Aller au contenu

Classiques Garnier

Deus nudus est / Io temo che sia tutto vestito ! Nietzsche legge Montaigne

235

Deus nudus est /
Io temo che sia tutto vestito !

Nietzsche legge Montaigne

Se la tua vista fosse più acuta, vedresti tutto in movimento : come la carta che brucia si curva, così tutto di continuo perisce e intanto si curva

(N Autunno 1881, 15 [48])

« Tu vieni troppo presto ! » – « Tu vieni troppo tardi » così si grida a tutti coloro che vengono per sempre, disse Zarathustra

(N Autunno 1881, 15 [52])

Come può essere importante un libro che non sappia neppure condurci oltre tutti i libri ?

(FW, Libri, 248)

Uno riuscì ad alzar il velo della dea a Sais / Ma cosa vide ? Vide – meraviglia delle meraviglie – se stesso

(Novalis, I discepoli di Sais)

Io sono la danda dell’io

(Za, De dispregiatori del corpo, 41-42)

236

Il « dono » di Cosima : Sum, ergo cogito

Venerdì 30 dicembre, « nell’anno di disgrazia » 18701. In una lettera spedita da Tribschen a madre e sorella, Nietzsche « racconta » dei « doni » natalizi ricevuti da Cosima Wagner, tra cui eine stattliche Ausgabe degli Essais, verosimilmente in francese, vista la presenza nella biblioteca nietzscheana dell’esemplare avec des notes de tous les commentateurs pubblicato da Didot nel 18642 : « Per Natale ho ricevuto […] una edizione imponente di tutto Montaigne (che stimo molto)3 ». Le laconiche righe rimbalzano due informazioni non trascurabili : l’edizione degli Essais è considerevole e la loro lettura (parziale ? se ora specifica des ganzen Montaigne…) antecedente al dono. Cinque anni più tardi, scriverà a Maria Baumgartner di leggerli in francese e almeno in un caso di aver avuto la necessità di compararli con la traduzione tedesca di cui possiede un esemplare curato da Coste4.

Nietzsche, dunque, già stima « molto » Montaigne ; lo troverà « onesto » e superiore a Schopenhauer. Notissima diverrà la considerazione « inattuale » su quella scrittura che gli « ha fatto aumentare il piacere di vivere » ; è certo che si intenderebbe con il bordolese « se fosse posto il compito di trovare una patria sulla terra ». Dirà di lui quello che « questo spirito liberissimo e vigoroso […] ha detto di Plutarco : “è bastato che vi gettassi uno sguardo perché mi crescesse una gamba o un’ala”5 ».

237

Del testo, altrettanto noto, spesso si è ricordato il controsenso di traduzione in cui Nietzsche è incappato citando l’espressione di Montaigne su Plutarco6, ma non la micro-storia degli effetti7. Il filosofo non sembra esserne contrariato. In due lettere distinte, spedite da Basilea alla Baumgartner – che gli citava il testo originale francese per mostrare l’equivoco della traduzione tedesca nello Schopenhauer –, Nietzsche ritorna sul suo « errore ». Ritorno significativo e istruttivo in generale per ripensare Montaigne8.

La prima lettera, da Basilea, in risposta alla sua interlocutrice, è datata mercoledì 10 febbraio 1875 (e non 9 gennaio, come erroneamente indicato nelle NdE). Nietzsche nel post scriptum vi fa una semplice allusione : « Quel passo di Montaigne ! Quanto l’ho cercato9 ! ». Ma nella seconda di martedì 7 aprile, diviene più esplicito : « Il passo di Montaigne ha suscitato una certa perplessità, e cioè : la traduzione tedesca suona del tutto diversa dalla mia citazione di questo passo nello Schopenhauer : è errata come la mia interpretazione, ma lo è in tutto altro senso ». Il testo « tedesco » sigla : « Ich kann ihm so wenig gleich kommen, daß ich ihm weder etwas kleines noch großes abzunehmen vermag10 ».

238

Seguono le istruzioni per la traduzione francese della terza Inattuale. Nietzsche propone di eliminare la frase « ciò che egli dice di Plutarco » e di introdurre « “non appena vi getto uno sguardo ecc.” come mio, cosa che in fondo è anche esatta, dato che Montaigne dice comunque qualcosa di diverso e in questo punto le sue parole non si accordano affatto con il tono del mio passo ». Nel ringraziare « colei che ha scoperto il mio errore » aggiunge : « il mio francese è proprio scadente, e prima di esaltare Montaigne lo dovrei per lo meno capire esattamente ».

Siamo nel cuore della pedagogia della faute ? La conferma sembra giungere senza indugio da Nietzsche stesso, dalla sua cura della postilla consegnata, ancora una volta, al post scriptum : « Tralasciamo pure anche la “gamba” e contentiamoci dell’“ala” ». L’« ala » di Montaigne, Nietzsche lo sa bene, non è un’ala metafica ; è attaccata alla terra, al peso specifico del corpo, ai sensi, all’eros della vita e alla erotizzazione della sua arte : da parte sua, l’amor fati che è andato scoprendo non è nulla di diverso dalla necessità del piacere della vita, della voluttà della virtù.

La linea è tracciata. Dal Natale del 1870 e dal dono di Cosima, all’anno nuovo del gennaio 1882 ; da Tribschen a Genova, dal « bellissimo Natale » al « bellissimo Januarius ». Il libro IV della Gaia scienza inaugura il Santus Januarius11, il dono che Nietzsche questa volta fa a se stesso12, con l’ardore della parola, il dono dell’amore del necessario e della necessità « colma d’amore » :

« Tu che con lancia di fuoco

Frangi il gelo dell’anima mia,

Sì che scrosciando al mare si precipita

Della più alta tra le sue speranze :

Così sempre più chiara e più fresca,

Libera, in questa

Necessità più colma d’amore,

Essa celebra le sue meraviglie,

Bellissimo Januarius13 ! ».

239

Nell’aforisma 276 « Per l’anno nuovo », l’epifania di consapevolezze emerge dal senso più profondo della filosofia come arte di vivere e dal concetto di vita stessa come suo alimento ineludibile e incessante nella costanza del suo fluire. La vita non ha altro primum di se stessa : « Io vivo ancora, io penso ancora : io devo vivere ancora perché devo ancora pensare. Sum, ergo cogito : cogito, ergo sum14 ». Pensa perché vive. La passione della vita, il vivre à propos, è lo chef d’œuvre della vita (III, 13, 1108C ; 492) in quanto da essa sgorga il pensiero concreto, quello del giudizio che non vuol più zoppicare, o meglio zoppica perché vive. Il cartesianesimo rovesciato – a cui lascia nell’Anticristo solo « un’audacia degna di rispetto » per aver « osato », per la prima volta, concepire gli animali « come macchine15 » – è l’unico senso possibile : per questo « ritorna » sempre a Montaigne e ad altri « vecchi francesi », a una idea della morale non moralista : « Ces humeurs transcendentes m’affrayent » (III, 13, 1115 ; 503C).

Nel rovesciamento, la possibilità stessa del pensiero è ancorata al fluire della vita. La dimensione dell’esistenza, de son estre, della sensualità del vivere, si pone come la precondizione della sensualizzazione della ragione, su cui Montaigne nel terzo libro aveva scritto pagine memorabili. All’uomo, che per divenire perfetto si consigliava « di ritrarre i sensi dentro di sé al modo delle tartarughe », « di sospendere pure i suoi rapporti con l’elemento terreno […], per far restare di lui il “puro spirito” », mentre esso è un « sintomo di una relativa imperfezione dell’organismo », Nietzsche grida : « Se detraiamo il sistema nervoso e i sensi, la “spoglia mortale”, sbagliamo nel calcolo – ecco tutto16 !… ». L’ultimo saggio degli Essais ne era stato una sorta di testamento spirituale per lo spirito libero : « C’est une absolue perfection, et comme divine, de scavoir jouyr loiallement de son estre » (Ibid., B). Aveva anticipato : « [B] Il n’est rien si beau et legitime que de faire bien l’homme, et deuëment, ny science si ardue que de bien [C] et naturellement [B] sçavoir vivre cette vie ; et de nos maladies la plus sauvage, c’est mespriser nostre estre » (Ibid., 1110 ; 495B). E se nei Frammenti postumi primavera-autunno 1881 si legge : « Non essere

240

un dispregiatore della voluttà17 ! », il libro terzo aveva lanciato ancora una volta una precisa ottica della vita e del vivente : « Nature a materiellement observé cela, que les actions qu’elle nous a enjoinctes pour nostre besoing nous fussent aussi voluptueuses, et nous y convie non seulement par la raison mais aussi par l’appetit : c’est injustice de corrompre ses regles » (Ibid., 1107-1108 : 491B, corsivo mio). Il suo sentire la vita è fiutare le passioni della vita con i loro piaceri intellectuellement sensibles, sensiblement intellectuels. Per questo ama Montaigne e gli scettici : « l’unico tipo rispettabile nel popolo dei filosofi, gente dai doppi ed anche quintupli sensi… » ; e ha « qualcosa della petulanza di Montaigne nello spirito, e chissà ?, forse anche nel corpo18 ». In Sulle isole Beate l’invito a pensare il senso sembra ancora una volta precedere il sentimento del pensiero : « Voi dovete pensare sino in fondo i vostri sensi stessi19 ! » e parlerà del corpo come « una grande ragione, una pluralità con un solo senso20 ».

Allora, ecco tutto ? Se avvertiva l’inizio del santo gennaio come « giorno di auguri di pensieri cari », si augura e pensa soprattutto « quest’anno » a fondamento, garanzia, dolcezza, di tutta la vita futura che vorrebbe sempre di più capace di vedere l’estetica del necessario (« il necessario nelle cose come fosse nelle cose quel che v’è di bello in loro »). Il richiamo all’Amor fati è leggibile entro tali coordinate : « sia questo d’ora innanzi il mio amore » e la sua « unica negazione », saper guardare altrove : « E, insomma : prima o poi voglio soltanto essere uno che dice sì21 ! ». Nella stesura preparatoria dell’autunno 188122, l’amor fati è già amore del « necessario » ed estetizzazione del desiderio : della « grande passione […] del proprio essere23 ». Istinto della vita nell’unica morale sana : il naturalismo dell’etica.

La polemica nietzscheana rivolta contro il « violento scetticismo » – bersaglio dell’explicit di Des boiteux (nell’eccesso e nell’extremité si congiunge con il dogmatismo), « penosa indagine rivolta contro i nostri istinti e

241

la loro fallacia », « autodilaniarsi24 » dell’uomo che rimane pur sempre un dio che ha perduto se stesso – si ricompone e muta nell’incertezza e nello scetticismo che il navigante nutre nel suo viaggio : « Con le nostre virtù e le nostre buone azioni facciamo esperimenti, e non sappiamo con certezza se siano quelle necessarie, quanto al fine. Dobbiamo instaurare il dubbio, e intaccare con il dubbio tutte le prescrizioni morali25 ».

Zarathustra dichiara di conoscere sin troppo bene i « simili Dio » che guardano sempre all’indietro verso le tenebre, quando il delirio della ragione era somiglianza con Dio stesso e il dubbio peccato26… Un tempo in cui il male era il dubbio e la volontà di avere un Sé, il malato eretico o strega : soffriva e voleva far soffrire27.

Et substance quoy ? 

Nei quaderni filosofici del novembre 1887-marzo 1888 (preparatori della mai pubblicata Volontà di potenza, de Il crepuscolo degli dei e L’anticristo), si leggono alcune osservazioni che, pur in prima stesura, Nietzsche doveva considerare compiute – anche se spesso lavoro della seconde main, trascrizioni di citazioni ed estratti da opere di altri autori rimasti indeterminati. Una, tra le altre, sembra rivestire particolare interesse, a testimonianza dell’intensificarsi delle sue letture degli Essais : « Ci si stupisce delle molte esitazioni e dei tentennamenti nelle argomentazioni di Montaigne. Ma, messo all’indice dal Vaticano, da gran pezza sospettato da tutti i partiti, egli impone forse volontariamente alla sua pericolosa tolleranza, alla sua calugnata imparzialità, la sordina di una specie di interrogativo. Ciò era già molto ai suoi tempi : umanità che dubita28 ».

Qui Nietzsche non può non cogliere che la sua fonte, nel legare la « sordina » del metodo montaignano alle sue ragioni religioso-politiche,

242

istituisce una precisa genealogia. L’interrogativo cui si allude (Que sais-je ?) viene inserito in una prospettiva genealogica da risultare una sorta di « necessità », un attutimento del suono per impedire a sospetto, tolleranza, imparzialità, di fare troppo rumore. L’immagine della sordina rende plastico l’intento montaignano del « nascondimento », ma anche, malgré elle, la forza corrosiva del dubbio – e in tale duplice configurazione mostra in quale misura Nietzsche abbia compreso nell’Anticristo che l’interrogativo sia il modo di Montaigne per riformulare lo scetticismo : « Uno spirito che vuole un qualcosa di grande, e che vuol anche i mezzi per ottenerlo, è necessariamente uno scettico. La libertà da ogni specie di convinzioni, il saper guardare liberamente, è parte integrante della forza29… ». Negli appunti preparatori lo stesso preciso pensiero30.

I manoscritti di questo periodo richiamano intenzioni teoretiche il cui perno si addensa nella critica della nozione di « soggetto », lambendo da vicino, al di là della radicalità delle soluzioni, la posizione montaignana nettamente espressa nell’Apologie : non esiste un centro permanente dell’io. Nei Frammenti postumi, dell’autunno 1887 la posizione è ben delineata. Né soggetto di conoscenza, né di volontà, né io, né anima (« posti come fatto originario31 »), l’assenza di centro equivale a una trasformazione o metamorfosi incessante, mentre l’io, inteso « come ciò che è32 », si rivela una croyance frutto della credulité, di quel modo di pensare per cui la « multitude des croians » e « l’autorité du nombre » (III, 11, 1028 : 371B) si pongano a criterio di verità, pierre de touche. Una finzione : il concetto di soggetto, come realtà o punto di riferimento stabile, genera le nozioni metafisiche di « essere » e di « sostanza » ; se dal mondo presente non si ricava alcun senso, allora si crea il bisogno del mondo metafisico. Montaigne era stato, a sua volta, esplicito : « … – Substance – Et substance quoy ? » (III, 13, 1069 ; 432B). Anche il pensiero – per il bordolese una catena di false deduzioni « logiche » e di ricerca di cause « qui ne firent oncques » del saggio Des boiteux –, in Nietzsche è solo l’isolamento di un elemento da un processo causale o l’unificazione di un insieme di elementi di cui l’uomo ignora la modalità di produzione genetica.

243

Soggetto, sostanza, ragione, costituiscono un mondo fittizio. La ricostruzione del reale esterno/interno che entra nella coscienza è un flusso, una costruzione di elementi la cui causalità è ignota :

L’uomo cerca la « verità » : un mondo che non si contraddica, che non illuda, non cambi, un mondo vero – un mondo in cui non si soffra : contraddizione, illusione, mutamento – cause del dolore ! Egli non dubita che ci sia un mondo quale deve essere ; vorrebbe trovare la via per arrivarci […] Evidentemente la volontà di verità è solo il desiderio di un mondo del permanente […] La felicità può essere garantita solo in ciò che è : mutamento e felicità si escludono a vicenda. Il desiderio supremo ha pertanto di mira il divenire uno con ciò che è […] La fede in ciò che è si dimostra solo ‘come’ una conseguenza : il vero primum mobile è l’incredulità per il divenire, la sfiducia nel divenire, il disprezzo per ogni divenire33

Pensiero, ragionamento tipico di una specie di uomo « stanca di vivere », la cui logica è costruita sulla molteplicità delle falsificazioni arbitrarie. Logicizzare il mondo va alla pari con il foggiare forme e fini. Ne deriva una concezione della filosofia come « l’arte di scoprire la verità » (Aristotele), mentre con gli Epicurei e Montaigne essa è « un’arte del vivere34 ».

La critica montaignana alla concezione di essere permanente (Je ne peints pas l’estre. Je peints le passage… : III, 2, 805 ; 44B) è ridetta e declinata da Zarathustra : « Mi trasformo troppo rapidamente : il mio oggi è la confutazione del mio ieri. Spesso salto gli scalini, quando salgo, – e non vi è scalino che me lo perdoni35 ». Ma anche per questo, come Montaigne, Nietzsche critica il concetto di pentimento36.

L’assunto conduce Nietzsche a pensare la funzione del principio di contraddizione non come mezzo per conoscere la verità del mondo, il « mondo come vero », ma imperativo « per porre e ordinare un mondo che deve essere vero per noi37 », che deve valere come vero. I « falsi antagonismi » della Gaia scienza (« Guerra e ‘pace’ ! Ragione e passione !

244

Soggetto e oggetto ! Tutto ciò non esiste38 ! » ) non ammetteranno altra formulazione.

Pesanti gatti di granito

Apologia del mutamento

La ricaduta di tale teoria della conoscenza sulla morale non si fa attendere, con il risultato di uno « snaturamento [della morale] » e della coscienza stessa. La trinità delle ingenuità descritta da Nietzsche caratterizza la conoscenza « come mezzo per conseguire la felicità (come se…), come mezzo per conseguire la virtù (come se…), come mezzo per “negare la vita”, – in quanto è un mezzo per disilludere […] (come se…)39 ». Tali valori divengono « pesanti gatti di granito », « il cui senso è un controsenso, il cui giudizio è un pregiudizio ».

Sulla natura non fondativa della conoscenza (ma anche della religione) per la morale, Montaigne si era soffermato a più riprese fornendo così la cifra maggiore per la comprensione di punti nevralgici del proprio concetto di un’etica non razionalistica o intellettualistica, non serva dei precetti, autonoma dalla religione40, non antagonista della passione, rilanciata anche in polemica con la concezione stoica – quell’atteggiamento stigmatizzato da Nietzsche nella figura del pietrificato che abbraccia una

245

statua d’inverno, quando non si percepisce più il freddo ovvero della statua che abbraccia la statua. Concezione definita ripugnante.

Da questo lato, anche la critica al concetto di « soggetto » formulata da entrambi i filosofi si ripercuote sul concetto di azione e volontà, agire e volere. L’azione sensata, verso uno scopo, presuppone una nozione di agire che anche Montaigne critica (l’agire è une marqueterie mal jointe, un affastellamento di pezzi diversi : III, 9, 964 ; 276C).

Ne Il viandante e la sua ombra, La libertà del volere e l’isolamento dei fatti, Nietzsche dichiara strizzando l’occhio al bordolese :

La nostra abituale osservazione inesatta prende come unità un gruppo di fenomeni e lo chiama un fatto : fra questo e un altro fatto essa immagina uno spazio vuoto, essa isola ogni fatto. Ma in realtà tutto il nostro agire e conoscere non è una serie di fatti e di spazi intermedi vuoti, bensì un flusso costante. Ora precisamente la credenza nella libertà del volere è inconciliabile con l’idea di un fluire costante, omogeneo, indiviso e indivisibile : essa presuppone che ogni singola azione sia isolata e indivisibile ; è un atomismo nel campo del volere e del conoscere […] La credenza nella libertà del volere, cioè in fatti uguali e in fatti isolati, ha nella lingua il suo costante evangelista e avvocato41.

Tutto ciò convoglia un corollario preciso vs il concetto di libero arbitrio e di abitudine come seconda natura. Il brano è tratto ancora da Il viandante e la sua ombra, Non sentire nuove catene « […] Ma, e se fosse vero l’inverso : che egli [l’uomo] vive sempre in molteplice dipendenza, ma si ritiene libero quando per lunga abitudine non sente più il peso della catena ? Egli soffre solo delle nuove catene : – “libertà del volere” non significa propriamente nient’altro che non sentire nuove catene42 ». Il problema è rubricato anche sotto l’aforisma 12. Gli errori fondamentali :

Senza gli errori che operano in ogni piacere e dispiacere spirituale, non sarebbe mai sorta un’umanità – il cui sentimento fondamentale è e rimane quello per cui l’uomo è l’essere libero nel mondo della necessità, l’eterno taumaturgo, sia che agisca bene, sia che agisca male, la sorprendente eccezione, il superanimale, il quasi-dio, il senso della creazione, il non pensabile come inesistente, la parola risolutiva dell’enigma cosmico, il grande dominatore della natura e dispregiatore di essa, l’essere che chiama la sua storia storia del mondo ! Vanitas vanitatum homo43.

246

Per questo nei Frammenti postumi, proprio quasi per contrasto, aveva anticipato : « la vita esemplare consiste nell’amore e nell’umiltà44 ». 

Ma sarà Così parlò Zarathustra, « libro per tutti », a portare la flosofia « su un piano essoterico », dunque compiere quella rivoluzione nella forma filosofica cui Nietzsche aspirava. Opera complementare alla Gaia scienza, in cui molti temi zarathustriani si trovano disseminati (amor fati, dire di sì, caso, coraggio, guerra e solitudine), è in grado di far emergere motivi spiccatamente montaignani, oltre l’eraclitismo : l’intelligenza come rapporto reciproco tra gli istinti, l’animalità, la danza, la causalità, l’antifinalismo, lo stato continuo e molteplice – tanto da divenire « libro per nessuno ».

Se nell’aforima 62 di Al di là del bene e del male l’uomo è l’animale non ancora stabilmente determinato45, il 225 congiungerà nell’uomo creatore e creatura : « nell’uomo c’è materia, frammento, sovrabbondanza, creta, melma, assurdo, caos ; ma nell’uomo c’è anche il creatore, il plasmatore, la durezza del martello, la divinità di chi guarda e c’è anche un settimo giorno – comprendete voi questa antitesi46 ? ». Dio è immutabile, l’uomo cambia. Non era questa una mirabile sintesi della conclusione dell’Apologie e dell’elogio di Montaigne dell’uomo, unico essere capace di metamorfosi ?

La statua che abbraccia la statua

Contra stoicos

Nell’aforisma 305 della Gaia scienza Nietzsche conduce una dura polemica contro lo stoicismo, propugnatore del « dominio di sé ». Contesto teorico fertile per la permeabilità di molteplici e sfaccettati distinguo montaignani concernenti la critica alla morale stoica, morale sovrumana, quelle « saillies Stoïques » di De l’yvronerie in cui il richiamo di Montaigne è senza appello : « Quand nous arrivons à ces saillies Stoïques : J’ayme mieuz estre furieux que voluptueux […] qui ne juge que ce sont boutées d’un courage eslancé hors de sa gite ? » (II, 2, 347 ; 36A).

247

Anche Nietzsche sembra non fare sconti :

Quei maestri di morale che in primo luogo e innanzitutto prescrivono all’uomo di mantenere il dominio di sé, gli cagionano, ciò facendo, una strana malattia : una costante eccitabilità in tutte le sue emozioni e inclinazioni naturali […] Qualunque sia la cosa che dall’interno o dall’esterno sopraggiunga a scuotere questo eccitabile soggetto, ad attrarlo, lusingarlo, incitarlo – egli ha sempre l’impressone che il suo autodominio corra pericolo, non può fidarsi d’alcun istinto, d’alcun libero colpo d’ala, ma soltanto starsene sulla difensiva, armato contro se stesso, lo sguardo tagliente e diffidente, eterno guardiano della sua rocca come ha voluto diventare […] tagliato fuori dalle più belle eventualità dell’anima47.

Il raffronto con le morali epicuree rientra nella linea d’ombra, anche se la critica montaignana alla morale stoica, nello stesso passo di II, 2, in una certa misura le coinvolgeva48. Mentre l’epicureo scegliendosi situazione, persone e avvenimenti consoni alla propria costituzione intellettuale rinunzia « al più », lo stoico « si esercita a trangugiare pietre e vermi […] il suo stomaco deve infine diventare indifferente a tutto quello che vi travasa il caso dell’esistenza ». Ma se lo stoicismo come atteggiamento ‘politico’ può apparire consigliabile in tempi di violenza e di dominio bruto, il « modo epicureo » si adatta a chi sa prevedere il consenso del destino nella tessitura di un lungo filo : « tutti gli uomini dediti al lavoro intellettuale hanno finora fatto così ! Sarebbe infatti, per essi [gli epicurei], la perdita peggiore fra tutte, rimetterci la loro delicata sensibilità e avere in regalo in cambio la dura pelle degli stoici con gli aculei del riccio49 ».

Nietzsche lo definisce uno stato d’animo anestetizzato, prima che pensiero filosofico, caratterizzato da stratagemmi quali gravità, forza di pressione e inerzia, irrigidimento e freddezza. L’educazione stoica richiede di eliminare eccitabilità e commozione, praticare l’odio « per la passione stessa, come se fosse una malattia o qualcosa di indegno ». Il risultato è « la pietrificazione », la statua dai sensi « divini » e « morali » : « Che cosa è ormai abbracciare una statua d’inverno, quando non si percepisce

248

più il freddo ? – che cosa è mai, se la statua abbraccia la statua ? Se lo stoico raggiunge la natura che vuole avere – per lo più l’ha già dentro di sé e perciò sceglie questa filosofia ! – ha la forza di pressione di una fascia che produce insensibilità. – Questa mentalità mi ripugna molto50… ».

La riflessione nietzscheana sul pensiero stoico (stato d’animo, filosofia, educazione) è decisiva anche per comprendere quanto la polemica contro il finalismo e la teleologia sia condotta sulla scia di Montaigne (che tuttavia rispondeva pure a Sebond). Analogia di situazioni teoriche, esempi, modalità di comprensione dei problemi inducono a ritenere che su questo tema la lettura del bordolese, in particolare dell’Apologie, abbia dato i suoi frutti più maturi.

L’uomo, l’eterno commediante del mondo : si pone al centro dell’universo che considera al suo servizio. Nietzsche registra « l’umorismo insito nel fatto che l’uomo si considera lo scopo dell’intera esistenza del mondo, e l’umanità è veramente soddisfatta solo se può assegnarsi una missione mondiale51 ». Il brano è pieno di suggestioni montaignane a cominciare dall’idea, un po’ cachée, di dio come « annoiato immortale » : « Se un Dio ha creato il mondo, egli ha creato l’uomo come scimmia di Dio, come continuo motivo di divertimento nelle sue troppo lunghe eternità », Montaigne aveva richiamato l’immagine antica (Platone, Leges 644D-E) dell’uomo come jouet des Dieux (III, 5, 877 ; 151C). Il mancato umorismo impedisce all’uomo di cogliere il suono delle sfere intorno alla terra quale « risata di scherno di tutte le altre creature intorno all’uomo », la più vana creatura, « inventore di questo inventore ».

Esattamente come per Montaigne il motivo dell’acentralità dell’uomo nella natura porta Nietzsche non solo alla critica dell’antropocentrismo ma all’ammissione della pluralità dei mondi : « La vanità partorisce l’idea della nostra unicità nell’universo ! ohimè, è una cosa fin troppo inverosimile ! ».

Gli astronomi, a cui tocca talvolta realmente di scrutare un orizzonte staccato dalla terra, fanno capire che la goccia di vita che è nel mondo è senza importanza per il carattere totale del mostruoso oceano di divenire e trapassare : che un numero indeterminanto di astri presentano condizioni simili a quelle della terra per la produzione della vita, moltissimi cioè, e però sempre un gruppo ristretto in confronto agli infiniti altri che non hanno avuto mai la vivente eruzione o che ne sono da lungo tempo guariti : che la vita su ognuno

249

di questi astri, misurata sulla durata della sua esistenza, è stata un attimo, una vampata, con lunghi, lunghi spazi di tempo dietro di sé, e dunque in nessun modo la meta e lo scopo ultimo della sua esistenza. Forse la formica nel bosco immagina altrettanto fortemente di essere meta e scopo dell’esistenza del bosco, come facciamo noi, quando alla fine dell’umanità, nella nostra fantasia, ricolleghiamo quasi involontariamente la fine della terra : anzi siamo ancora modesti quando ci fermiamo a ciò e non organizziamo, per i funerali dell’ultimo uomo, un crepuscolo universale del mondo e degli dei. Anche l’astronomo più spregiudicato quasi non può immaginare che la terra senza vita altro che come lo splendente e fluttuante tumulo dell’umanità.

E appena il caso si sottolineare le convergenze teoriche con le pagine dell’Apologie relative al « paperocentrismo » (II, 12).

Attaccare le passioni alla radice significa
attaccare alla radice la vita

Ma la critica alla morale stoica consegna a Nietzsche altri risultati che lo riportano a Montaigne e al tema del rapporto ragione/passioni.

Se l’atteggiamento verso Seneca (collocato insieme a Rousseau et alii, tra i suoi « impossibili ») è critico, è perché l’autore delle Epistulae ad Lucilium gli appare come una sorta di « toreador della virtù52 », non incline alla virtù nello « stile del Rinascimento, virtù, virtù non inacidita dalla morale53 ». In una notevole complicità con il bordolese su ciò che costituisce il valore della esistenza umana, lontana dai valori del declino54 caratterizzanti la contemporaneità, individua nel « compito del Rinascimento » – operare la « trasvalutazione dei valori cristiani » – una affinità marcata con il suo stesso pensiero : « non c’è stata, fino ad oggi, nessun’altra posizione dei problemi più decisiva [di quella del Rinascimento] – il mio problema è lo stesso suo problema55 ». Umano troppo umano coltiva la speranza di un nuovo Rinascimento56.

250

In tale prospettiva, il riconoscimento nietzscheano nei confronti di Montaigne di essere « un naturalista dell’etica57 » acquista tutto il suo spessore ermeneutico ed euristico. E non sarà certo un caso se i termini stessi con cui nel Crepuscolo degli idoli presenta la morale (storica) siano connotati da una incontrovertibile « contronatura » : « tutte le antiche

251

mostruosità morali concordano unanimamemente sul fatto che “il faut tuer les passions”. Ciò che caratterizza il Cristianesimo non primitivo è la guerra alla passione e la sua parola d’ordine “spiritualizzare la passione” – la “passione spiritualizzata”, sul cui terreno non potrebbe nascere la guerra intelligente contro la passione ». La modalità (pratica e terapia) con cui la Chiesa combatte la passione è l’« estirpazione di ogni senso », la castrazione della sensualità :

Essa non domanda mai : « Come si può spiritualizzare, adornare, divinizzare un desiderio ? » – in ogni tempo essa ha messo l’accento della disciplina sulla distruzione (della sensualità, della superbia, della sete di dominio, dell’avidità di possesso, della bramosia di vendetta). – Ma attaccare le passioni alla radice significa attaccare alla radice la vita : la prassi della Chiesa è ostile alla vita58.

Montaigne aveva ben compreso come le passioni fossero l’alimento della vita, persino le qualitez maladives del saggio De l’utile et de l’honneste, quel cemento dell’essere, nostre estre : « desquelles qualitez qui osteroit les semences en l’homme, destruiroit les fondamentalles conditions de nostre vie » (III, 1, 791 ; 22B).

I moralisti ponendo « un abisso » tra loro e la passione, dichiarano inimicizia mortale contro la sensualità, la cui spiritualizzazione chiamano amore, mentre sanciscono il trionfo del Cristianesimo e l’abbandono della fecondità del senso. Ma, come ricorda Nietzsche, « si è fecondi soltanto a condizione di essere ricchi di contrasti59 ». Non solo Sur des vers de Virgile ma tutto il tono del libro terzo degli Essais indulgono sulla sensualizzazione della ragione stessa.

Dall’analisi critica del concetto di « pace dell’anima » emerge, tra gli altri, un aspetto che si collega al concetto di « animalità » e permette a Nietzsche di guardare a essa come il suo « placido irradiarsi […] nell’elemento morale (o religioso)60 ». Presupposto che permetterà a Nietzsche di ridurre, nell’aforisma 4, il principio in una formula addensata nel concetto di « naturalismo della morale », di una morale, come preciserà, sana :

Ogni naturalismo della morale, vale a dire ogni morale sana è dominata da un istinto della vita, – un certo imperativo della vita viene adempiuto con

252

una determinata regola del « tu devi » e del « tu non devi », un certo intralcio e una certa ostilità sul cammino della vita vengono in tal modo tolti di mezzo. La morale avversa alla natura, vale a dire quasi ogni morale che sia stata insegnata, venerata e predicata fino a oggi, si volge viceversa proprio contro gli istinti della vita – è una condanna ora segreta, ora aperta e sfrontata, di questi istinti. Dicendo ‘Dio guarda il cuore’ essa dice no alle infime e alle supreme bramosie della vita e considera Dio un nemico della vita….

Nietzsche è convinto che ci sia « del delittuoso in tale rivolta contro la vita » e che una condanna della vita da parte di un vivente finisca per restare « il sintomo di una determinata specie di vita ». Da questo angolo della morale dei « castrati dei sensi », la vita è quindi fissata e sbarrata alla metamorfosi. L’aforisma 5 riafferma che la vita finisce là dove inizia il « ‘regno di Dio’ » e il costume : vita declinante, infiacchita, stanca, condannata. Al contrario gli scettici possono dirsi gente dai sensi multipli… E questa è una delle ragioni per cui il tema dello scetticismo ritorna in diverse opere nietzscheane. Nell’aforisma 51 (Senso della verità) della Gaia scienza, la scepsi equivale al tentativo, alla prova, all’essai : « Quanto a me, le mie lodi vanno a ogni scepsi alla quale mi è concesso di rispondere : “Facciamo il tentativo !”. E non voglio più saperne di tutte le cose e di tutti i problemi che non consentono l’esperimento. Questo è il limite del mio “senso della verità” : là infatti il coraggio ha perduto il suo diritto il senso della verità61 ».

La Gaia scienza, atmosfera di guarigione dopo la sofferenza e portatrice di nuovi significati rispetto alla riflessione precedente, fa emergere la visione matura del mondo umano paragonata a una conquista vitale. Nel cuore della polemica con Platone e i filosofi che hanno sottoposto la pensabilità stessa della conoscenza alla repressione degli istinti naturali, all’astrazione dal mondo sensibile, Montaigne acquista un posto d’onore con la sua idea della centralità del corpo e della filosofia in physiologicis62.

Nella Prefazione alla seconda edizione, ritorna su questo punto :

Ogni filosofia che ripone la pace più in alto della guerra, ogni etica che ha della nozione di felicità una concezione negativa, ogni metafisica e ogni fisica che conosce un finale, uno stato terminale, di qualsivoglia specie, ogni esigenza

253

prevalentemente estetica o religiosa di una parte, di un al di là, di un al di fuori, di un al di sopra, autorizza a credere se non sia stata la malattia ciò che ha ispirato il filosofo […] e abbastanza spesso mi sono chiesto se la filosofia, in un calcolo complessivo, non sia stata fino a oggi principalmente soltanto una spiegazione del corpo e un fraintendimento del corpo63.

In particolare i filosofi, a differenza della gente comune, non possono ritenersi liberi di stabilire una separazione tra anima e corpo e ancor meno di porre una distinzione tra anima e spirito, come se fossero « ranocchi pensanti64 ».

Anche in Così parlò Zarathustra il problema del corpo emerge con forza : « E questo che è l’essere più onesto, l’io – questo parla del corpo e vuole il corpo, anche quando si induce a poetare e fantasticare e svolazza qua e là con le ali spezzate65 ! ». Esso impara a parlare sempre più onestamente, l’io : e quanto più impara, tanto più trova parole in onore del corpo e della terra. Un nuovo orgoglio mi ha insegnato l’io, e io lo insegno agli uomini : L’invito è a « non ficcare più la testa nella sabbia delle cose del cielo », ma « portare liberamente una testa terrena », che partorisce « il senso della terra ! […] Malati e moribondi erano costoro, che disprezzavano il corpo e la terra… ».

Sarà l’immaginazione a dover pensare sino in fondo i sensi perché, come aveva intuito bene Montaigne, è l’immaginazione a consentire di mettersi materiellement al posto dell’altro66. Senza tale facoltà nessuna apetura verso l’alterità, nessuna tolleranza, nessuna moralità. In Umano troppo umano la mancanza di immaginazione, di cui l’uomo soffre, « fa sì che egli non possa sentirsi vivere in altri esseri67 », e non partecipi alla loro gioia e al loro dolore. Nei Frammenti postumi 1887, la funzione dell’immaginazione diviene quella di trasfigurare il mondo, porre nelle cose « trasfigurazione e pienezza68 », anche per sopportare il dolore.

254

Se nella Gaia scienza Seneca – « il toreador della virtù » del Crepuscolo degli idoli – sembra essere divenuto uno dei bersagli polemici, parafrasando ancora Montaigne e le prime battute di Qu’il faut sobrement se mesler de juger des ordonnaces divines, Nietzsche sigla : « Seneca et hoc genus omne. Non fa che scrivere sciocchezze / Insopportabilmente sagge, / Come se dovesse, primum scribere, / Deinde philosophari69 ». Ma non sembra accontentarsi. Nella stessa opera, infatti, risponde « a coloro che credono alla morale », in un primo momento con il Deus nudus est senecano (Ep., 31)70, per poi precisare : « ‘Deus nudus est’ dice Seneca. Io temo che sia tutto vestito ! Di più : gli abiti non fanno solo i monaci, fanno anche gli dei71 ».

Ma la più grande lontananza da Montaigne sembra consumarsi sulla radicalizzazione del concetto di uomo. Qui, ancora una volta, Nietzsche scimmiotta il linguaggio degli Essais, per poi allontanarsene, lanciando una sorta di doppia sfida (quasi a voler decostruire Montaigne con Montaigne) : « Forse tutta la moralità dell’umanità ha avuto origine dall’enorme eccitamento intimo che prese gli uomini primitivi quando scoprirono la misura e il misurare, la bilancia e il pesare (la parola “uomo” significa infatti colui che misura, egli si è voluto chiamare dalla sua scoperta più grande !)72 ». A nessuno può sfuggire, nella ripresa nietzscheana, la mimetica e il calco montaignani dei sani lemmi di misura, misurare, bilancia, pesare. E non può sfuggire nemmeno, al di là della recezione della dimensione discorsiva contenuta in conferer (per l’appunto misurare, pesare, pensare), su cui si sono consumati fiumi di inchiostro, che ora la posta in gioco è divenuta più elevata e la filologia

255

nietzscheana/montaignana sembra voler fare da velo alla filologia « cannibale » (montaignana), evocata dal bordolese quale filologia della natura73 : i cannibales « ont une façon de leur langage, qu’ils nomment les hommes moitié les uns des autres » (I, 31, 214 ; 358A).

Tale filologia dice solo di eguaglianza naturale e la declina quale essenza umana. L’uno la metà dell’altro : questo è l’uomo, l’esatta metà, l’eguale – proprio di quell’eguaglianza che certo Nietzsche non amava. Ma di Montaigne forse amava la « santa menzogna », di cui discute nell’aforisma 75 del Viandante e la sua ombra, la menzogna « sulle labbra » morenti di Arria : « (Pæte non dolet) ». Le fonti : Marziale (Epigrammaton libri, I, 13)74 e Plinio (Epistulae, III, 16) nella rilettura del bordolese. La menzogna più colossale detta da un morente, la sola « menzogna santa che sia divenuta celebre ». Nella stesura preparatoria, proprio in virtù della sua menzogna, Arria (per errore Trasea, poi corretto) « merita di esser assunta tra gli angeli75 ». Si tratta della stessa « menzogna » esaltata da Montaigne nel saggio Des trois bonnes femmes : la santa menzogna di una donna che sapeva morire bene per aiutare il marito a esercitare l’ars bene moriendi… Una donna che, come Socrate, Seneca, Catone (la filosofia) e i selvaggi (la natura), aveva compreso quanto imparare a morire fosse imparare a vivere…

Come testimonia ancora una volta di più la Gaia scienza, Nietzsche rimane suffisant lecteur degli Essais. Parlando del dolore profondo di chi scava in se stesso, fa riferimento al comportamento dell’indiano di Montaigne : « … si impari a opporgli [al dolore] la nostra fierezza, la nostra irrisione, la nostra energia volitiva, comportandoci come quell’Indiano che per quanto crudelmente martirizzato si rivale sul suo carnefice con la malizia della lingua […] da tali lunghi, rischiosi esercizi d’autodominio uno se ne esce sempre come un altro uomo con qualche interrogativo di più e soprattutto con la volontà di fare, da allora in poi, più domande, più profonde, più rigorose, più dure, più cattive, più silenziose, di quanto non abbia fatto sino a quel momento76 ».

256

In Ecce homo i toni della domanda profonda, rigorosa, dura, cattiva, silenziosa, si fanno struggenti :

La mia anima, una corda

toccata dall’invisibile,

a sé cantava in segreto

una canzone di gondolieri,

tremando di beatitudine multicolore.

– L’ha qualcuno mai udita77 ?…

Nicola Panichi
Università degli Studi di Urbino « Carlo Bo »

1 Per le opere di Nietzsche (KGW, Walter de Gruyter, Berlin-New York 1967-sgg., hrsg. v. Giorgio Colli und Mazzino Montinari ; tr. it., Opere, Adelphi, Milano 1967-sgg.), si adottano le seguenti sigle convenzionali : SE = Schopenhauer come educatore (UB = Considerazioni inattuali III) ; MA = Umano, troppo umano, I – II ; WS = Il viandante e la sua ombra ; M = Aurora ; FW = La gaia scienza ; Za = Così parlò Zarathustra ; JGB = Al di là del bene e del male ; GD = Il crepuscolo degli idoli ; Eh = Ecce homo ; AC = L’anticristo ; N = Frammenti postumi ; KGB = Epistolario ; NdE = Nota degli editori

2 Essais avec des notes de tous les commentateurs, édition revue sur les textes originaux, Firmin Didot, Paris 1864. La biblioteca, conservata a Weimar, è a suo modo ‘dispersa’ e comprende solo in parte i libri posseduti da Nietzsche.

3 A Franziska ed Elisabeth, Epistolario, 1869-1874, II, p. 165 : « Qui sto bene che non potrei desiderare di meglio. E abbiamo celebrato un bellissimo Natale. La festa del 25, giorno del compleanno della signora W., è stata perfetta, e merita di essere raccontata » (Ibid., p. 164).

4 Michaels Herrn von Montagne Versuche, nebst des Verfassers Leben, nach der neuesten Ausgabe des Herrn Peter Coste ins Deutsche übersetzt. Drei Theilen, Leipzig, F. Lankischens Erben, 1753-1754.

5 SE, 2, p. 371.

6 Il testo corretto suona : « [B] Mais je me puis plus malaiséement deffaire de Plutarque. Il est si universel et si plain qu’à toutes occasions, et quelque suject extravagant que vous ayez pris, il s’ingere à vostre besongne et vous tend une main liberale et inespuisable de richesse et d’embellissemens. Il m’en faict despit d’estre si fort exposé au pillage de ceux qui le hantent : [C] je ne le puis si peu recointer que n’en tire cuisse ou aisle » (III, 5, 875 ; 147 ; edizioni di riferimento nell’ordine : Villey-Saulnier, PUF, Paris 2004 [1965], avec une Préface de Marcel Conche ; éd. A. Tournon, Présentation, établissement du texte, apparat critique et notes, Imprimerie Nationale, Paris 1998). Nell’aforisma 46 di Morgenröte [M, Zweifel am Zweifel], un’altra « cattiva citazione » (vd. nota 56). Il passo nell’ed. Didot si trova a p. 454.

7 Nella nota esplicativa 438 dell’ed. Colli-Montinari della terza Inattuale, i curatori sottolineano come per Baumgartner Nietzsche tradisse il testo montaignano in un senso poetico, circostanza che faceva perdere il realismo dell’immagine e idealizzare la « semplicità primitiva » e la « arditezza » del bordolese. Non si trattava di tedesche « ali spirituali ». Né Nietzsche dimenticherà « il peso di piombo » del discorso della ragione (Za, Del pallido delinquente, p. 40).

8 Il contributo teorico recente più significativo sul rapporto Montaigne-Nietzsche si deve a A. Tournon, Méprises et affinités, in Plures, Montaigne contemporaneo, a cura di N. Panichi, R. Ragghianti, A. Savorelli, Edizioni della Normale, Pisa 2011, p. 9-28. Per una bibliografia dettagliata del rapporto Montaigne-Nietzsche rinvio alla note bibliografiche contenute in N. Panichi, Picta historia. Lettura di Montaigne e Nietzsche, QuattroVenti, Urbino 1995 e Ead., Nietzsche et le « gai scepticisme » de Montaigne, in Nietzsche et l’Humanisme, Actes du Colloque international, Nice 20-22 octobre 2005, « Noesis », X, 2006, p. 93-114.

9 A Maria Baumgartner, in Epistolario, cit., III, p. 18.

10 Versuche, cit., p. 910.

11 I commentatori vi hanno letto un riferimento a San Gennaro, il santo pagano, per le suggestioni stendhaliane.

12 Nella stesura preparatoria di N V, 8, infatti si legge l’aggiunta : « Mio augurio, mio dono, – davanti a me stesso – per me stesso ! – Eppure : crux mea lux ! Lux mea crux ! » (cfr. NdE, p. 647). « Al termine del suo secondo soggiorno a Genova », ripete il distico (invertito) in un appunto preparatorio : Lux mea crux / Crux mea lux (N Autunno 1881, 12 [231], p. 499).

13 FW, p. 186.

14 Ibid.

15 AC, 14, p. 180. Poi aggiunge : « … l’intera nostra fisiologia si sforza di dare una dimostrazione a questa tesi ». A differenza di Descartes, Nietzsche afferma di non mettere da parte, da questa prospettiva, l’uomo.

16 Ibid., p. 181.

17 N, 11 [275], p. 432.

18 Eh, Perché sono così accorto, 3, p. 293.

19 Za, p. 100.

20 Ibid., Dei dispregiatori del corpo, p. 34 (corsivo mio) : « Il corpo è una grande ragione, una pluralità con un solo senso, una guerra e una pace, un gregge e un pastore. Strumento del tuo corpo è anche la tua piccola ragione, fratello, che tu chiami “spirito” ».

21 FW, 276, p. 186.

22 N, 15 [20], p. 533.

23 AC, 54, p. 242.

24 N Autunno 1880, 6 [31], p. 430.

25 Ibid., 6 [32], p. 431.

26 Za, Di coloro che abitano un mondo dietro un mondo, p. 33 ; M, 89, p. 65 (Dubbio come peccato).

27 Ibid., Del pallido delinquente, p. 41.

28 N 1887-1888, 11 [65], p. 243.

29 AC, 54, p. 241-242.

30 N 1887-1888, 11 [48], p. 235.

31 N, 9 [63], p. 29.

32 Ibid., 9 [88], p. 40.

33 Ibid., 9 [60], p. 24.25.

34 Ibid., 9 [57], p. 23.

35 Za, Dell’albero sul monte, p. 44.

36 FW, 41 : « Contro il pentimento » : « Nei suoi atti il pensatore vede tentativi e domande per aver lume su una qualche cosa : successo e insuccesso sono per lui in primo luogo delle risposte. Adirarsi o addirittura pentirsi di qualcosa che è fallito – egli lo lascia a quelli che agiscono, perché così si è comandato loro, e devono attendersi delle bastonate se il grazioso signore non è soddisfatto del risultato » (p. 78).

37 N, 9 [97], p. 47.

38 N 1881-1882, II [140], p. 379.

39 N 1887-1888, 9 [58], p. 23-24.

40 « Ruineuse instruction à toute police, et bien plus dommageable qu’ingenieuse et subtile, qui persuade aux peuples la religieuse creance suffire seule et sans les mœurs à contenter la divine justice. L’usage nous faict veoir une distinction enorme entre la devotion et la conscience » (III, 12, 1059 ; 428C, corsivo mio). Pensiero umano, troppo umano che non manca di premettere il vero concetto di probité (Ibid.), ripreso da Charron in Sagesse, II, 3. La frase di Montaigne intera suonava : « Diray-je cecy en passant : que je voy tenir en plus de prix qu’elle ne vaut, qui est seule quasi en usage entre nous, certaine image de preud’homie scholastique, serve de preceptes, contraincte soubs l’esperance et la crainte ? Je l’ayme telle que les loix et religions non facent mais parfacent et authorisent, qui se sente de quoy se soustenir sans aide, née en nous de ses propres racines par la semence de la raison universelle empreinte en tout homme non desnaturé. Cette raison, qui redresse Socrates de son vicieux ply, le rend obeïssant aux hommes et aux Dieux qui commandent en sa ville, courageux en la mort, non parce que son ame est immortele, mais par ce qu’il est mortel ».

41 MA II, Il viandante e la sua ombra, 11, p. 140-141.

42 Ibid.,10, p. 139-140.

43 P. 141.

44 N 1887-1888, 11 [275], p. 308-309.

45 JGB, 62, p. 68.

46 Ibid., 225, p. 134.

47 FW, 305, p. 209.

48 « … quand Sextius nous dit qu’il ayme mieux estre enferré de la douleur que de la volupté ; quand Epicurus entreprend de se faire mignarder à la goute, et refusant le repos et la santé, que de gayeté de cœur il deffie les maux, et, mesprisant les douleurs moins aspres, dedaignant les luiter et les combattre, qu’il en appelle et desire des fortes, poignantes et dignes de luy […] qui ne juge que ce sont boutées d’un courage eslancé hors de sa gite ? ».

49 FW, 306, p. 209-210.

50 N 1881-1882, 15 [55], p. 543.

51 MA II, Il viandante e la sua ombra, 14, p. 141-142.

52 GD, Scorribande di un inattuale, I, p. 105.

53 N 1887-1888, 11 [43] (p. 233, vd, anche : 10 [45], 10 [50], 10 [109]).

54 Eh, Il caso Wagner, 2, p. 369.

55 AC, 61, p. 258.

56 MA I, Sintomi di cultura inferiore e superiore, 244, p. 175.

57 N Autunno 1873-Inverno 1873-1874, 30 [26] : « Di fronte agli antichi, anche Montaigne è un naturalista dell’etica, tuttavia infinitamente più ricco e più pensoso. Noi siamo dei naturalisti superficiali, ne siamo pienamente coscienti » (p. 346). In un frammento N Estate 1878 si legge : 29 [25] « Seguire la natura, sbagliato in Montaigne, III 354 » (p. 295). Per il passo di Montaigne la NdE indica, erroneamente, III, 12, 1059 ; 417B (« J’ay pris, comme j’ay dict ailleurs, bien simplement et cruement pour mon regard ce precepte ancien : que nous ne sçaurions faillir à suivre nature, que le souverain precepte c’est de se conformer à elle ») il che renderebbe la considerazione nietzscheana alquanto enigmatica. In realtà, l’excerptum è tratto da III, 13, 1073 ; 438C (come del resto conferma la verifica condotta sull’edizione tedesca citata da Nietzsche), là dove Montaigne mette in guardia contro un falso concetto di natura, una sorta di vecchio/nuovo idolum : « Les philosophes, avec grand raison, nous renvoyent aux regles de Nature : mais elles n’ont que faire de si sublime cognoissance : ils les falsifient et nous presentent son visage peint trop haut en couleur et trop sophistiqué, d’où naissant tant de divers pourtraits d’un subjet si uniforme ». La considerazione nietzscheana si presenta perfettamente congrua al pensiero montaignano, cogliendone un punto interessante e, nonostante tutto, poco sottolineato dalla letteratura critica nella direzione della ‘decostruzione’ del concetto stesso di natura, mostrando una volta di più la propria acutezza ermeneutica. Montaigne continua : « Comme elle nous a fourni des pieds à marcher, aussi a elle de prudence à nous guider en la vie ; prudence, non tant ingenieuse, robuste et pompeuse comme celle de leur invention, mais à l’advenant facile et salutaire, et qui faict tresbien ce que l’autre dicte, en celuy qui a l’heur de sçavoir s’employer naïvement et ordonnéement, c’est à dire naturellement ». Nel citato aforisma di Aurora (46. Dubbio nel dubbio), si legge il completamento di questo passo, via Pascal : « ‘Che buon guanciale è il dubbio per una testa ben costrutta’ queste parole di Montaigne hanno sempre indispettito Pascal, poiché nessuno aveva appunto un così forte desiderio di un buon cuscino quanto lui. Che cosa gli mancava ? » (p. 40). È da segnalare che il « guanciale » di Montaigne non è il dubbio (ritenuto comunque nell’ambito del naturel : « Protagoras dict qu’il n’y a rien en nature que le doubte » : II, 12, 536 ; 311C) ma la natura (« Le plus simplement se commettre à nature, c’est s’y commettere le plus sagement. O que c’est un doux et molle chevet, et sain, que l’ignorance et l’incuriosité, à reposer une teste bien faicte »). Il passo è verosimilmente citato da Pascal. La NdE (p. 641) informa della presenza nella biblioteca di Nietzsche della traduzione tedesca (B. Pascal, Gedanken, Fragmente und Briefe, trad. ted. di C.F. Schwartz, II ed., Leipzig 1865), dove a p. 19 del secondo volume Nietzsche sottolinea un pensiero pascaliano sul dubbio (« Dunque, dubitare è una infelicità ; ma è un dovere imprescindibile cercare nel dubbio ; perciò colui che dubita e non cerca è insieme infelice e ingiusto. Se poi ciò nonostante egli è anche sereno e pieno di pretese, mi mancano le parole adatte per definire una siffatta miserabile creatura »), aggiungendovi a fianco : Montaigne. A p. 81 dello stesso volume si trova l’annotazione : « mal tradotto » (Ibid.), lasciando intendere la consuetudine con una edizione francese. I curatori precisano che da tale edizione, ormai assente dalla biblioteca, sono tratte le numerose citazioni da Pascal di questo periodo.

58 GD, 1, p. 77-78.

59 Ibid., 3, p. 79.

60 Ibid., p. 80-81. Sul tema dell’animalità e la funzione simbolica degl animali, Nietzsche si concentra nella Genealogia della morale e in Zarathustra.

61 FW, p. 86. Eloquente anche l’af. 41, cit. nell’Anticristo si legge : « Metto da parte un paio di scettici, il tipo decoroso di uomini nella storia della filosofia ; ma il resto ignora le esigenze prime della rettitudine intellettuale » (12, p. 178).

62 Eh, Perché sono così accorto, 2, p. 291.

63 FW, 2, p. 18.

64 Ibid., 3, p. 20.

65 Za, Di coloro che abitano un mondo dietro un mondo, p. 31-32.

66 Cfr. M. de Montaigne, L’immaginazione, Olschki, Firenze 20102 (prima ed. 2000), Introduzione e note a cura di N. Panichi ; N. Panichi, I vincoli del disinganno. Per una nuova interpretazione di Montaigne, Olschki, Firenze 2004, p. 183-262 ; tr. fr. Les liens à renouer. Scepticisme, possibilité, imagination politique chez Montaigne, Champion, Paris 2008, p. 255-357, e relativa bibliografia.

67 Ma I, Delle prime e ultime cose, 33, p. 40.

68 N, 9 [102], p. 50.

69 FW, Preludio in rime tedesche, [34], p. 30.

70 N 1881-1882, 11 [94], p. 361. Seneca nella lettera indicata cercava di definire in che cosa consistesse « perfecta virtus », raggiungibile solo tramite scienza e conoscenza « humana ac divina ». Hic est summum bonum. Ma come giungere alla meta ? L’iter jucundum è tracciato dalla natura, donatrice di quella facoltà che potrebbe rendere l’uomo simile a un dio : « Parem autem te deo pecunia non faciet : deus nihil habet. Praetexta non faciet : deus nudus est… ». Tale bene è l’animo retto, simile a un dio ospite di un corpo umano (Quid hoc est ? animus, sed hic rectus, bonus, magnus. Quid aliud voces hunc quam deum in corpore humano hospitantem ?). Di qualsiasi corpo : cavaliere, libero o schiavo. Cavaliere, libero e schiavo sono nomi derivati dall’ambizione e dal sopruso (nomina ex ambitione aut iniuria nata) : Subsilire in caelum ex angulo licet.

71 Ibid., 11 [95], p. 362. Si tratta di una citazione da William Edward Hartpole Lecky, Geschichte des Ursprungs Und Einflusses Der Auflrung In Europa, Leipzig 1873, p. 178, nota 3 (trad. dall’inglese da H. Jolowciz) : cfr. NdE, p. 662. Il testo è presente nella biblioteca nietzscheana.

72 MA II, Il viandante e la sua ombra, 21, p. 147.

73 Da notare che in entrambi i filosofi la spiegazione della parola « uomo » sia posta tra parentesi.

74 « Casta suo gladium cum traderet Arria Pæto, / quem de visceribus strinxerat ipsa suis / “Si qua fides, vulnus quod feci non dolet”, inquit, / “sed quod tu facies, hoc mihi, Pæte, dolet” ».

75 N IV, 1, 19 : cfr. NdE, p. 425.

76 FW, Prefazione alla seconda edizione, 3, p. 20-21. Cfr anche M, 135, p. 105 (L’essere compassionati).

77 Eh, Perché sono così accorto, p. 300.