non su quella di Filomarino35.

In quella che si potrebbe definire la sua strategia difensiva, Filomarino cercò di chiarire come i suoi doveri in quanto guida spirituale dei fedeli napoletani non gli impedirono mai di essere fedele al suo legittimo sovrano. Sotto accusa era finito soprattutto il suo rapporto con il duca di Guisa e, in particolare, la benedizione della sua spada cerimoniale avvenuta il 19 novembre 1647. Per mettere in difficoltà il prelato, il nobile francese lo aveva forzato a compiere un gesto carico di conseguenze:

et [Guisa] invitò il Popolo a portarsi da S.Em.za [Filomarino], con pretesto di chiedergli tre cose: la scomunica contro Spagnoli per haver questi abbruciato assieme con la Chiesa de Visitapoveri (Casa nella Città dedicata dalla pietà de Cittadini al ricovero, e mantenimento di povere orfane) il Santissimo, che in quella si conservava; che tutti li Preti si potessono armare per andar a guardare li Posti; et la benedittione del suo stocco come di Capitan Gener.le del Popolo36.

Il cardinale aveva dunque scelto il male minore tra quelli impostigli dal Guisa. E, daltra parte, lo stesso Filomarino attribuiva allatto della benedizione dello stocco un significato politico modesto:

tanto più che questa benedittione era un atto indifferente, et stato di già approvato dallo stesso Duca dArcos allhora, che a sue preghiere, et in sua presenza lEm.za Sua benedisse la spada di TomasAnello, come Capo del Popolo, nella quiete dopo li primi rumori; oltre che listesso D. Francesco Toraldo 146Caval.re Napolit.o similm.te Capitano Gener.le del Popolo avanti del Guisa, non andava mai a riveder i posti, né a fare alcuna fattione militare, che non volesse esser prima benedetto dal Card.le. Ciò facevano anche le Compagnie intiere de soldati, et S.Em.za le benediceva, et havrebbe altresì benedetto le militie del Re se fossero venute dove era il Popolo essendo ufficio di Pastore il benedire, et se benediceva le persone, perché non poteva le Armi37 ?

Oltre a difendere la propria fedeltà, Filomarino sottolineò anche quanto lui e i suoi parenti38 si fossero spesi in prima persona per il ritorno degli Spagnoli in città, quel 6 aprile 1648:

reassumere li secreti negotiati della Pace, come fece, a richieste di D.Gio[vanni], e condurli a perfettione; né a questo, né al Conte dOgnatte (che successe al Duca dArcos) sarebbe riuscito dentrare con le Genti del Re, che non erano più di 2.500 tra Nobili, e Spagnoli, nelli Quartieri del Popolo, che havea sopra 100.m persone armate, così pacificamente, e senza oppositione e contrasto conforme avvenne nella Giornata del lunedì Santo dellAnno 1648 a 6 aprile, se non havessero havuto per guida, e scorta la persona del Card.le, che a cavallo andava assicurando il Popolo del perdono, et che non temesse doltraggio alcuno39.

La battaglia del cardinal Filomarino per provare la propria innocenza dinanzi alle accuse di infedeltà mossegli da parte spagnola sarebbe durata ancora per molti anni, trascinandosi almeno fino al periodo della peste (1656-1658) e alla fine del governo del viceré Castrillo. Molti altri furono, dunque, i memoriali e le lettere che si mossero tra Napoli, Roma e Madrid, in una battaglia diplomatica che vide coinvolti, oltre al diretto interessato e ai viceré, anche i nunzi pontifici di stanza a Napoli e nella corte spagnola, i più diretti consiglieri di Filippo IV, incluso il valido Luis de Haro, nonché cardinali nipoti e segretari di Stato vicini a Innocenzo X e, a partire dal 1655, ad Alessandro VII40.

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Alla fine, nessun viceré ottenne lallontanamento di Filomarino da Napoli, destinato a morire da arcivescovo della città partenopea, il 3 novembre 1666. Sulla vicenda pesarono motivazioni di politica internazionale (la necessità spagnola di non inimicarsi il papa nella fase più acuta del conflitto con la Francia), ma ancor di più linfluenza dello scontro politico-cortigiano in corso a Madrid e le pressioni esercitate da alcuni settori del quadro politico e sociale partenopeo. Al di là del suo esito, la querelle Filomarino dimostra come della rivolta del 1647-1648 continuò a parlarsi ben oltre la fine degli scontri armati41. La cosiddetta rivolta di Masaniello fu cioè alla base non solo di opere di sintesi e di riflessione teorica, come quelle di Gualdo Priorato, Bisaccioni e Birago Avogadro, ma anche di lunghe battaglie politiche combattute con memoriali e carte private, in cui i suoi grandi protagonisti, mentre difendevano e giustificavano il proprio operato, davano anche la loro interpretazione e il loro significato allintera rivolta.

Giuseppe Mrozek Eliszezynski

Università “G. DAnnunzio” di Chieti-Pescara

1 Fuidoro, 1994.

2 Tutini, Verde, 1997.

3 Capecelatro, 1850-1854.

4 Guise, 1668. Per una panoramica sulle diverse testimonianze e ricostruzioni della rivolta, si veda, con particolare riferimento ai testi manoscritti, Di Franco, 2007. Sulla storiografia napoletana del Seicento, Masi, 1999.

5 Sulle “sei rivoluzioni contemporanee” che sconvolsero lEuropa negli anni Quaranta del XVII secolo, vale a dire le rivolte di Portogallo, Catalogna, Napoli e Palermo, la rivoluzione inglese e la Fronda in Francia, si vedano: Merriman, 1938; in tempi più recenti, Benigno, 2010.

6 Gullino, 2003. Più in generale, sulla storiografia italiana dei secoli XVI e XVII, si vedano i classici studi di Bertelli, 1967 e 1973, e Cochrane, 1981.

7 Gualdo Priorato (DellHistorie del conte Galeazzo Gualdo Priorato, 1651), si veda ad esempio a pagina 449 (Libro Settimo): “Le quali rappresentanze portate ò dal ViceRè [il duca dArcos], o daltri fecero però poca impressione nellanimo del Rè Cattolico, e di quelli, che sapevano con qual costanza nel Regal servizio serano diportati li Cavalieri Napolitani, quali con meraviglia dEuropa fecero operationi le più rare e singolari, che i secoli habbiano già mai conosciute; mentre non solo sopposero sempre alle mosse della Plebe; ma invitati da questa alla formazione della nuova Republica, con gran vantaggi, vi sopposero con gran cuore, e più tosto vollero col proprio sangue confermar le leggi del Vassallaggio del loro Rè, che scriver quelle della libertà naturalmente bramata, & alla quale il Popolo tanto anelava”.

8 DellHistorie del conte Galeazzo Gualdo Priorato, p. 527 (Libro Ottavo).

9 Castronovo, 1968b.

10 Sugli eventi di Fermo, certamente i meno conosciuti tra quelli affrontati da Bisaccioni, si veda Bercé, 2007.

11 Bisaccioni, Historia delle guerre civili di questi ultimi tempi, 1653, Parte Prima, p. 1-2.

12 Ibid., p. 217.

13 Ibid., p. 225. Nelle righe successive, lautore ripercorre alcuni episodi che contribuirono a deteriorare il rapporto tra Olivares e i Catalani, ad esempio a p. 226: “Ma qualunque se ne fossero le cagioni remotissime, a noi basta per nostra intelligenza questa, che vera è, che lanno 1632 essendo andato il Rè a tener le Corti in Barcellona, il Conte Duca principalissimo Ministro di quella Maestà, o fosse suo proprio naturale il tenere gran sossiego, o fosse arte la gravità, che usò con li Deputati della città, incominciarono questi ad incrudir glanimi contro di lui parendogli, che ogni giorno più li strapazzasse in materia del coprire, e delle forme del trattare non mai più usate, ne meno dallo stesso Rè, con li rappresentanti di quella città, & Principato, che chiama il suo Signore, non come Rè di Spagna, ma come Conte di Barcellona, che è lo stesso, che il dire di non esser membro della Corona delle Spagne, ma separato, & indipendente, benchè sotto lo stesso Rè”.

14 Bisaccioni, Historia delle guerre civili di questi ultimi tempi, Parte Seconda, p. 1.

15 Ibid. Tra gli autori citati, Bisaccioni menziona anche Birago Avogadro, sul quale cfr. infra.

16 Bisaccioni, Historia delle guerre civili, Parte Seconda, p. 48-84.

17 Ibid., p. 85-197.

18 Bisaccioni, Historia delle guerre civili, Parte Seconda, p. 86: « Passò col tempo il Duca di Ossuna a Napoli, che non ruppe, ma squarciò ogni privilegio a quella città, & Regno, gravando con alloggi di soldati oltre ad ogni dovere, havendo condotti in Regno più di dieci mila soldati forestieri per li capricci solo ». Sul viceregno di Osuna e i collegamenti tra le vicende napoletane e la lotta politica che si svolgeva a Madrid, si vedano Benigno, 1992; Linde, 2005; Muto, 2008; Sánchez García, 2012; Mrozek Eliszezynski, 2015.

19 Bisaccioni, Historia delle guerre civili, Parte Seconda, p. 85.

20 Ibid., p. 317-414.

21 Castronovo, 1968a.

22 Birago Avogadro, Historia delle rivolutioni del regno di Portogallo, 1646 e Ristretto de i moti moderni dInghilterra, 1652.

23 Birago Avogadro, Turbolenze di Europa dallanno 1640 fino al 1650, 1654, p. 1-2.

24 Birago Avogadro, Turbolenze di Europa dallanno 1640 fino al 1650, 1654, p. 157.

25 Ibid., p. 368.

26 Ibid., p. 370.

27 Ibid., p. 366-367.

28 Minguito Palomares, 2011.

29 Per maggiori dettagli sulla situazione del regno negli anni precedenti alla rivolta, in particolare durante i governi di Monterrey e Medina de las Torres, cfr. Galasso, 2006, p. 61-284 e Villari, 2012, p. 165-297.

30 Sullattività di governo di Oñate, si vedano Galasso, 1982, p. 3-26 e Minguito Palomares, 2011, p. 133-508.

31 Su tutto, oltre alla bibliografia già citata, si vedano Musi, 1989 e Hugon, 2011.

32 Sulloperato di Filomarino durante la rivolta, si vedano Manfredi, 1949-1950 e Hugon, 2009. Per una biografia complessiva del cardinale e arcivescovo, cfr Mrozek Eliszezynski, 2017b.

33 Per maggiori dettagli su questa disputa, che continuò anche durante il governo del viceré Castrillo (1653-1658), rimando a Mrozek Eliszezynski, 2016 e 2017a.

34 Archivo General de Simancas [AGS], E, leg. 3333, doc. 131.

35 Archivio Apostolico Vaticano [AAV], Segreteria di Stato, Napoli, 49, f. 162r.

36 Biblioteca Apostolica Vaticana [BAV], Chigiano, N.III.75, f. 374v-375r. Tale versione dei fatti, con il duca di Guisa che forzò Filomarino a presiedere il suo giuramento in duomo e a benedirgli lo stocco, è confermata dallo stesso aristocratico francese nelle sue Memoires. Il gesto aveva un duplice scopo: conferire legittimità al potere di Guisa dinanzi al popolo di Napoli e, contemporaneamente, far passare il cardinale arcivescovo come un suo fedele sostenitore, soprattutto agli occhi degli Spagnoli.

37 BAV, Chigiano, N.III.75, f. 375r-v. Il memoriale da cui è tratta la citazione è stato attribuito allo stesso Filomarino da Bray (1990).

38 Il riferimento è non solo ai due fratelli del cardinale che erano ancora in vita durante la rivolta, ovvero il vescovo di Calvi Gennaro e il frate cappuccino Francesco Maria, ma soprattutto agli esponenti di spicco del ramo principale della famiglia, i Filomarino della Rocca dAspide: il principe Francesco e il duca di Perdifumo Giovanni Battista. Cfr. Mrozek Eliszezynski, 2017b, III capitolo.

39 BAV, Chigiano, N.III.75, f. 376r-v.

40 Tra i memoriali prodotti da Filomarino e dal suo circolo, oltre a quello già citato da BAV, Chigiano, N.III.75, molto interessanti risultano anche i testi contenuti in BAV, Chigiano, N.III.74, Difesa per il s.r Cardin.le Filamarino alle doglienze del s.r conte dOgnatte V.Re di Napoli per occas.e della conquista di Barcellona, f. 74r-80v; nella Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria [BSNSP], XXIII.B.6. Copia di lettera di N. circa la Visita che il Conte dOgnatte V.Re ricusò di fare al Card.le Filamarino in occasione delle buone feste, p. 768-773; e nella Biblioteca Nazionale di Napoli [BNN], X.B.65, Racconto delle differenze tra il cardinal Filomarino ed il conte dOgnatte 1651-1653, f. 236r-279v. Per ulteriori dettagli, cfr. Mrozek Eliszezynski, 2016, 2017a e 2017b.

41 Il polemico riferimento alla benedizione dello stocco del duca di Guisa continuò a perseguitare Filomarino fino alla sua morte. Ad esempio, nel 1665, in aperta polemica con il potere spagnolo a causa del testardo rifiuto di porre il lutto alla propria corte dopo la morte di Filippo IV, Filomarino decise di non recarsi dal viceré, il cardinale Pascual de Aragón, per la consueta e dovuta visita di condoglianze, adducendo motivi di salute; in molti, tuttavia, insinuarono che il cardinale stesse invece godendo di perfetta salute, quando gli era stato chiesto di benedire lo stocco del duca di Guisa. Racconta così laneddoto Fuidoro, 1934-1938, p. 299: “Del Cardinale Filomarino non si parla, perché è pertinace nella sua opinione e non vuol fare lo scorruccio alla sua Corte e non ha visitato il viceré con fingersi ammalato. Li spagnoli lo piccano che stava di buona salute quando pigliò il giuramento e benedisse lo stocco al duca di Ghisa nel novembre 1647 in presenza dellAnnese Generalissimo de sollevati, altri lo chiamano matto et altri avaro”.