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Classiques Garnier

Economia dell’Italia bizantina e indicatori archeologici Qualche ulteriore riflessione

  • Publication type: Journal article
  • Journal: Cahiers de recherches médiévales et humanistes / Journal of Medieval and Humanistic Studies
    2014 – 2, n° 28
    . varia
  • Author: Zanini (Enrico)
  • Abstract: Fifteen years after the appearance of a first general study on the impact of Byzantine rule on the economy of some Italian regions in the early Middle Ages, this paper seeks to develop our thinking on three main themes : the economic role of the Gothic war; the role of Byzantine power in separating the economy of the two Italies (Byzantine and Lombard); and the role of the macro-economic Mediterranean system (6th to 8th c.) in defining the relationship between ­commerce and the state-­controlled economy.
  • Pages: 431 to 458
  • Journal: Journal of Medieval and Humanistic Studies
  • CLIL theme: 4027 -- SCIENCES HUMAINES ET SOCIALES, LETTRES -- Lettres et Sciences du langage -- Lettres -- Etudes littéraires générales et thématiques
  • EAN: 9782812445682
  • ISBN: 978-2-8124-4568-2
  • ISSN: 2273-0893
  • DOI: 10.15122/isbn.978-2-8124-4568-2.p.0431
  • Publisher: Classiques Garnier
  • Online publication: 04-29-2015
  • Periodicity: Biannual
  • Language: Italian
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Economia dellItalia bizantina
e indicatori archeologici

Qualche ulteriore riflessione

Questo breve saggio è stato concepito come un «aggiornamento» su un tema su cui lavoro – per la verità in maniera assai intermittente – da ormai due decenni, a partire dalla elaborazione della mia tesi di dottorato, divenuta in seguito un libro, dedicata alla leggibilità in termini archeologici della prima dominazione bizantina in Italia, tra VI e VIII secolo1. Mi sono risolto a iniziare con questa notazione autoreferenziale perché tutte le idee di questo saggio traggono origine da una prolungata rimeditazione di alcuni temi che in quella prima versione erano esposti dichiaratamente in forma di «tesi», ovvero di presentazione di un piccolo «sistema» che cercava di mettere insieme fonti di evidenza diverse per costruire una immagine complessiva, senza poter dare spazio sufficiente a tutte le variabili che ciascun sistema di fonti inevitabilmente portava con sé.

Il libro-tesi era infatti incentrato su una proposta storiografica di fondo e su un corollario.

Lidea di fondo era che la dominazione bizantina che si era protratta per tempi diversi su molte regioni dellItalia peninsulare avesse potuto rappresentare una variabile significativa nel complesso meccanismo della trasformazione della società italiana tra tarda antichità e alto medioevo.

Il corollario era che lesistenza di questa variabile potesse essere verificata attraverso evidenze archeologiche, a quel tempo quantitativamente ancora limitate ma a mio parere particolarmente significative, in diversi ambiti, tra cui quello economico.

Nello specifico, un confronto tra le carte di distribuzione dei ritrovamenti sul territorio dellItalia peninsulare di alcune classi di reperti ceramici – in particolare la ceramica fine da mensa prodotta in Africa settentrionale tra

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VI e VII secolo e le anfore prodotte nel Mediterraneo orientale nello stesso periodo2 – e le carte geopolitiche della dominazione bizantina in Italia in quegli stessi secoli mi aveva fatto avanzare lipotesi – espressa in maniera molto «diretta», comè proprio di una tesi – che si potessero individuare in Italia due orizzonti economici ben distinti, uno che riguardava le regioni rimaste più a lungo «bizantine» e laltro che riguardava le regioni invece passate più precocemente sotto il controllo longobardo.

Lidea della possibile esistenza di una «variabile bizantina» nelleconomia delle diverse regioni italiane tra tarda antichità e alto medioevo ha avuto un qualche apprezzamento critico ed è stata oggetto anche di uno specifico dibattito, soprattutto tra gli archeologi, che hanno in più di un caso provato a confrontare con questa idea limmagine che veniva progressivamente restituita dallo studio dei diversi contesti materiali, in regioni bizantine e in regioni non bizantine. Con risultati, comera del resto del tutto ovvio attendersi, assai alterni: tanto le conferme quanto le smentite hanno rivelato quanto il tema fosse in sé proponibile e quanto lavoro richieda ancora una sua definizione meno approssimativa.

In questa sede non mi pare tuttavia utile ritornare su quel dibattito per cercare di dimostrare se e quanto lidea originaria sia oggi ancora sostenibile, quanto piuttosto provare a riflettere su quel tema alla luce da un lato della acquisizione di nuove basi di dati o della rielaborazione più sistematica di dati già noti e dallaltro di una più meditata consapevolezza della problematicità della ceramica come potenziale indicatore economico.

In particolare, vorrei focalizzare la riflessione attuale su tre aspetti che mi appaiono oggi come «irrisolti» – e, almeno in un caso, semplicemente non affrontati – nel mio studio originario:

1. Il possibile ruolo economico avuto da un evento complesso come la guerra greco-gotica nelle vicende italiane – non solo del ventennio 534-554, ma anche nelle fasi successive – come elemento determinante di alcuni aspetti fondamentali delleconomia di molte regioni italiane, anche nella prospettiva di tentare di

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individuare eventuali e potenziali indicatori archeologici su cui orientare la ricerca nel prossimo futuro.

2. Il concreto valore discriminante assunto dalla dominazione bizantina nella separazione dei modelli economici delle «due Italie», quella bizantina e quella longobarda; anche in questo caso sviluppando la riflessione sulla possibilità di individuare nella distribuzione della ceramica di importazione – ma anche, forse, delle monete e delle merci di maggior pregio – un indicatore archeologico realmente affidabile.

3. Il ruolo – e le forme concrete in cui esso si estrinsecava, in particolare nel complesso rapporto tra economia mercantile ed economia diretta dallo stato – del sistema macroeconomico del Mediterraneo protobizantino nel definire lassetto di alcune almeno delle regioni italiane nel VI, nel VII e in parte dellVIII secolo.

Economia di una guerra

Comè universalmente noto, la guerra greco-gotica si è consolidata nella storiografia sullItalia tardoantica e altomedievale nelle forme del disastro assoluto e definitivo3. Qualcosa che sta a metà tra il topos narrativo – cui ricorrere non fossaltro per brevità al momento di spiegare il collasso delle entità più diverse, dalleconomia di una intera regione fino alla distruzione di un singolo edificio – e la convenzione storiografica, utile se non altro per marcare un punto fermo di fine (o di inizio) in quel magma di molteplicità, di differenze e di asincronie4 che è la tarda antichità in generale e i suoi secoli più avanzati in particolare5.

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Mi pare che questo approccio, oggi, non colga bene la complessità, interna ed esterna, di un fenomeno davvero molto articolato, sia per la sua durata, sia per le sue dinamiche territoriali, sia per la stretta relazione che lo lega allintero sistema di espansione, controllo, difesa del territorio dellimpero protobizantino nelletà di Giustiniano6. Un sistema che è sì militare, ma che è anche e soprattutto economico e che da questo punto di vista può essere dunque più utilmente essere letto.

In primo luogo – ma qui siamo davvero nel campo dellovvio più assoluto – perché la guerra in generale è un elemento strutturale dei sistemi economici antichi, e per la verità non solo di quelli. Nella fattispecie, il sistema delle guerre giustinianeo è forse il principale strumento operativo attraverso cui uno stato grande e articolato come quello protobizantino del VI secolo poteva raccogliere un surplus immediato (in termini di bottini) e un surplus stabile nel tempo – in termini di risorse ecologiche ed economiche – da sfruttare e redistribuire, in funzione del soddisfacimento delle tante necessità di una compagine sociale particolarmente complessa da ogni punto di vista7.

In secondo luogo perché, nel caso specifico, la lunga guerra del VI secolo non è per lItalia solo un elemento di chiusura della lunga stagione delleconomia romana e tardoantica: è anche un elemento di apertura, perché (ri)apre lItalia – o almeno una parte sostanziale di essa – ad una economia complessa a scala mediterranea. Una economia fatta, in questo periodo e per almeno ancora un secolo fino alla metà del VII – ma per molti versi ancora oltre, fino agli inizi del IX – di un grande sistema macroeconomico unitario in grado di ricondurre a sintesi le tante microeconomie (e/o microecologie) locali che caratterizzano nel lungo periodo le regioni costiere e insulari del Mediterraneo stesso8.

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Da questo punto di vista, la guerra greco-gotica finisce per divenire paradossalmente un elemento economicamente «positivo», perché, pur essendo per definizione una guerra di conquista e quindi potenzialmente di rapina, consente di fatto a molte delle regioni peninsulari e alle due isole maggiori di entrare (o di rientrare, nella logica giustinianea della ri-conquista dellItalia e dellAfrica settentrionale) a pieno titolo allinterno del sistema mediterraneo; di riorganizzare in forme nuove quel fondamentale rapporto ecologico/economico originario in funzione di un nuovo sistema macroeconomico, il cui fulcro non è più Roma ma Costantinopoli.

In altri termini, mi pare di poter dire oggi che la guerra greco-gotica non debba essere più letta come la tabula rasa su cui, a seconda delle regioni, si ricostruisce il sistema economico tardoantico nelle forme specifiche dellepoca protobizantino9 o si costruisce ex novo un sistema economico del tutto diverso, decisamente più semplificato e che prelude più direttamente agli esiti medievali.

Mi parrebbe invece più attinente una immagine di quella guerra – che dura nel suo insieme un ventennio, quindi il tempo intero di una generazione umana, e che interessa in forme e tempi diversi una porzione sostanziale del territorio italiano –, come elemento strutturale e dinamico della trasformazione economica dellItalia in questi secoli.

Un elemento che ha un prima, un durante e un dopo.

Il prima è anchesso un tempo lungo, che inizia di fatto con il 476, quando linvio delle insegne imperiali romane a Costantinopoli costruisce il quadro di legittimità istituzionale e giuridica per il mantenimento (o la riconduzione) dellItalia allinterno del sistema economico del Mediterraneo protobizantino, che mi pare a sua volta il più potente motore della politica giustinianea di riconquista.

In termini di macroeconomia mediterranea, il controllo dellItalia significava molte cose.

In primo luogo, ovviamente, garantire importanti fonti di approv-vigionamento per la macchina imperiale che si andava ampliando e articolando, soprattutto sul fronte militare, in relazione con il rapido

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aumento dellestensione delle frontiere da difendere e del numero e della qualità dei potenziali contendenti.

In secondo luogo, garantire/migliorare i collegamenti con un mondo vasto come quello dellEuropa continentale – dal regno franco alla Scandinavia – che rappresentava un mercato senzaltro interessante per le derrate di qualità prodotte nel Mediterraneo e per le merci di pregio che transitavano per i territori bizantini provenendo dallOriente.

In terzo luogo, perché lItalia, insieme allAfrica ricondotta sotto il controllo imperiale nel corso dello stesso processo, costituiva un valore aggiunto in sé, come nucleo fondante delleconomia dellimpero romano e come luogo storico di radicamento della grande aristocrazia fondiaria. Non a caso sono proprio queste e non altre le due conquiste che Giustiniano decise di celebrare specificamente nelle perdute pitture che decoravano un luogo altamente simbolico come il vestibolo dingresso del Grande Palazzo di Costantinopoli10.

Tutto questo rientra nel campo delle idee e non è quindi immediatamente praticabile la prospettiva di una ricerca di una «prova» archeologica a supporto del ragionamento. Ma che ci sia una ben definitiva motivazione economica a presupposto dellavvio della guerra gotica sembra suggerito da almeno due ordini di possibili evidenze: qualche sintomatico accenno nelle fonti e una riflessione sugli esiti.

Al primo ordine di evidenze deve essere ascritta, a mio parere, la ripetuta comparsa sulla scena di mercanti orientali11 in alcuni dei momenti più cruciali della guerra in Africa e in Italia12. Ma anche linteressante coincidenza cronologica tra lorganizzazione della questura exercitus per gestire il rifornimento annonario alle truppe attestate sulla riva danubiana e la conquista dellAfrica (e lavvio della conquista dellItalia), che potrebbero essere viste anchesse come parte di un

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disegno analogo volto a garantire il mantenimento delle truppe lungo i confini occidentali.

Al secondo ordine di possibili evidenze devono essere ascritti alcuni fenomeni archeologicamente rilevabili e ormai ben noti – per esempio la consistente presenza di merci di pregio di produzione e/o commercializzazione bizantina nelle regioni dellEuropa centro-settentrionale o anche la presenza molto rilevante di anfore orientali in Gallia13 – che testimoniano entrambi della messa in atto di un sistema commerciale ben organizzato e che presuppongono quindi la disponibilità delle infrastrutture viarie e portuali in grado di sostenerlo. Che questo sistema infrastrutturale sia basato in Italia è ovviamente solo una congettura, ma il fatto per esempio che la perdita del controllo bizantino sulla rete portuale della Liguria coincida cronologicamente con la fine dellarrivo delle anfore orientali a Marsiglia e in Gallia14 è un elemento che sottolinea un legame – al di là di come si distribuiscano tra i due poli le cause e gli effetti – e che meriterà quindi di essere approfondito. Così come meriterà una ulteriore riflessione interpretativa la dinamica del «disimpegno progressivo» dellamministrazione imperiale dal controllo dellItalia, che sembra incentrata sulla necessità di mantenere fino allultimo il dominio su alcuni territori (le estreme regioni meridionali e il sistema dei porti), evidentemente ritenuti più necessari di altri da molti punti di vista.

Ma, come accennavo poco fa, la guerra gotica mi pare possa avere un suo significato economico dinamico – e quindi potenzialmente «positivo», con tutte le cautele connesse con luso di questo termine – anche nel suo farsi concreto, ovvero proprio nei ventanni in cui avrebbe dovuto costituire lelemento catalizzatore della crisi definitiva.

Che la guerra – ogni guerra e a maggior ragione una guerra che dura ventanni – sia di per sé un elemento dinamico almeno in termini di microeconomia è una affermazione solo apparentemente paradossale. Ogni esercito in movimento porta con sé denaro, che viene speso in qualche modo – tendenzialmente nel soddisfacimento di bisogni elementari – e

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che alimenta quindi una microeconomia monetaria, che, in una fase in cui i sintomi di una progressiva de-monetarizzazione delleconomia di pace cominciano a farsi comunque evidenti15, mi parrebbe comunque un elemento interessante su cui riflettere.

Le fonti letterarie ci offrono frequenti riferimenti in questo: il caso sopra citato del mercante siriano di Napoli è a suo modo emblematico e si accorda assai bene con limmagine che restituisce, qualche decennio più tardi linstallarsi nella Roma bizantina di una organizzata colonia di mercanti orientali, in grado di cambiare il volto, anche edilizio, di una porzione dellantico centro monumentale della città16.

Ma anche a una scala ancora più minimale gli esempi non mancano: elemento microeconomico è per esempio lassunzione da parte dellamministrazione militare bizantina di Roma dei civili rimasti privi delle loro attività artigianali a seguito della guerra e che vengono impegnati nella manutenzione e nel restauro delle mura, a fronte di un pagamento in denaro da destinare allacquisto di cibo su un mercato locale che viene evidentemente stimolato anche da questa congiuntura e che riesce comunque a far fronte alla richiesta17.

Al di là della loro certificazione episodica in questa o quella fonte letteraria, meccanismi di questo tipo appaiono ragionevolmente prevedibili soprattutto nel caso di una guerra così lunga come quella greco-gotica, per la quale non sembra davvero possibile pensare che un esercito relativamente numeroso sia rimasto in campagna per anni/decenni gravando esclusivamente sulleconomia locale. Una economia microterritoriale di livello appena superiore a quello della semplice sussistenza, comè quella che è possibile immaginare per gran parte delle regioni peninsulari italiane, non è evidentemente in grado di sopportare limpatto di un macroevento come quello della guerra greco-gotica e sarà quindi necessario immaginare le forme per cui questo evento si sia rivelato alla

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fine in qualche modo «sostenibile». La chiave di lettura ce la forniscono ancora una volta le fonti letterarie, in particolare quelle giuridiche, in cui sono relativamente abbondanti le norme riguardanti le procedure da adottare per il mantenimento degli eserciti in campagna, per lo più attraverso un riequilibrio tra risorse trasferite dallamministrazione centrale, risorse reperite attraverso riorganizzazioni del sistema di tassazione e risorse recuperate direttamente sul teatro di guerra18.

Evidentemente più complicata è la questione di una eventuale visibilità archeologica di meccanismi così complessi, anche se qualche esperimento fatto in questo senso ha rivelato spazi di ricerca davvero interessanti19.

La guerra greco-gotica fu infine non solo lunga, ma anche intermittente e questo comporta che elementi di microeconomia ed elementi di macroeconomia si siano alternati in qualche modo naturalmente nella sequenza delle fasi di conflitto e delle fasi di pace nei singoli territori. Alla fase dura del conflitto aperto segue, alla scala territoriale del singolo centro o della microregione, linstallarsi del potere militare bizantino e il consolidarsi di una nuova élite, che diviene ovviamente a sua volta un nuovo soggetto economico: in termini di consumi e in termini di redistribuzione delle risorse attraverso le attività che sono proprie ad una élite che deve affermarsi, rappresentarsi ed auto-rappresentarsi.

Un elemento economico non irrilevante connesso alla guerra è rappresentato per esempio dalle attività di ricostruzione e di riassetto del territorio messe in campo dal governo bizantino allindomani della riconquista dei singoli territori. Costruire mura, strade, ponti e acquedotti20 – ma anche dar vita ad atti di evergetismo individuale da parte degli esponenti della nuova élite militare o comunque di coloro che alla

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nuova dominazione politica sono legati21 – si traduce inevitabilmente nella generazione di un meccanismo economico «positivo», in cui un travaso di denaro da un corpo economico più strutturato (limpero mediterraneo orientale) a un corpo economico in grave crisi (lItalia uscita in ginocchio dalla guerra) genera credibilmente una ripresa in questultimo.

In questo caso, la visibilità complessiva del fenomeno è senzaltro potenzialmente maggiore, anche se il legame tra manufatti archeologicamente registrabili e i meccanismi socioeconomici e culturali che ne determinarono lesistenza deve essere ricostruito di volta in volta. Dare una visibilità concreta a fenomeni microeconomici è difficile ma non impossibile e si tratta semmai di un problema di metodo. Riuscire a vedere in archeologia fenomeni complessi in cui entrano in scena comportamenti individuali e collettivi (rango, microeconomia ecc.) è anche questione del prendere atto delle opportunità conoscitive che ci sono offerte dalla intrinseca polisemicità delle tracce archeologiche, che può essere assunta come un valore in sé, esplorando consapevolmente tutto luniverso dei significati possibili22.

Dal momento in cui si conclude, la guerra greco-gotica cessa di essere un elemento rilevante soprattutto in una dimensione microeconomica a scala locale per divenire un elemento essenzialmente macroeconomico alla scala dellintero territorio.

La riconquista dellItalia da parte bizantina vuol dire sotto questo profilo molte cose.

In primo luogo, sancisce un nuovo status politico-economico per la Sicilia23 e, sia pure con una importanza oggettivamente minore, per la Sardegna24. La Sicilia in particolare, pur continuando ad essere legata

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ai sistemi economici romano e ravennate attraverso le grandi proprietà fondiarie della Chiesa, diviene uno dei punti forti del sistema economico costantinopolitano, mutando in maniera profonda uno degli assetti fondamentali di lunghissima durata delleconomia del Mediterraneo antico25.

In secondo luogo, la riconquista sancisce linserimento dellItalia peninsulare – o quanto meno della parte a sud del Po – nel sistema amministrativo dellimpero e quindi nel suo sistema macroeconomico largamente controllato dallo Stato centrale e dalle sue articolazioni periferiche.

In terzo luogo, sancisce lo status complessivo di provincia «di frontiera» dellItalia e quindi il suo collegamento con il complesso meccanismo dellannona militare che costituisce in questepoca uno dei capisaldi assoluti di un sistema economico molto articolato.

Le forme in cui queste tre istanze si tradussero nel concreto riassetto del sistema economico italiano allindomani del 554 ci sfuggono ancora largamente, così come largamente indeterminate sono le forme della interazione tra di esse in ogni singolo contesto territoriale che possiamo provare ad analizzare a partire dagli indicatori offerti dallarcheologia.

In questo caso, poi, il problema del rapporto tra fenomeno economico e sua visibilità archeologica rischia addirittura di apparire «ribaltato». Per sua natura, la macroeconomia mediterranea è particolarmente ben visibile nel registro archeologico perché ben visibili sono i suoi indicatori principali.

Le merci che si spostano in grande quantità (le anfore), le merci che mutano la loro forma con grande rapidità (le ceramiche fini da mensa) e le merci che viaggiano facilmente sul grandi distanze (i manufatti di grande pregio)26 sono infatti particolarmente ben leggibili per contrasto

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rispetto al «rumore di fondo» generato dalle produzioni locali (ceramica comune e grezza), le quali, essendo legate al soddisfacimento di bisogni tendenzialmente più costanti nel tempo e condizionate dalla qualità delle materie prime disponibili localmente, tendono a loro volta a mantenere altrettanto costanti, pur con le ovvie variabili, i caratteri produttivi, le forme e gli ambiti territoriali di distribuzione27. Questa visibilità differenziale si avverte tanto più in questa fase che è caratterizzata da una progressiva semplificazione complessiva dei registri archeologici per quel che attiene a tutte le manifestazioni della cultura materiale.

Ne deriva una ipervisibilità della macroeconomia mediterranea28 che finisce per catalizzare lattenzione dei ricercatori e per oscurare del tutto la trama fitta delle microeconomie locali che sono invece laltro asse, altrettanto importante, su cui si fonda leconomia dellItalia e del Mediterraneo in questepoca e più in generale nella lunga durata dellAntichità e della Tarda Antichità29.

Un secondo limite alla nostra capacità di lettura di questa fase è poi rappresentato dal tempo. Il «dopoguerra» della guerra greco-gotica è decisamente breve, anche se non è possibile definire con chiarezza quanto duri. Almeno teoricamente lItalia peninsulare rimase un insieme unitario fino alla migrazione longobarda del 568/569 e allo sfondamento del

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limes padano nel 572, ma a questo momento la realtà stessa dellimpero bizantino era già profondamente mutata, soprattutto sul versante macroeconomico. Già ben prima della morte di Giustiniano linterazione di una serie di concause ben note ma forse non ancora adeguatamente analizzate nella portata economica del loro insieme, la grande peste30 e il cluster sismico della metà del VI secolo31 e il confronto militare intermittente e senza fine con limpero persiano, aveva determinato un mutamento profondo delle condizioni economiche del Mediterraneo bizantino di cui lItalia era divenuta una componente a sua volta fondamentale e complessa.

Tentare di leggere tutto questo, per via archeologica, su un tempo troppo breve – comunque ben inferiore, per intenderci, alla durata media di vita e di circolazione di un indicatore archeologico specifico come una forma anforica o anche una forma di ceramica fine da mensa – è un esercizio tuttal più di determinismo esasperato e in buona sostanza privo di senso reale.

Converrà dunque tenere presente questo possibile ruolo del «dopoguerra» come ulteriore elemento di complessità – e quindi di interesse – nella lettura del periodo successivo, caratterizzato dalla lunga fase del confronto bizantino-longobardo.

Italia bizantina vs Italia longobarda?

Il secondo macro-tema economico affrontato nella tesi-libro di quindici anni fa era quello di una possibile bipolarità dellItalia dei primi secoli dellalto medioevo, con una differenziazione netta – al di là di tutte le pur evidenti variabili regionali e subregionali – tra le regioni italiane rimaste più a lungo e più organicamente allinterno del sistema economico bizantino e quelle passate più precocemente sotto il controllo longobardo.

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Strettamente correlato a questo era poi un ulteriore tema, rappresentato dal ruolo centrale dellamministrazione statale bizantina, attraverso il complesso sistema dei suoi diversi sistemi annonari – civile, militare e religioso –, nella costruzione di tale differenza.

Le risposte del libro-tesi erano ancora una volta piuttosto nette ed erano due sì. E proprio questa nettezza ha suscitato un certo interesse e ha alimentato un certo dibattito successivo che si è articolato su due livelli: quello del sostanziale consenso/dissenso rispetto alle due tesi32 e quello, assai più complesso e quindi più interessante, della migliore definizione di indicatori archeologici e di strumenti concettuali per la loro interpretazione a sostegno o a smentita.

Tra gli indicatori archeologici, la ceramica di importazione (anfore e ceramica fine da mensa) ha avuto ovviamente un ruolo centrale, per una serie di ragioni complesse che superano spesso il suo oggettivo valore documentario e che spaziano dalla tradizione degli studi alle pratiche consolidatesi in questi ultimi due decenni nella ricerca archeologica sul campo33.

Rispetto al censimento su cui erano basate le considerazioni del 199834 [Fig. 1], il panorama delle attestazioni si è ampliato sicuramente di molto, ma proprio a causa della continua espansione della base di dati, della persistente frammentazione della loro pubblicazione35 e della

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molteplicità degli approcci possibili appare sempre più complicato riu-scire a ricondurle a una sintesi organica alla scala del territorio italiano36.

Laddove una sintesi è stata tentata – sia pure a una scala ridotta a sole sette regioni (nel senso geografico attuale) dellItalia centro-settentrionale e prendendo in considerazione solo la distribuzione della ceramica fine da mensa di produzione africana da contesti pubblicati37 – limmagine che ne è scaturita [Fig. 2-3] ha da un lato confermato la sostanziale validità dellipotesi di bipartizione dellItalia del VI-VIII secolo tra un mondo economico «bizantino» e un mondo economico «longobardo» e dallaltro ha introdotto, come era del tutto lecito attendersi, ulteriori elementi di complessità a loro volta potenzialmente riconducibili ad altre variabili.

Le carte di distribuzione, con tutti i loro oggettivi limiti intrinseci legati alla relativa casualità della copertura territoriale delle ricerche

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archeologiche, alla natura dei diversi insediamenti e alla differente qualità metodologico-procedurale delle ricerche stesse e della loro pubblicazione, continuano infatti a rivelare una disomogeneità nella distribuzione delle attestazioni di cui occorre prendere atto e cui bisogna cercare di trovare una spiegazione. Tanto più se si tiene conto che il sommarsi e il sovrapporsi delle diverse variabili finisce per rendere le distribuzioni stesse sempre meno potenzialmente dipendenti da una singola variabile prevalente, finendo quindi per confermare lattendibilità complessiva del campione statistico.

Se la carta di distribuzione della ceramica fine da mensa di produzione africana nellItalia centro-settentrionale continua a presentare aree di concentrazione contrapposte ad aree di diradamento e se queste aree corrispondono almeno a grandi linee alla divisione tra territori bizantini e territori longobardi vuol dire che lipotesi iniziale continua ad essere perseguibile e che si tratterà semmai di affinare lanalisi, introducendo algoritmi più raffinati in grado di tener conto di variabili diverse per provare a sviluppare modelli potenzialmente più aderenti alla realtà.

Se cè una parola chiave che ha caratterizzato la riflessione sulleconomia dellItalia tardoantica/protobizantina/altomedievale in questultimo decennio è dunque la parola complessità, che, nel caso specifico della ricostruzione di meccanismi economici a partire da indicatori materiali, devessere declinata in almeno tre diverse accezioni.

La prima accezione è intrinseca alla natura della fonte archeologica ed è rappresentata dalla complessità del rapporto tra indicatore archeologico e suo significato; la seconda è collegata al rapporto archeologia/storia economica ed è rappresentata dalla complessità del sistema di produzione e distribuzione delle merci; la terza è collegata direttamente al sistema economico in quanto tale ed è rappresentata dalla complessità dei rapporti tra economia di mercato ed economia diretta dallo Stato.

Il primo aspetto è evidentemente connesso alla natura stessa della disciplina archeologica ed ha quindi un campo di discussione che esula largamente dallambito di questo lavoro. Varrà però la pena di sottolineare qui un solo aspetto che può essere particolarmente significativo per quel che riguarda leconomia dellItalia protobizantina e che è rappresentato dalla necessità di provare a identificare linsieme dei passaggi che un manufatto compiva dal momento/luogo della sua produzione a quelli del suo scarto e del suo definitivo ingresso nel registro archeologico.

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Per gli indicatori che abbiamo fin qui individuato (ceramica da mensa e anfore) questi passaggi sono evidentemente differenti: differenti sono la natura stessa del manufatto (merce primaria la ceramica da mensa, semplice strumento di imballaggio le anfore), il modo di distribuzione (penetrazione più capillare per la ceramica da mensa, raggio di distribuzione più corto rispetto al punto di arrivo sulla costa per le anfore da trasporto), la forma di uso (tendenzialmente univoca per la ceramica da mensa, particolarmente soggette a usi alternativi le anfore), i tempi di uso (unitari ma possibilmente anche prolungati nel tempo per la ceramica da mensa, discontinui e ripetuti nel tempo per le anfore), le forme del riuso e dello scarto.

Tutto questo genera ovviamente un livello di complessità che sfiora e spesso oltrepassa la soglia del caos38, ma costituisce anche a ben guardare un valore specifico proprio se e quando le carte di distribuzione della ceramica da mensa e delle anfore da trasporto si sovrappongono, costituendo lindicatore di un differenziale di distribuzione tra regioni raggiunte e regioni non raggiunte da entrambi questi prodotti/indicatori che è evidentemente legato a una «forza» economica di grado superiore39. In altri termini, quando le anfore di produzione orientale e la ceramica da mensa di produzione africana raggiungono entrambe in quantità significativa un insediamento militare come S. Antonino di Perti in Liguria40, violando di fatto tutte le «regole» della distribuzione specifiche per ognuna delle due classi di materiali, questo semplice fatto deve costituire in sé un elemento da cui far partire la riflessione.

Il secondo aspetto è anchesso evidentemente di ordine generale perché riguarda la possibilità concreta di ricavare informazioni credibili sul funzionamento del sistema economico e commerciale a partire da indicatori archeologici, indipendentemente dai contesti spazio/temporali

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di riferimento41. Anche in questo caso, gli ultimi quindici anni hanno portato contributi rilevanti sotto il profilo teorico-metodologico, che hanno consentito di superare almeno in parte la contrapposizione tra ottimisti e scettici che aveva contraddistinto in buona sostanza la prima fase degli studi42 e hanno ridefinito lattendibilità della ceramica di importazione come indicatore archeologico quanto meno in forma di proxy evidence e/o di analogia indiretta43.

Anche sotto questo profilo, cè da dire che proprio il panorama così contrastante che emerge dalle carte di distribuzione della ceramica di importazione nellItalia del VI e VII secolo costituisce un ulteriore argomento di riflessione, perché consente di valutare quale sia la «reazione» di territori in larga misura analoghi, ma inseriti in sistemi macroeconomici profondamente diversi, in termini di circolazione di specifiche categorie di prodotti. La distribuzione «irregolare» della ceramica fine da mensa e delle anfore da trasporto di provenienza mediterranea – la cui percezione dovrà essere ulteriormente migliorata realizzando carte che indaghino non solo sui luoghi di attestazione, ma anche su quelli di non attestazione in presenza di scavi sufficientemente estensivi44 – costituisce un indicatore prezioso proprio per riflettere su molti aspetti della circolazione delle merci di cui la ceramica stessa è indicatore di prossimità o per analogia.

Per esempio sulla distribuzione del grano, dei cui carichi navali la ceramica da mensa era quasi sicuramente merce di accompagnamento, o sulle rotte commerciali del vino e dellolio, di cui le anfore sono una traccia concreta che deve essere però continuamente reinterpretata alla luce delle pratiche sempre più diffuse in questepoca del riuso dei contenitori anche per portare liquidi diversi da quelli originari45.

Lultima considerazione introduce al terzo aspetto, ovvero alla individuazione del motore principale (o dei motori principali) delleconomia della distribuzione delle merci nellItalia bizantina. In questo caso, mi pare che lassunto del libro/tesi, che vedeva un ruolo preminente dello

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Stato proprio come elemento di differenziazione netta rispetto al sistema longobardo46, debba essere ampiamente ridiscusso47.

La pubblicazione estensiva di contesti di rinvenimento particolarmente consistenti e significativi – primi fra tutti quelli relativi a contesti duso di Roma – Crypta Balbi48, del castrum di S. Antonino di Perti49 e dellinsieme degli scavi urbani di Marsiglia50, ma anche, ovviamente, quelli dei depositi a carattere più squisitamente commerciale come quelli di Classe51 – offre una cospicua materia di riflessione.

In una rapidissima sintesi verrebbe da dire che mercato e Stato appaiono oggi, almeno a me, assai più mescolati di prima: il fatto che le percentuali di attestazione dei medesimi prodotti di importazione siano pressoché le stesse in tre contesti così profondamente diversi come Marsiglia, Castrum Perti e Roma impone una riflessione complessa che può essere sviluppata solo in parte in questa sede52. E infatti evidente che si tratti di tre casi che, al di là degli specifici problemi di ciascuno di loro, possono essere ben rappresentativi di altrettante realtà economiche diverse: a Marsiglia non si può evidentemente parlare di un ruolo dello Stato bizantino in quanto tale; a Castrum Perti non sembra plausibile pensare a meccanismi puramente commerciali in relazione al numero plausibilmente molto basso di potenziali acquirenti; a Roma siamo di fronte probabilmente al massimo della complessità possibile, dove meccanismi distributivi regolati dallo Stato si intrecciano a interessi economici privati (il contesto della Crypta Balbi ha probabilmente molto a che fare con gli esponenti di una famiglia economicamente molto potente come quella degli Anici ed è comunque sicuramente collegato a una istituzione religiosa).

Tre panorami analoghi in tre condizioni così diverse invitano a due possibili soluzioni: una è apparentemente più semplice e non riconosce alla ceramica il ruolo di indicatore attendibile perché linsieme delle

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variabili rende incongruente il rapporto tra indice e sistema economico che lo determina. Una seconda soluzione è a prima vista certamente più complicata, perché parte dallassunto che la complessità intrinseca di questa vicenda sia in realtà in sé un valore, nel senso che rende concretamente percettibile la complessità del sistema socio-economico mediterraneo della prima età bizantina.

Da questo punto di vista, quello dellItalia bizantina del VI-VIII secolo mi pare un osservatorio straordinariamente interessante: da un lato proprio perché rende ben visibile una complessità sistemica che è certamente una delle chiavi di lettura della Tarda Antichità mediterranea53 ma che è probabilmente altrettanto presente, se non altrettanto visibile, anche nel mondo romano. Dallaltro lato perché è proprio nella complessità sistemica che penso si possa individuare il punto nodale della differenza tra il mondo bizantino e quello longobardo.

In altri termini, mi pare di poter dire che quel che distingue realmente lItalia bizantina dallItalia longobarda e che è «nascosto» sotto le fluttuanti, imprecise, aggiornabili, ma sempre significative, carte di distribuzione di questa o quella categoria di prodotti ceramici, è per lappunto il tasso intrinseco di complessità del sistema economico. Un differenziale che si apprezza – e dove non lo si apprezza concretamente mi pare francamente necessario supporlo – alla scala della macroeconomia mediterranea54, e forse ancor di più alla scala delle microeconomie locali: reti di scambio interregionali e subregionali dirette alla distribuzione locale di surplus produttivi55; proliferare delle produzioni locali in grado di rifornire di manufatti di qualità medio-alta le vecchie e nuove élites e anche per qualche verso la middle class che costituivano il complesso corpo sociale nel mondo bizantino56; monetarizzazione per

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sistente delleconomia locale di scambio certificata dalla circolazione di monete di piccolo e medio conio57.

Questioni di cronologia

La dinamica della complessità si fa se possibile ancora più ricca se la si intreccia con quella della cronologia.

Uno dei punti del libro del 1998 che ebbe maggiori riscontri positivi allinterno della comunità scientifica fu il tentativo di lavorare su cronologie estremamente raccorciate e articolate, laddove possibile, su base regionale; a partire dallidea di fondo che la pluralità delle «Italie bizantine» potesse essere letta solo in ragione della molteplicità dei tempi e degli spazi.

Questa idea ha una ricaduta direi interessante anche sotto il profilo dello studio del sistema economico non solo dellItalia bizantina, ma anche della trasformazione dellintero sistema macroeconomico mediterraneo attraverso la grande crisi che abbraccia, ovviamente con modi e tempi diversi nelle diverse aree regionali e subregionali, la parte finale del VI secolo, il VII e soprattutto lVIII secolo58.

Una volta accettato il fatto che le regioni bizantine dItalia sono parte integrante del sistema economico mediterraneo, ne consegue che esse possono costituire un osservatorio straordinariamente interessante per studiare levoluzione di quel sistema a partire da basi di dati archeologici ampie ed affidabili come difficilmente ancora si riscontra in altre regioni nel Mediterraneo.

In particolare, mi pare che nelle regioni dellItalia bizantina si possa cogliere meglio che altrove, nella sua dimensione diacronica, il variare del rapporto tra macroeconomia a scala mediterranea e microeconomie a scala locale. Ovvero, un frammento particolarmente

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importante – quello finale – di una dinamica economica di lunghissimo periodo che costituisce uno degli assi portanti dellintera storia mediterranea59.

La linea di tendenza mi pare chiara e va nella direzione di una diminuzione della complessità del sistema economico – che si traduce anche evidentemente in una diminuzione complessiva del «benessere60» – e in una sua progressiva «localizzazione», ovvero frammentazione in molti sistemi economici largamente differenziati su base regionale e sub-regionale.

E oggettivamente difficile dire quanto questa localizzazione dei sistemi economici sia reale o quanto invece non ci si trovi di fronte solo a una nuova visibilità archeologica di qualcosa che in realtà non è mai venuto meno (il sistema delle microeconomie/microecologie locali)61 e che per i secoli del controllo romano sul Mediterraneo è stato semplicemente «offuscato» nella sua percezione dalla iper-visibilità archeologica della macroeconomia delle merci che si spostano in grandissima quantità, sulle quali, per ragioni che sarebbe interessante indagare più a fondo, si è concentrata lattenzione degli archeologi nellultimo mezzo secolo62.

Di questo percorso di progressiva diminuzione della complessità economica sono ovviamente interessanti gli esiti, ovvero quel ricomporsi almeno apparente di un panorama economico unitario tra Mediterraneo ed Europa continentale, fatto di microeconomie di scala locale63 e di circolazione su lunghissima distanza di piccole quantità – o anche di medie quantità ma focalizzate su direttrici molto precise64 – di merci di grandissimo pregio.

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Ma sono ancora più interessanti, per lappunto, i percorsi, ovvero le tappe intermedie che ci consentono di studiare più nel dettaglio un processo complicato e soprattutto «lungo» – durato due secoli abbondanti, ovvero un tempo equivalente più o meno alla metà della grande stagione della macroeconomia mediterranea romana – e che appare senzaltro riduttivo cercare di incastrare nella dialettica continuità/discontinuità.

Da questo punto di vista, dicevo, lItalia bizantina, con tutte le sue molteplicità, le differenze, le asincronie, può essere davvero un territorio interessante da studiare per provare a leggere, ancora una volta, ambedue le scale: quella delle microeconomie locali e quella della macroeconomia mediterranea.

Per quanto riguarda lorizzonte delle microeconomie locali e del loro progressivo distaccarsi dal macro sistema bizantino esso è per esempio ben visibile, mi pare, nella vicenda paradigmatica dei centri militari del sistema difensivo territoriale delle diverse regioni italiane. Il caso più noto è certamente quello già discusso di Castrum Perti, in Liguria, ma anche altri esempi in regioni diverse – in particolare, per esempio, il castrum di Loppio, nellarea alpina orientale65 – mi sembra stiano fornendo un quadro in qualche misura comparabile. Castrum Perti, almeno nella sua fase iniziale, nel VI secolo e agli inizi del VII, appare strettamente legato a un sistema distributivo delle risorse di tipo annonario, in analogia con quel che accade – mutato tutto quel che cè da mutare – in centri fortificati in qualche misura simili del sistema difensivo dellimpero bizantino, per esempio, della riva danubiana66.

In una fase successiva, la cui cronologia assoluta varia di sito in sito e che mi pare comunque coincidere con il venir meno del diretto controllo dellamministrazione bizantina sui diversi settori della frammentatissima frontiera romano-longobarda, la fine del diretto approvvigionamento annonario cancella solo in parte la visibilità archeologica differenziale di questi siti rispetto al panorama circostante. Castrum Perti sembra continuare a vivere, forse come sede di una di quelle tante piccole élites

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militari che, indipendentemente dalla connessione con il sistema amministrativo bizantino o longobardo, si affermano progressivamente come nuclei autonomi in grado di controllare un microterritorio di riferimento e di gestirne economicamente le risorse67.

Più difficile è ovviamente cogliere fenomeni di questo genere in contesti più grandi e meno isolati, soprattutto quelli urbani, per cui non disponiamo ancora – e difficilmente disporremo in un futuro ragionevolmente vicino – di indagini archeologiche sufficientemente estese. In questo caso, si tratterà piuttosto di lavorare per modelli plausibili, sfruttando a fondo lassunto della dimensione «mediterranea» delle città dellItalia bizantina, per applicare alla loro lettura linsieme delle considerazioni sulla città mediterranea tardoantica e protobizantina che vanno emergendo a seguito delle ricerche sul campo e delle riflessioni teoriche dellultimo decennio68.

Per quanto riguarda invece lorizzonte più ampio della macroeconomia mediterranea, il tema che si propone mi pare essere quello del ruolo che lItalia bizantina – con le sue città, i suoi porti, la sua potenzialità «connettiva» verso lEuropa centrale e occidentale – poté avere, come elemento organico del sistema mediterraneo, nel disegnare la traiettoria di trasformazione di questo stesso sistema.

Lanalogia profonda nel panorama della circolazione delle merci a Roma – ma anche a Napoli o in Sicilia – e a Marsiglia, levoluzione che questo panorama subisce, in parallelo, nel corso del VII secolo, non può non suscitare, come accennavo poco fa, una riflessione sul «motore» di questa circolazione.

Un motore che, in una prospettiva diacronica, mi appare oggi molteplice e variabile, in cui una linea di lunghissimo periodo – quella del commercio transmediterraneo da Est a Ovest e viceversa – si salda per un

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periodo con una istanza dichiaratamente dirigistica, dettata dalla necessità dellamministrazione imperiale di garantire lapprovvigionamento alle truppe dislocate lungo le frontiere. Come e in quali forme queste due istanze diverse trovarono una loro sincronia è ancora tutto da comprendere, ma le famose carte di distribuzione della ceramica mi pare che depongano con chiarezza circa leffetto che questa sinergia produsse.

I castra della frontiera bizantino-longobarda vennero approvvigionati almeno fino a che lamministrazione centrale fu in grado (o ritenne utile) di farlo; le città dellItalia bizantina e le loro aristocrazie poterono sopravvivere (e in qualche caso forse anche prosperare, compatibilmente con la durezza dei tempi di cui si parla) anche grazie a un sistema che garantiva la circolazione delle derrate e delle merci e quindi le possibilità di accumulo della ricchezza offerta da una economia a base monetaria; i grandi centri di commercio del Mediterraneo occidentale, dentro e fuori del territorio dellimpero bizantino, continuarono ad essere punti di smistamento commerciale del surplus di produzione agricola delle regioni orientali e dellAfrica settentrionale.

Il progressivo venir meno della sinergia, già a partire da pochissimi decenni dopo il suo instaurarsi alla fine della guerra greco-gotica, aprì una lunga fase di involuzione, che nelle regioni italiane è possibile leggere per frammenti in scenari diversi, ma che mi pare di poter dire che fu parte integrante della trasformazione dellintero sistema mediterraneo.

Enrico Zanini

Università di Siena

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Fig. 1 – Carta di distribuzione della ceramica fine da mensa africana (TSA) in rapporto ai territori dellItalia bizantino-longobarda: forme prodotte e diffuse rispettivamente nella prima e nella seconda metà del VI secolo (rielab. da Zanini, Le Italie bizantine).

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Fig. 2 – Carta di distribuzione della ceramica fine
da mensa africana (TSA) nellItalia nord-occidentale e centrale:
forme diffuse rispettivamente fino alla metà del V, del VI e
del VII secolo (rielab. da Costa, Definire la complessità).

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Fig. 3 – Siti con presenza di ceramica fine da mensa africana (TSA) nellItalia nord-occidentale e centrale in rapporto ai territori dellItalia bizantino-longobarda (rielab. da Costa, Definire la complessità).

1 E. Zanini, Le Italie bizantine. Territorio, insediamenti ed economia nella provincia bizantina dItalia (VI-VIII secolo), Bari, 1998.

2 Zanini, Le Italie bizantine, p. 314-332; Id., «La ceramica bizantina in Italia tra VI e VIII secolo. Un sistema informativo territoriale per lo studio della distribuzione e del consumo», Acte du viie Congrès International sur la Céramique Médiévale en Méditerranée, Thessaloniki, 2003, p. 381-394.

3 Una utilissima sintesi delle fonti letterarie antiche relative agli effetti disastrosi della guerra in termini di fame e di epidemie è ora in D. Ch. Stathakopoulos, Famine and Pestilence in the Late Roman and Early Byzantine Empire. A Systematic Survey of Subsistence Crises and Epidemics, Aldershot, 2004, p. 271-297.

4 G. W. Bowersock, P. Brown, O. Grabar, «Introduction», Late Antiquity: A Guide to the Postclassical World, ed. G. W. Bowersock, P. Brown, O. Grabar, Cambridge (MA), 1999, p. vii-xiii; E. Zanini, «Intervento», «La caduta di Roma: “fine della civiltà” o fine del tardoantico? Una discussione con Bryan Ward-Perkins», Storica, 47, 2010, p. 103-122.

5 Per sgombrare il campo da possibili equivoci, sarà bene ricordare che neppure il sottoscritto è sfuggito allutilizzo sia del topos (M. Bonfioli, A. Iacobini, E. Zanini, «I Bizantini in Italia», Archeo, 97, 1993, p. 62-63) che della convenzione (Zanini, Le Italie bizantine, p. 6-7).

6 Per un recente inquadramento più generale della guerra greco-gotica allinterno del percorso di trasformazione dellItalia altomedievale, cfr. N. Christie, From Constantine to Charlemagne. An Archaeology of Italy AD 300-800, Aldershot, 2006, p. 34-38.

7 Per un quadro generale, C. Morrisson, J.-P. Sodini, «The Sixth-Century Economy», The Economic History of Byzantium: From the Seventh through the Fifteenth Century, ed. A. E. Laiou, Washington DC (Dumbarton Oaks Studies, 39), 2001, p. 172-220.

8 P. Horden, N. Purcell, The Corrupting Sea. A Study on Mediterranean History, Oxford, 2000; P. Horden, N. Purcell, «Four Years of Corruption: A Response to Critics», Rethinking the Mediterranean, ed. W. V. Harris, Oxford, 2005, p. 348-375.

9 T. S. Brown, Gentlemen and Officers. Imperial Administration and Aristocratic Power in Byzantine Italy. A.D. 554-800, Roma, 1984.

10 Procopio, Aed., I, x, 16.

11 In generale sui mercanti orientali nel Mediterraneo occidentale in età tardoantica, cfr. D. Piéri, «Marchands orientaux dans léconomie occidentale de lAntiquitè tardive», Vivre, produire et échanger : reflets méditerranéens (Mélanges offerts à Bernard Liou), ed. L. Rivet, M. Sciallano, Parigi, 2002, p. 123-132.

12 Per es. Procopio, Bel. Vand., III, xx, 4: mercanti orientali imprigionati da Gelimero a Cartagine perché accusati di essere gli ispiratori occulti dellattacco bizantino allAfrica; Bel. Goth., V, viii, 21: un mercante siriano si impegna molto attivamente nel convincere i Napoletani ad aprire le porte della città alle truppe di Belisario.

13 D. Piéri, Le commerce du vin oriental à lépoque byzantine (ve-viie siècles). Le témoignage des amphores en Gaule, Beyrouth (Bibliothèque archéologique et historique, 174), 2005.

14 M. Bonifay, D. Piéri, «Amphores du ve au viie s. à Marseille : nouvelles données sur la typologie et le contenu», Journal of Roman Archaeology, 8, 1995, p. 94-120.

15 La complessa questione sulla circolazione monetaria nellItalia dellalto medioevo è estensivamente riconsiderata in A. Rovelli, «Coins and Trade in Early Medieval Italy», Early Medieval Europe, 17, 2009, p. 45-76.

16 M. McCormick, Origins of the European Economy. Communications and Commerce A.D. 300-900, Cambridge, 2001, p. 618-622.

17 Cfr. per Procopio, Bel. Goth., I, xxv. Vale la pena di notare come in questo contesto di microeconomia di guerra si inseriscano anche come elementi in qualche maniera «positivi» anche i numerosissimi fenomeni di vendita truffaldina di derrate annonarie in grado di determinare rapidi anche se quasi mai duraturi arricchimenti personali (Procopio, Bel. Goth., III, xvii; III, xix; III, xx; III, xxx).

18 Cfr. per es. Cassiodoro, Var., II, 20; III, 41, entrambe del 510, o Giustiniano, Nov., CXXX, del 1 marzo 545. Per il basso impatto economico degli eserciti in campagna nella guerra greco-gotica, K. Hannerstad, «Les forces militaires daprès la guerre gothique de Procope», Classica et mediaevalia, 21, 1960, p. 136-183; L. Cracco Ruggini, Economia e società nell«Italia annonaria». Rapporti fra agricoltura e commercio dal IV al VI secolo d. C., Bari, 1995, p. 317-318 n. 315.

19 J. Haldon, «La logistique de Mantzikert», Guerre et société au Moyen Âge, Byzance-Occident, viiie-xiiie siècle, ed. D. Barthélemy, J.-C. Cheynet, Parigi (Centre de recherche dhistoire et civilisation de Byzance. Monographies, 31), 2010, p. 11-25.

20 F. de Maffei, «Opere di Giustiniano sul limes orientale: monumenti e fonti», Major Papers of the 17th International Byzantine Congress (Washington 1986), New Rochelle-New York, 1986, p. 237-298; D. Feissel, «Les édifices de Justinien au témoignage de Procope et de lépigraphie», Antiquité Tardive, 8, 2000, p. 81-104.

21 M. Luni, «La basilica cristiana di Iohannis riscoperta a Pesaro», Domum Tuam dilexi. Miscellanea in onore di Aldo Nestori, Città del Vaticano, 1998, p. 529-542; S. Cosentino, «Le fortune di un banchiere tardoantico. Giuliano argentario e leconomia di Ravenna nel VI secolo», Santi, banchieri, re. Ravenna e Classe nel VI secolo. San Severo il tempio ritrovato, ed. A. Augenti, C. Bertelli, Milano, 2006, p. 43-48.

22 E. Zanini, «Archeologia dello status sociale nellItalia bizantina: tracce, segni e modelli interpretative», Archeologia delle strutture sociali nellItalia altomedievale (V-IX secolo), ed. G. P. Brogiolo, A. Chavarria, Padova, 2007, p. 23-46.

23 F. Marazzi, «Il conflitto fra Leone III Isaurico e il papato fra il 725 e il 733, e il “definitivo” inizio del medioevo a Roma: unipotesi in discussione», Papers of the British School at Rome, 59, 1991, p. 231-257.

24 S. Cosentino, «La Sardegna bizantina: temi di storia economica e sociale», Ai confini dellimpero. Storia, arte e archeologia della Sardegna bizantina, ed. P. Corrias, S. Cosentino, Cagliari, 2002, p. 55-68; P. G. Spanu, «Iterum est insula quae dicitur Sardinia, in qua plurima fuisse civitates legimus (Ravennatis Anonymi Cosmographia V, 26). Note sulle città sarde tra la tarda antichità e lalto medioevo», Le città italiane tra la tarda Antichità e lalto Medioevo (Atti del convegno – Ravenna, 26-28 febbraio 2004), ed. A. Augenti, Firenze, 2006, p. 589-614.

25 V. Prigent, « Les empereurs isauriens et la confiscation des patrimoines pontificaux dItalie du Sud », Mélanges de lÉcole française de Rome. Moyen Âge, 116, 2004, p. 557-594; Id., « Le rôle des provinces dOccident dans lapprovisionnement de Constantinople (618-717). Témoignages numismatique et sigillographique », Mélanges de lÉcole française de Rome. Moyen Âge, 118-2, 2006, p. 269-299.

26 E. Zanini, «Forma delle anfore e forme del commercio tardoantico: spunti per una riflessione», LRCW3. Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean. Archaeology and Archaeometry, Comparison between Western and Eastern Mediterranean, ed. S. Menchelli, M. Pasquinucci, S. Santoro, G. Guiducci, Oxford (BAR Int. Ser. 2185), 2010, p. 139-148; E. Zanini, «Ceramica da scavo e modelli economici per il Mediterraneo occidentale protobizantino: una riflessione a partire da alcuni casi di studio», Uomini merci e commerci nel Mediterraneo da Giustiniano allIslam (VI-X sec.), Bordighera, c.s.

27 Occorre sottolineare come a questa percezione di «costanza» della produzione-distribuzione locale non sia estranea la storia degli studi, che per una serie di fattori che non possono essere ripercorsi in questa sede ha finito per concentrarsi essenzialmente sulle merci più facilmente utilizzabili per rispondere alle domande fondamentali relative alle relazioni commerciali su lunga distanza e alla loro cronologia (P. M. Bes, J. Poblome, «(Not) See the Wood for the Trees? 19,000+ Sherds of Table Wares and What We Can Do with Them», Rei Cretariae Romanae Fautores Acta, 40, 2008, p. 505-514).

28 Il tema è stato ampiamente dibattuto nel corso di un recente seminario a Oxford (The Economy of the Western Mediterranean in the Seventh Century, March 2011).

29 Horden, Purcell, The Corrupting Sea. A questo proposito andrebbe sottolineata anche la netta non-univocità di un indicatore archeologico come la ceramica, che, in particolare nel settore dei prodotti di importazione, costituisce una traccia complessa di un insieme di fenomeni diversi, alcuni di natura macroeconomica (il commercio su lunga distanza delle derrate alimentari, dei loro contenitori e delle merci di accompagnamento), altri di natura decisamente microeconomica (i meccanismi distributivi su scala locale, il riutilizzo/riuso con funzioni diverse, le strategie di consumo e di scarto finale ecc.).

30 Plague and the End of Antiquity: The Pandemic of 541-750, ed. L. K. Little, Cambridge, 2007.

31 S. C. Stiros, «The AD 365 Crete Earthquake and Possible Seismic Clustering during the Fourth to Sixth Centuries AD in the Eastern Mediterranean: A Review of the Historical and Archaeological Data», Journal of Structural Geology, 23, 2001, p. 545-562.

32 In generale per lo stato dellarte della riflessione nellultimo decennio, cfr. C. Wickham, «Italy at the End of the Mediterranean World System», Journal of Roman Archaeology, 13-2, 2000, p. 818-824; Id., Framing the Early Middle Ages. Europe and Mediterranean 400-800, Oxford, 2005; F. Marazzi, «Città, territorio ed economia nella tarda antichità», Storia dEuropa e del Mediterraneo. VII, Limpero tardoantico, ed. G. Traina, Roma, 2010, p. 651-696.

33 Riflessioni metodologiche in questo senso in R. Willet, J. Poblome, «The Pale Red Slipped Dot», Facta. A Journal of Roman Material Culture Studies, 5, 2001, p. 101-110; E. Zanini, «Ricontando la terra sigillata africana», Archeologia Medievale, 23, 1996, p. 677-688; Id., «La ceramica del Quartiere Bizantino del Pythion di Gortina (Creta): qualche appunto per un approccio riflessivo», Facta. A Journal of Roman Material Culture Studies, 3, 2009, p. 75-88; Id., «Ceramica da scavo e modelli economici per il Mediterraneo occidentale protobizantino»; E. Zanini, S. Costa, «Ceramica e contesti nel Quartiere Bizantino del Pythion di Gortina (Creta): alla ricerca della “complessità” nella datazione», LRFW1. Late Roman Fine Wares. Solving Problems of Typology and Chronology. A Review of the Evidence, Debate and New Contexts, ed. M. A. Cau, P. Reynolds, M. Bonifay, Oxford (Roman and Late Antique Mediterranean Pottery, 1), 2011, p. 33-44.

34 S. Tortorella, «La sigillata africana in Italia nel VI e nel VII secolo d. C.: problemi di cronologia e distribuzione», Ceramica in Italia: VI-VII secolo, ed. L. Saguì, Firenze, 1998, p. 41-69.

35 Zanini, «La ceramica bizantina in Italia tra VI e VIII secolo »; Bes, Poblome, « (Not) See the Wood for the Trees?».

36 Sintesi regionali recenti per classi ceramiche in E. Fentress, S. Fontana, R. B. Hitchner, P. Perkins, «Accounting for ARS: Fineware and Sites in Sicily and Africa», Side-by-Side Survey: Comparative Regional Studies in the Mediterranean World, ed. S. E. Alcock, J. F. Cherry, Oxford, 2004, p. 147-162 (ceramica da mensa in Sicilia); M. Buora, «La ceramica di importazione (sigillata africana e anfore) come indicatore archeologico per il periodo bizantino nellalto Adriatico», Quaderni Friulani di Archeologia, 15, 2005, p. 163-167 (anfore e ceramica da mensa in area altoadriatica); P. De Vingo, «Liguria in Late Antiquity and in the Early Middle Ages: its Trade Relations with the Western and Eastern Mediterranean Sea through Transport Amphorae», LRCW1. Late Roman Coarse Wares, Cooking Wares and Amphorae in the Mediterranean. Archaeology and Archaeometry, ed. J. M. Gurt i Esparraguera, J. Buxeda i Garrigòs, M. A. Cau Ontiveros, Oxford (BAR Int. Ser. 1340), 2005, p. 341-351 (anfore in Liguria); B. Maurina, C. Capelli, «Limportazione di prodotti alimentari in anfore nellarco alpino orientale fra tardoantico e altomedioevo: recenti dati da Loppio – S. Andrea (TN)», Archeologia Medievale, 32, 2005, p. 409-422 (anfore e ceramica da mensa in area alpina); C. Raimondo, «Aspetti di economia e società nella Calabria bizantina: le produzioni ceramiche del medio Ionio calabrese», Histoire et culture dans lItalie byzantine, p. 407-443 (anfore in Calabria); C. Negrelli, «Produzione, circolazione e consumo tra VI e IX secolo: dal territorio del Padovetere a Comacchio», Genti nel Delta: da Spina a Comacchio. Uomini, territorio e culto dallantichità allalto medioevo, ed. F. Berti et al., Comacchio, 2007, p. 437-471 (anfore nellarea del delta padano); L. Arcifa, «Indicatori archeologici per laltomedioevo nella Sicilia orientale», Piazza Armerina. Villa del Casale e la Sicilia tra tardo antico e medioevo, ed. P. Pensabene, Roma, 2010 (ceramica da mensa, anfore e laterizi in Sicilia); G. Volpe, C. Annese, G. Disantarosa, D. Leone, «Ceramiche e circolazione delle merci in Apulia fra tardoantico e altomedievo», La circolazione delle ceramiche nellAdriatico tra Tarda antichità e Altomedioevo, ed. S. Gelichi, C. Negrelli, Mantova, 2007, p. 353-374 (anfore e ceramica da mensa in Apulia); A. Augenti, E. Cirelli, «Classe: un osservatorio privilegiato per il commercio della Tarda Antichità», LRCW3, p. 605-615 (anfore e ceramica da mensa a Ravenna).

37 S. Costa, Definire la complessità. La «circolazione» della sigillata africana in Italia tra V e VII secolo, Tesi di laurea specialistica, Università di Siena, a.a. 2007-2008.

38 Riflessioni critiche in questo senso in T. Lewit, «Dynamics of Fineware Production and Trade in the 1st to 7th Centuries AD: The Puzzle of Supra-Regional Exporters», Journal of Roman Archaeology, 24-1, 2011, p. 101-120.

39 McCormick, Origins of the European Economy, p. 54: «Roughly speaking, breadth of geographic diffusion, estimated volume of export production, and frequency of typological innovation overlap. How the first two connect is perhaps less obscure than for volume and typology. The wider the demand for African products, the wider the geographic distribution of ARS».

40 S. Antonino di Perti: un insediamento fortificato nella Liguria bizantina, ed. T. Mannoni, G. Murialdo, Bordighera, 2001.

41 Transport Amphorae and Trade in the Eastern Mediterranean, Acts of the International Colloquium at the Danish Institute at Athens (Athens 2002), ed. J. Eiring, J. Lund, Athens, 2004.

42 Per un quadro di sintesi, cfr. D. Whittaker, «Amphorae and Trade», Anfore romane e storia economica, Roma, 1989, p. 537-539.

43 K. Green, «Roman Pottery: Models, Proxies and Economic Interpretation», Journal of Roman Archaeology, 18-1, 2005, p. 34-56.

44 Costa, Definire la complessità.

45 Zanini, «Forma delle anfore e forme del commercio tardoantico».

46 Zanini, «La ceramica bizantina in Italia tra VI e VIII secolo».

47 D. Vera, «Fisco, annona e commercio nel Mediterraneo tardoantico: destini incrociati o vite parallele?», LRCW3, p. 1-17.

48 L. Saguì, «Roma, i centri privilegiati e la lunga durata della tarda antichità. Dati archeologici dal deposito di VII secolo nellesedra della Crypta Balbi», Archeologia Medievale, 29, 2002, p. 7-42.

49 S. Antonino di Perti.

50 Piéri, Le commerce du vin oriental.

51 Augenti, Cirelli, «Classe: un osservatorio privilegiato».

52 Con maggiore dettaglio queste idee sono discusse in Zanini, «Ceramica da scavo e modelli economici per il Mediterraneo occidentale protobizantino».

53 B. Ward-Perkins, The Fall of Rome and the End of Civilization, Oxford, 2005; E. Zanini, «Intervento», «La caduta di Roma: “fine della civiltà” o fine del tardoantico? Una discussione con Bryan Ward-Perkins», Storica, 47, 2010, p. 103-122.

54 McCormick, Origins of the European Economy, p. 53-63; Wickham, Framing the Early Middle Ages, p. 708-720; M. Mundell Mango, «Byzantine Trade: Local, Regional, Interregional and International», Byzantine Trade, 4th-12th Centuries, ed. M. Mundell Mango, Farnham-Burlington (VT), 2009, p. 3-14.

55 M. Decker, «Export Wine Trade to West and East», Byzantine Trade, 4th-12th Centuries, ed. M. Mundell Mango, Farnham-Burlington (VT), 2009, p. 239-252.

56 E. Zanini, «Archeologia dello status sociale nellItalia bizantina: tracce, segni e modelli interpretative», Archeologia delle strutture sociali nellItalia altomedievale (V-IX secolo), ed. G. P. Brogiolo, A. Chavarria, Padova, 2007, p. 23-46.

57 E. Arslan, «La circolazione monetaria in Italia (secoli VI-VIII): città e campagna», Histoire et culture dans lItalie byzantine. Acquis et nouvelles recherches, ed. A. Jacob, J.-M. Martin, G. Noyé, Roma (Collection de lÉcole française de Rome, 363), 2006, p. 365-385.

58 J. Haldon, «Production, Distribution and Demand in the Byzantine World, c. 660-840», ed. I. L. Hansen, C. Wickham, The Long Eight Century, Leiden, 2000, p. 225-264; Wickham, Framing the Early Middle Ages.

59 Horden, Purcell, The Corrupting Sea, p. 175-230.

60 Ward-Perkins, The Fall of Rome; Zanini, « Intervento ».

61 Horden, Purcell, The Corrupting Sea, p. 89-122; Horden, Purcell, «Four Years of Corruption».

62 Bes, Poblome, «(Not) See the Wood for the Trees?»; Zanini, «La ceramica del Quartiere Bizantino del Pythion di Gortina (Creta)».

63 Il mutare del bacino di approvvigionamento anche di un centro di consumo significativo come un importante monastero urbano di Roma è ben testimoniato nelle fasi più recenti deposito dellesedra della Crypta Balbi (M. Ceci, «Note sulla circolazione delle lucerne a Roma nellVIII secolo: i contesti della Crypta Balbi», Archeologia Medievale, 19, 1992, p. 749-764; L. Saguì, «Roma, i centri privilegiati e la lunga durata della tarda antichità. Dati archeologici dal deposito di VII secolo nellesedra della Crypta Balbi», Archeologia Medievale, 29, 2002, p. 7-42).

64 S. Loseby, «The Mediterranean Economy», The New Cambridge Medieval History. Volume I. c. 500-c. 700, ed. P. Fouracre, Cambridge, 2005, p. 605-638, 622-623; S. Gelichi, D. Calaon, E. Grandi, C. Negrelli, «… Castrum igne combussit…: Comacchio tra Tarda Antichità ed Alto Medioevo», Archeologia Medievale, 33, 2006, p. 19-48.

65 Maurina, Capelli, «Limportazione di prodotti alimentari».

66 O. Karagiorgou, «LR2: A Container for the Military Annona on the Danubian Border?», Economy and Exchange in the East Mediterranean during Late Antiquity, ed. S. A. Kingsley, M. Decker, Oxford, 2001, p. 129-166.

67 Un percorso simile è delineato per esempio per larea del delta del Po in questepoca da G. P. Brogiolo, S. Gelichi, Nuove ricerche sui castelli altomedievali in Italia settentrionale, Firenze, 1996, p. 61-62.

68 N. Purcell, «Statics and Dynamics: Ancient Mediterranean Urbanism», Mediterranean Urbanization, 800-600 BC, ed. B. W. Cunliffe, R. Osborne, Londra, 2005, p. 249-272; H. Saradi, The Byzantine City in the Sixth Century. Literary Images and Historical Realty, Athens, 2006; S. Loseby, «Mediterranean Cities», A Companion to Late Antiquity, ed. P. Rousseau, Maldenn (MA)-Oxford, 2009, p. 139-155; L. Zavagno, Cities in Transition, Urbanism in Byzantium between Late Antiquity and the Early Middle Ages (500-900 A.D.), Oxford, 2009; E. Zanini, «Le città dellItalia bizantina: qualche appunto per unagenda della ricerca», Reti Medievali Rivista, 11-2, 2010, p. 1-22 (www.rivista.retimedievali.it).