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Classiques Garnier

La pratica e la grammatica Problemi, modelli, percorsi di formazione linguistica tra Duecento e Cinquecento

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La pratica e la grammatica

Problemi, modelli, percorsi di formazione linguistica
tra Duecento e Cinquecento

Alle origini della storia linguistica italiana, su un crinale in cui definire un percorso conduce a determinarne in parte lo svolgimento, è la riflessione che Dante affida al De vulgari eloquentia: lapertura del trattato, delimitando il subiectum della ricerca, mette a fuoco i termini di una situazione che riguarda la locutio e proprio per questa ragione va a toccare aspetti profondi della vita culturale e sociale del tempo, influenzando in prospettiva una situazione futura.

Listanza di definizione, dettata dai canoni dellargomentazione trattatistica, pone allinizio del percorso il volgare in quanto lingua appresa da chi è accanto a noi, da chi si prende cura di noi:

Sed quia unamquanque doctrinam oportet non probare, sed suum aperire subiectum, ut sciatur quid sit super quod illa versatur, dicimus, celeriter actendentes, quod vulgarem locutionem appellamus eam qua infantes assuefiunt ab assistentibus cum primitus distinguere voces incipiunt; vel, quod brevius dici potest, vulgarem locutionem asserimus quam sine omni regula nutricem imitantes accipimus. (I, i, 2)

La locutio vulgaris è perciò la lingua assunta dalla nutrice, per imitazione e soprattutto sine omni regula, senza il bisogno di verificarne e studiarne le regole.

A un altro livello, del presente come della storia, si colloca la locutio secundaria, che nei secoli ha conosciuto declinazioni differenti per soluzione, ma, secondo Dante, univoche negli intenti:

Est et inde alia locutio secundaria nobis, quam Romani gramaticam vocaverunt. Hanc quidem secundariam Greci habent et alii, sed non omnes : ad habitum vero huius pauci perveniunt, quia non nisi per spatium temporis et studii assiduitatem regulamur et doctrinamur in illa. (I, i, 3)

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La gramatica non è lingua assunta per imitazione: può essere appresa solo con assiduità di studio. Al possesso di questa locutio pervengono soltanto «pochi»: pochi ne conoscono le regole e hanno la possibilità di esprimere in quel codice la loro dottrina.

La ricerca di Dante si snoda perciò intorno alla necessità di definire un volgare che abbandoni lo stato di imitazione (fase aurorale, ma di per sé non sufficiente) e la mutevolezza che gli appartiene perché è nella natura delluomo, per diventare, come la gramatica, una lingua regolata.

Nella sinopia tracciata dal De vulgari eloquentia lapprendimento linguistico, sia che avvenga per imitazione sia che si realizzi attraverso lo studio, segna lingresso in una cerchia: il volgare immette in un ambito familiare; la gramatica introduce in una comunità che può esprimere il pensiero in un codice che attraverso la storia garantisce la sopravvivenza dei testi e la possibilità di avere accesso, tramite quelli, alle fonti del pensiero:

Hinc moti sunt inventores gramatice facultatis : que quidem gramatica nichil aliud est quam quedam inalterabilis locutionis ydemptitas diversibus temporibus atque locis. Hec cum de comuni consensu multarum gentium fuerit regulata, nulli singulari arbitrio videtur obnoxia, et per consequens nec variabilis esse potest. Adinvenerunt ergo illam ne, propter variationem sermonis arbitrio singularium fluitantis, vel nullo modo vel saltim imperfecte antiquorum actingeremus autoritates et gesta, sive illorum quos a nobis locorum diversitas facit esse diversos. (I, ix, 11)

Lapprendimento della gramatica si presenta perciò come via di accesso a una lingua di cultura, che Dante intuisce come continuità e garanzia di una positiva persistenza di ciò che luomo ha pensato e affidato allarchivio del codice scritto.

Lungo queste due linee parallele scorre la cultura linguistica del medioevo italiano. La tensione del volgare a diventare lingua regolata, al pari della gramatica, porterà, gradualmente e con alterne vicende (ma, in linea generale, de comuni consensu multarum gentium), alla formazione di una lingua letteraria, che si definisce come lingua da apprendere con lungo studio e assiduità, non diversamente dal latino.

In questo processo, lungo gli anni che sfoceranno nellaffermarsi letterario della Crusca, un ruolo di mediazione fondamentale è assunto da glossari e vocabolari, che affiorano dal Quattrocento in poi, testimoni della codificazione che i volgari acquistano gradualmente nei confronti

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del latino e, contemporaneamente, nel loro reciproco rapporto, soprattutto in quello che contrappone il tosco-fiorentino alle altre lingue.

Lesercizio dellequivalenza lessicale e della sua spiegazione discende direttamente dallesegesi biblica (la Biblia cum glossa) e dalla necessità di tradurre nel linguaggio degli uomini la parola di Dio. I primi glossari, infatti, attigendo alla materia biblica, rendono nelle parlate italiane le parole sacre: la gramatica divina diviene il paradigma, il punto di partenza, del formarsi della gramatica umana (come, per esempio, nel caso del Vocabulista ecclesiastico, erede delle grandi tradizioni latine e altomedievali del Papias e del Catholicon).

Il fiorire quattrocentesco dei glossari, tuttavia, sarà anche squisitamente laico e profano, teso a mediare le conoscenze anche più tecniche e pratiche. La prototipografia nascente amplificherà e contribuirà a standardizzare queste lingue ancora informi, e la stampa, del resto, costituirà la struttura portante dellesplosione grammaticale e vocabolaristica a cui si assisterà nel Cinquecento. In ogni glossario, come sarà nei secoli successivi per i vocabolari dialettali, è implicita una prospettiva didattica, il passaggio da una lingua nota e acquisita naturalmente a una lingua che metta in comunicazione un gruppo di intellettuali, attraverso epoche e luoghi diversi.

I modelli linguistici e lessicali, che si succedono, fin dai primi decenni del sedicesimo secolo, negli ambienti editoriali e culturali della penisola, danno gradualmente forma, tra contrasti e polemiche (talvolta ferocemente accese), a una gramatica italiana, a un territorio poco a poco bonificato, ripulito, anticipando, nel campo degli idiomi, con uno spirito dautocensura, le ristrettezze morali e religiose della Controriforma. Attorno a questo territorio, continua a crescere vigorosamente la selva dei «dialetti», delle «altre lingue». Chi vuol passare la frontiera, ora più che mai, deve affidarsi non solo allesercizio personale, ma anche alla mediazione delloligarchia letteraria che fornisce gli strumenti per questo passaggio. Il tosco-fiorentino è la porta daccesso a un nuovo latino, a un nuovo sistema di pensiero, a una società civile regolata dalla retorica, come nei secoli della classicità latina e greca.

La storia linguistica italiana allora potrà forse essere osservata dal punto di vista dellapprendimento della lingua: da un lato è la necessaria acquisizione di un idioma per imitazione; dallaltro è la formazione a un codice di regole che permette una conoscenza superiore e più profonda.

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Questultimo codice potrà venire dal latino, ma presto sarà quello della lingua letteraria e scritta, essa pure lingua da acquisire per spatium temporis e studii assiduitatem.

Questo numero dei Cahiers vuole invitare così a una riflessione sulla centralità dellapprendimento nella storia linguistica italiana, valutando la possibilità che un percorso diacronico venga attraversato e osservato considerando momenti e prospettive della formazione alla lingua o alle lingue.

Il filo che accomuna gli interventi proposti va cercato nella consapevolezza che avvicinarsi e poi formarsi a una lingua è sempre tradurre, o meglio «tradursi» da un codice a un altro codice, trasporre unesperienza in unaltra. In questo passaggio è scritta la difficoltà e al tempo stesso la possibilità di arricchimento che ogni variazione porta nel sistema delle lingue e nella cultura di chi le parla e le scrive.

Allaltro estremo cronologico, ricostruendo la vicenda di apprendimento dellitaliano (sua e della generazione a cui appartiene), nelle pagine di Jura. Ricerche sulla natura delle forme scritte Luigi Meneghello parlerà non solo di una acquisizione di regole (scritte), ma vedrà il difficoltoso formarsi di un alter ego, che separa lio che parla da quello che scrive:

Qui entri in una sfera diversa, con una dimensione in più: tu stesso diventi unaltra persona, ti sdoppi. Emerge con caratteristiche proprie lio scrivente, il quale ha una gamma di sentimenti e di pensieri che coincide solo in parte con quella dellio parlante1.

Come il volgarizzamento e la traduzione, i processi di formazione linguistica si svolgono in un percorso che va da una lingua di partenza a una lingua di arrivo. Riproponendo una riflessione di Gianfranco Folena che riguarda la traduzione nel Medioevo, si potrà affermare che anche il formarsi a una lingua può avvenire lungo una linea «verticale»: da una varietà di minor prestigio (spesso meno regolata) a una varietà di prestigio maggiore, in un processo che appare «di risalita», di acquisizione, il più delle volte, faticosa di ciò che in origine non appartiene alla lingua assunta per imitazione.

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La storia italiana e, soprattutto, quella europea offrono la possibilità di riflettere su una formazione linguistica che avviene anche lungo un asse orizzontale, cioè tra lingue di pari prestigio: il piano resta però sempre inclinato (in alcuni casi lievemente), perché non esiste, nemmeno in età moderna, una perfetta corrispondenza di «valore» tra due lingue.

I contributi proposti affrontano il tema della formazione da punti di vista e con metodi diversi, ripercorrendo alcune delle declinazioni di questa prospettiva tra Medioevo e Cinquecento. Con la consapevolezza che ciascun episodio può portare luce su un aspetto esemplare del tema della formazione linguistica e al tempo stesso con la certezza che molto resta da approfondire sulla strada di tale studio (centrale nella comprensione delle dinamiche di interazione tra le lingue e nella lingua), gli studiosi che hanno accolto la proposta di collaborazione e i curatori affidano al numero monografico dei Cahiers alcuni spunti di ricerca, fiduciosi che attraverso queste proposte si possa arrivare nei prossimi anni alla ricostruzione di un quadro complessivo del problema e a una rilettura di alcuni momenti della storia linguistica e culturale italiana.

Franco Pierno

University of Toronto

Giuseppe Polimeni
Università di Milano

1 L. Meneghello, Jura. Ricerche sulla natura delle forme scritte, Milano, Bur, 2003 (prima edizione Milano, Garzanti, 1987), p. 24.