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Classiques Garnier

Comptes rendus

  • Type de publication : Article de revue
  • Revue : Revue des études dantesques
    2021, n° 5
    . varia
  • Auteurs : Tomazzoli (Gaia), Filotico (Anna Pia)
  • Pages : 175 à 182
  • Revue : Revue des études dantesques
  • Thème CLIL : 4027 -- SCIENCES HUMAINES ET SOCIALES, LETTRES -- Lettres et Sciences du langage -- Lettres -- Etudes littéraires générales et thématiques
  • EAN : 9782406129042
  • ISBN : 978-2-406-12904-2
  • ISSN : 2556-756X
  • DOI : 10.48611/isbn.978-2-406-12904-2.p.0175
  • Éditeur : Classiques Garnier
  • Mise en ligne : 06/04/2022
  • Périodicité : Annuelle
  • Langue : Italien
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Victoria Ocampo, De Francesca à Béatrice. À travers la Divine Comédie, notes et postface de Roland Béhar, préface de Victoria Liendo, Éditions Rue dUlm – Presses de lÉcole Normale Supérieure, 2021.

Tra le moltissime iniziative del settecentenario dantesco, la riedizione del primo libro di Victoria Ocampo, De Francesca à Béatrice. À travers la Divine Comédie, riveste grande interesse. Si tratta di un testo che, per sua natura, intreccia diverse culture: scritto in francese allinizio del XX secolo da una donna sudamericana e incentrato sullopera di un poeta italiano medievale, questo piccolo libro non può che attirare lattenzione di specialisti attivi in diverse discipline, dalla critica dantesca agli studi di genere, passando per lispanistica e la francesistica. La postfazione di Roland Béhar ricostruisce in modo accurato e stimolante il contesto della pubblicazione del libro, nonché della sua prima ricezione, mentre le note forniscono riferimenti puntuali sulle numerose citazioni dellautrice.

Nel 1921 Victoria Ocampo non ha ancora trentanni, si è sposata da poco e intrattiene una relazione clandestina con il cugino del marito, creando scandalo nel suo ricchissimo e conservatore milieu porteño. La Commedia dantesca, che ha approfondito anche grazie ai corsi di Henri Hauvette alla Sorbonne, le si presenta come la possibilità di dare voce alle proprie passioni: convinta che i commenti eruditi non facciano altro che soffocare il testo, Ocampo vede nella propria vita una possibile chiave di esegesi del poema di Dante. Mentre il mondo è impegnato a celebrare Dante nel seicentenario della sua morte, la giovane argentina si presenta così a Paul Groussac, allora direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires, e gli sottopone la sua lettura anti-erudita e romantica del capolavoro dantesco; Groussac le nega qualunque originalità e la invita a occuparsi di argomenti che siano più personali, più alla sua portata. Ocampo non demorde, e continua a lavorare al suo libro, che sarà infine pubblicato in traduzione castigliana nel 1924 su iniziativa di José Ortega y Gasset, poi in francese nel 1926, per riapparire infine in una versione «argentinizzata» presso le edizioni di Sur nel 1963.

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Con lavallo di Croce, Ocampo apre il suo lavoro rivendicando un approccio puro e immediato al testo di Dante, e difendendo il relativismo della lettura: dal momento che nessun sentimento fu estraneo al poeta, ciascuna e ciascuno può trovare nella Commedia qualcosa che risuoni con i propri interessi. Nessuna pretesa di esattezza o di esaustività, dunque: lautrice si offre come una sorta di guida turistica, pronta ad accompagnare nella lettura soprattutto coloro che si sono limitati a sfogliare pigramente il poema. Il percorso proposto da Ocampo segue in modo assai sintetico la progressione della Commedia. Dante viene spiegato con Dante (e talvolta anche con il ricorso alle opere minori e a un discreto numero di fonti medievali), ma sempre in chiave eminentemente evocativa; lautrice si sofferma solo sui brani che le interessano, e specialmente su quelli che ci permettono di riflettere sulla natura dei sentimenti umani. Per Ocampo Inferno, Purgatorio e Paradiso sono stati danimo che attraversiamo già su questa terra, e, specularmente, ogni anima oltremondana mantiene le caratteristiche che aveva in vita; a fare la differenza tra luno o laltro è solo la nostra capacità di comprendere la sofferenza a cui ci condanna la passione fisica, e di renderci artefici di una dolorosa guarigione.

Il primo polo del discorso è, ovviamente, lepisodio di Paolo e Francesca: dannati insieme, ma ciechi e sordi luno rispetto allaltra, rappresentano il tormento di un amore prigioniero dei sensi. Lo stesso Dante personaggio deve attraversare questo tumulto – il muro di fuoco che è in realtà «le mur de sa chair» (p. 46) – per approdare a una liberazione definitiva dalla passione fisica, che priva non solo della visione di Dio, ma anche di quella della creatura amata. Per questo Dante è mosso innanzi tutto dal desiderio di vedere e di sentire Beatrice, la donna che per lui si è recata nel Limbo e che incarna la straordinaria forza dellamore misericordioso. Ricongiuntosi finalmente con lei, il protagonista del poema può sperimentare lamore sublimante, il trionfo assoluto dello spirito sulla carne, la perfetta pienezza di Bene e di Pace.

Benché agli occhi di qualunque lettore della Commedia queste possano apparire come osservazioni banali, Ocampo le sviluppa con grande coinvolgimento, e riesce talvolta a illuminare in maniera notevole un dettaglio o una sfumatura. Un discorso interessante si apre nelle pagine in cui lautrice commenta la dottrina della predestinazione e dei diversi gradi di beatitudine delle anime celesti. Riprendendo alcuni elementi di 177una riflessione che aveva sviluppato nel suo primo articolo – intitolato Babel e pubblicato, sempre in francese, sul quotidiano La Nación nel 1920 (il lettore può trovarlo nella postfazione di questa edizione) –, Ocampo difende lapparente ingiustizia che regola la distribuzione dei doni della Provvidenza attraverso la metafora dellorchestra: gli uomini sono come strumentisti guidati da un direttore invisibile; ciascuno è necessario, e la ricompensa per chi sa suonare in armonia è il godimento dellarmonia stessa. Rispetto alle tesi ben più provocatorie ed elitiste dellarticolo, però, il discorso risulta qui attenuato, o meglio adattato al tono tutto diverso del libro, più lirico e impressionistico rispetto al procedere argomentativo di Babel. La provocazione resta però nelle corde di Ocampo, che, rivolgendosi direttamente a lei, si compiace dello scalpore generato dalla presenza di Cunizza da Romano in Paradiso; certo sorprende che non faccia menzione di Raab, la cui beatitudine è ben più scandalosa, ma è probabile che a interessarle, più che il discorso teorico sullamore, siano soprattutto i personaggi in cui le è possibile specchiarsi.

Il percorso del libro di Ocampo, come della Commedia di Dante, si chiude su quellesperienza di perfetta unione che è laspirazione ultima dellamore umano, irraggiungibile finché luomo non si separa dalla carne, perché «la chair, cest la solitude» (p. 69). Circolarmente il discorso ritorna allora su Francesca e Paolo: la loro passione sensuale costituisce lo stadio solido dellamore, e dallimpossibilità di fondersi luna con laltro deriva il loro supplizio. Sono le parole di Francesca che illuminano il senso del perfezionamento ultimo dellamore di Dante per Beatrice, lacquisizione finale di un perfetto «intelletto damore». Questo sintagma, impiegato in modo talvolta leggermente improprio rispetto al senso originale dantesco, risulta quindi il vero e proprio fil rouge del discorso di Ocampo: se il senso del poema è quello di mostrare il potere nobilitante dellamore, la vita può offrirci delle glosse per comprendere la natura del sentimento di cui Dante parla. In altre parole, vita e poema si illuminano lun laltra e concorrono a sospingerci sulla via della liberazione dalle passioni dei sensi.

Per il lettore di questa edizione, tuttavia, il libro non si chiude qui: dopo aver seguito Ocampo nelle sue vibranti suggestioni, la ricchissima postfazione di Béhar propone un secondo viaggio, questa volta nella storia della concezione e della ricezione del testo. Dopo aver ripercorso il primo incontro dellautrice con lopera di Dante, Béhar esamina il 178ruolo giocato dalle celebrazioni dantesche del 1921 e dalla mediazione francese nelle riflessioni sulla Commedia di Ocampo; si concentra poi sulle operazioni editoriali che portarono il libretto a essere pubblicato in Spagna, Francia e Argentina e sullaccoglienza ricevuta in ciascuno di questi paesi. Grazie alle note e alla postfazione scopriamo dunque quali sono le traduzioni, i commenti e gli studi che Ocampo probabilmente conosceva, ma soprattutto riflettiamo sul ruolo che nel primo dopoguerra si attribuiva a Dante in Francia e in Europa, ma anche sui caratteri dello scambio tra Nuovo e Vecchio Mondo, e infine sulle trasformazioni sociali e culturali che potevano portare unereditiera argentina e il suo primo libro ad attraversare sprezzanti paternalismi, galanterie machiste, gossip e unammirazione spesso venata di opportunismo.

La soggettività della lettura di Ocampo viene rafforzata da questa preziosa contestualizzazione: chi la conosceva nelle vesti di autorevole animatrice della cultura sudamericana scopre così la preistoria del suo coinvolgimento nellambiente intellettuale europeo e argentino; lo studioso di Dante vi trova invece una lettura evocativa e impressionista nellaccezione migliore del termine, e la restituzione di un importante capitolo nella storia della fortuna dantesca, troppo spesso sorda alle voci femminili.

Gaia Tomazzoli

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Claude Lefort, Dantes Modernity, An Introduction to the Monarchia, With an Essay by Judith Revel, Translated from the French by Jennifer Rushworth, Edited by Christiane Frey, Manuele Gragnolati, Christoph F. E. Holzey and Arnd Wedemeyer, Berlin, ICI Berlin Press, 2020.

Nato dalle riflessioni maturate intorno alla giornata di studi «Dantes political Modernities: Claude Lefort reads the Monarchia», organizzata da 179Chrtistiane Frey, Manuele Gragnolati, Christoph F. E. Holzhey e Arnd Wedermeyer, tenutasi allICI di Berlino il 6 luglio 2019, il volume propone la traduzione inglese del celebre studio di Claude Lefort, La modernité de Dante, saggio introduttivo alla traduzione francese del Monarchia di Michel Gally (Paris, Belin, 1993). Judith Revel, che in occasione della giornata berlinese aveva proposto una lettura del saggio del filosofo, arricchisce il volume con un intervento assai denso, con un titolo che ha valore di una dichiarazione di intenti quanto mai propositiva: «Lefort/Dante: Reading, Misreading, Transforming». Intervento denso, come si diceva, e non solo per la fitta serie di riferimenti e lanalisi dettagliata delle implicazioni storico-filosofiche del saggio di Lefort, ma anche per la ricchezza degli spunti e per la capacità di rendere il testo strumento (ma, si direbbe, quasi manifesto) di una diversa e programmatica lettura.

Linteresse di Lefort per il trattato dantesco si inscrive a buon diritto nel quadro delle sue riflessioni sulla libertà, sui fondamenti del diritto, e più in generale sul concetto di humanitas. E sembra che sia proprio quellhumanitas che Dante sottrae allambito del potere spirituale per ricondurla allideale romano di civilitas (nel quale Lefort ravvisa una sorta di embrione della moderna idea di «società civile») lelemento che permette una lettura che vada verso una dimensione moderna. Con lo sguardo rivolto allesempio romano, la riflessione dantesca mostra come si possa guardare indietro, allepoca antica piuttosto che a quella a lui contemporanea, per proiettarne il riverbero verso il futuro: quello auspicato è un esercizio equilibrato della giustizia, capace di garantire una pace che non sia da intendersi come mancanza di conflitti ma come «presenza ragionevole» di contrasti e differenze. La vocazione della Roma classica a rappresentare lumanità e garantire il bene comune è vista come una sorta di prefigurazione del destino civile delluomo: alla Roma cristiana è sottratta qualunque idea non solo di sovranità temporale, ma anche di fondamento di legittimità politica.

Non sorprende, così, la sfortuna che il Monarchia ha conosciuto nei secoli, in particolare presso le autorità ecclesiastiche (che lo misero al bando già nel 1329, e ancora fino al 1881). Essa ha di fatto sancito la sua limitata circolazione e di conseguenza la scarsa incidenza nei successivi dibattiti legati alla storia delle teorie politiche. Eppure, sottolinea Lefort, a ben guardare la proposta dantesca aveva una portata innovativa rispetto al contesto storico in cui era stata prodotta, e alcune delle idee 180sostenute proseguono il loro cammino, riemergendo nella discussione filosofico-politica dei secoli successivi. Prendendo le mosse da queste riflessioni lo studioso non esita a parlare della «modernità di Dante», senza che il termine acquisisca alcun significato predefinito. Con la capacità di connotarlo sulla base di quanto emerge dal testo stesso del Monarchia, egli legge nello scarto che la riflessione dantesca offre rispetto alle teorie politiche a lui contemporanee la possibilità di costruire un discorso aperto al dialogo fra passato e presente. Se ciò permette da un lato di «rendere giustizia alla modernità del trattato tardomedievale», come osserva giustamente Christiane Frey nella prefazione alla traduzione inglese (p. xiii), dallaltro la riflessione affrontata in questi termini diviene unoccasione per interrogarsi sullidea stessa di modernità.

Lanalisi del Monarchia proposta da Lefort è molto originale, e si articola in due momenti ben distinti. Prima di tutto, una riflessione attenta sul testo di Dante, organizzata in tre capitoli («La razza umana», «Roma e la storia dellumanità», «Le due sovranità») che ben lasciano intendere quale sia la chiave di lettura proposta. Ma poi, in un secondo tempo, è alla fruibilità e spendibilità ulteriore di questi assunti che si volge lanalisi. In una vera e propria storia della ricezione del Monarchia e delle sue teorie politiche nei secoli successivi, dal XIV al XIX (con un approfondito excursus sul XVI, cruciale per la storia della teoria politica) il dialogo si fa particolarmente intenso con autori come Machiavelli, Salutati, Bruni, e poi soprattutto Jules Michelet e Étienne de la Boétie.

Ulteriore mise à jour di una lettura già a suo tempo fortemente attualizzante, il volume «Dantes Modernity» propone il punto di vista di Lefort rivisto e aggiornato dalla lettura di Judith Revel. Significativa la scelta di tradurre e pubblicare in inglese il bel saggio di Lefort, dato alle stampe ormai quasi trentanni fa. E non si direbbe sia un caso che a Berlino, sotto legida dellICI, la traduzione abbia visto la luce, in un ambiente vicino sia al mondo anglosassone, per lo spirito e la storia accademica dei suoi promotori, ma senzaltro, daltro canto, profondamente radicato in una dimensione europea continentale: ha senso non solo che Judith Revel, francese, abbia scelto di soffermarsi sul testo, ma che ciò sia avvenuto in inglese. Se far varcare al saggio di Lefort i confini della francofonia serve ad attualizzarlo, daltro canto loperazione ha il pregio di ricontestualizzarlo, in una dimensione dalla fisionomia assai differente, con una storia e un vissuto che le sono propri.

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Lassunto sincero e audace di Judith Revel è quello di fare propria, pienamente, la scelta di una una «misreading», una lettura fortemente interpretativa capace di forzare il testo per attualizzarlo, assumendone certo la responsabilità, ma anche godendo della grande libertà che un tale procedimento implica. «Portare un testo alla vita rendendolo proprio» (p. 88) non è solo quello che Lefort aveva di fatto a sua volta messo in opera, ma una sorta di programma di lettura e appropriazione dei testi che Revel rivendica con grande modernità e nello stesso tempo con grande senso critico.

La finezza della lettura della studiosa risiede anche nella capacità di ricondurre linterpretazione che Lefort propone del Monarchia alle linee-guida del suo stesso pensiero. Anche dove non enunciate espressamente, esse sono ricostruite e riconosciute, attraverso un lavoro minuzioso che mette in relazione le idee e le loro direzioni, che più apertamente si dichiarano a proposito di altri autori o altre epoche, ma i cui segni sono già presenti nel testo dantesco. Così, la riflessione sulla possibilità di costruire un impero universale, senza che questo porti allaffermazione dellUno, è vista nelle pagine in cui Dante discute il principio aristotelico dellintelletto possibile, risolto, nella lettura di Lefort, nellallargamento alla prospettiva dellumanità intera, in cui ciascuno non rinuncia alla sua particolarità e individualità pur rientrando in un progetto universale legato al bene comune. «La società civile della razza umana non conosce limiti spaziali» (p. 100): a questo conduce la secolarizzazione dellidea cristiana di comunità, che Dante costruisce dettagliatamente nel corso di tutto il Monarchia.

Scopo della lettura non è ottenere, quando non estorcere, una sorta di «verità del testo e del suo autore», quanto piuttosto la necessità di confrontarsi con il proprio tempo, per attribuirsi uno spazio e un ruolo in quello che Lefort definisce «lora» (pp. 94-95)

«Essay in reading a reading»: quella che si propone qui come una lettura di secondo grado, in cui i diversi livelli e le prospettive di analisi si sommano, intessendo con Dante e il suo Monarchia da un lato, e con Claude Lefort dallaltro, una sorta di dialogo tra contemporanei, è di fatto ancora di più. Un ulteriore doppio filtro contribuisce a trasformare (per riprendere il termine che campeggia nel titolo-manifesto del saggio di Revel) il testo: la traduzione e lo spostamento dellorizzonte culturale, come si diceva, da quello di tradizione latina al mondo anglosassone, 182nel quale il rapporto con molti dei temi proposti da Dante (la iustitia, la civilitas, la pax) è stato, talora, assai differente.

In piena coerenza con lo spirito del volume, non sorprende infine che anche la nota della traduttrice, Jennifer Rushworth, sia quasi un breve saggio, a tratti quasi manifesto di intenti, che giustifica e illustra talune inevitabili decisioni e alcune scelte di traduzione, che, a ben guardare, sono anchesse delle interpretazioni, pur nel rispetto esemplare dei testi di partenza.

Anche filtrare il saggio di Lefort (in questo senso magari datato) attraverso nuovi paradigmi espressivi (cui non è estranea una certa neutralità di genere, effettivamente più semplice per linglese che per il francese) è un modo di attualizzarlo e modernizzarlo, in una dinamica di approccio al testo che ben si accorda con il titolo, provocatorio, del saggio originale, La modernité de Dante: ovvero ancora una possibilità di modernizzare un testo, quasi di riscriverlo, nei suoi approcci, nelle sue interpretazioni, rendendolo fruibile a contesti diversi da quelli per i quali, magari, esso era stato pensato e scritto.

Anna Pia Filotico